In questi giorni Mosca si è riempita di animazioni, proiettate da maxi-tabelloni collocati in tutta la capitale, che celebrano Francesco Totti come ospite d’onore di un evento organizzato da uno dei principali organi di informazione russi dedicato a sport e scommesse. Al di là delle polemiche riguardanti l’eventuale scelta di presenziare o meno da parte dell’ex calciatore, che lascio alla stampa, è interessante lo slogan promozionale con il quale è stata divulgata la presenza del “Pupone”: Император едет в Третий Рим, “L’imperatore sta andando alla Terza Roma”.
Si può prendere spunto dalla notizia per esprimere una constatazione che bisognerebbe sempre tenere a mente: qualsiasi tentazione di rifarsi, in positivo o in negativo, a letture mitologiche del messianismo russo (che per taluni osservatori caratterizzerebbe ogni aspetto della politica nazionale), è un modo per procrastinare una forma, meno pittoresca ma altrettanto perniciosa, di “esotismo” od “orientalismo” (così su due piedi conierei l’espressione “secondomondismo”, per indicare una tendenza a idealizzare o demonizzare certi “mondi” meno distanti da quello europeo e occidentale, con in testa ovviamente tutte le terre dell’ex blocco sovietico, anche se tale tradizione risalirebbe a ben prima del XX secolo).
Detto ciò, si può altrettanto ammettere che anche un episodio -quasi- irrilevante come quello da cui si è partiti testimonia la presenza di certe tematiche nel discorso pubblico, le cui tracce per l’appunto non vanno esagerate. La retorica minimal-imperialista di Putin è del resto nota, ma al contempo si può ricordare come egli abbia utilizzato l’espressione “Terza Roma” in rarissime occasioni, delle quali l’unica degna di rilevanza risale addirittura al 2003, quando in un incontro con la stampa francese colui che era ancora un mero “successore di Eltsin” evocò il concetto in senso peraltro polemico, nella prospettiva di bilanciare l’idea di “Santa Madre Russia erede di Roma, Grecia e Bisanzio” con la necessità impellente di una modernizzazione dello Stato.
Il resto non sono che fantasie: nessun russo si reca al voto pensando alla “Terza Roma”, anche se paradossalmente filoputiniani e putinofobi si immaginano che accada così. È vero che il concetto è presente in molta polemistica contemporanea (da Aleksandr Dugin -e tutti i suoi “allievi”- fino a Gennadij Zjuganov), ma a un’analisi anche superficiale esso rivela un’origine più ideologica che storica, come emerge chiaramente dalla venerazione che certi pensatori considerati “di estrema destra” hanno per il bolscevismo (decisamente una delle ere più “messianiche” nella storia politica russa dalla prospettiva dell’universalismo). Lo stesso discorso poi si potrebbe fare per l’espressione katechon, della quale lo stesso Dugin rivendica origini “bizantine” ma poi ammette senza problemi che la fonte primigenia per lui rimane, ovviamente, il buon Carl Schmitt.
Per certi versi, è più agevole dissezionare i miti degli altri piuttosto dei nostri. D’altro canto a certe interpretazioni molti intellettuali russi coi piedi per terra rispondono giustamente citando le paranoie “elettive” degli americani, che in fondo si prestano ugualmente bene a una lettura chiliastica di decisioni e condotte che magari riguardano solo circostanze politiche, geopolitiche, diplomatiche o economiche.
Che dovremmo dire, giusto per fare un esempio tra “Primo” e “Secondo Mondo”, della scelta dei vescovi polacchi di incoronare Cristo come Re della Polonia nel 2016, considerandola nella prospettiva del mito del “Cristo tra le Nazioni” che risale alla fondazione di un Paese comunque “moderno” ma incessantemente ispirato al mito della “nazione martire”?
Alla fine, stiamo parlando solo di sport, anzi di calcio, anzi di Totti, e dell’abuso lessico storico-mitologico mi pare che anche la nostra Italia non sia esente, in specie quando si tratta di pallone. Ricordo che negli anni in cui il calciatore brasiliano Adriano Leite Ribeiro giocava nell’Inter, Milano era tappezzata di sue gigantografie che lo proclamavano “Imperatore Adriano” ai tempi in cui non c’era ancora la moda del blackwashing stile Netflix (anche se sull’atleta è stata pure realizzata dalla Paramount una serie nel 2022, che però pare non aver avuto alcuna fortuna).
Se dovessimo applicare la forma mentis con cui si guarda alle cose russe a quelle italiane, allora non ci resterebbe che concludere che nell’Italia democratica vige ancora un culto della romanità che non ha nulla da invidiare a quello dell’era fascista, mentre invece mi pare che le cose, nella “Prima” come nella “Terza” Roma, siano ben diverse…