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Vladimir Putin, lo Zar più ingenuo di tutti i tempi?

L’intervista di Tucker Carlson a Vladimir Putin tenutasi al Cremlino il 6 febbraio 2024 dalle 19 alle 21 sta forse attirando più attenzione di quanto meritrebbe, dal momento che il Presidente russo non ha fatto altro che ripetere le stesse cose che ripete da anni, se non decenni, e l’unico carattere di “eccezionalità” all’evento è stato conferito dagli atteggiamenti del blocco occidentale, che ha adottato una retorica bellica (senza peraltro esser entrato direttamente in guerra) e ha imposto una demonizzazione a tutto tondo dell’avversario.

Alla prima domanda del giornalista americano sulle motivazioni dell’invasione dell’Ucraina, Putin è partito dalla fondazione della Rus’ di Kiev nel 862 e per una lunghissima mezz’ora ha ricapitolato un millennio e passa di storia russa, allo scopo di rimarcare i punti essenziali della sua visione storico-ideologico-politica: Russia e Ucraina sono una cosa sola, non esiste un’etnia “ucraina” (gli ucraini sono i “russi del confine”, della “marca”), le ragioni del conflitto dipendono sia dall’influenza occidentale (Putin ha parlato di una “polonizzazione” attuata dal Confederazione polacco-lituana, divenuta poi “ucrainizzazione” tout court a ridosso della Grande Guerra) sia dagli errori della dirigenza sovietica (a partire dalle decisioni “inspiegabili” di Lenin di concedere alle varie repubbliche socialiste la possibilità di secedere dall’URSS e attribuendo alla Repubblica Sovietica d’Ucraina regioni che storicamente non avevano nulla a che fare con essa).

Quando finalmente è giunto ai nostri giorni, concedendo un respiro di sollievo al suo interlocutore, Putin ha tenuto a dipingersi come una vittima della doppiezza occidentale, facendosi passare quasi alla stregua di un sempliciotto facilmente raggirabile: per esempio, nel momento in cui ha affermato che dopo il 1991 la Russia non aspettava altro di “venire accolta nella famiglia delle nazioni civilizzate” e ha addirittura rilanciato l’aneddoto sulla sua richiesta di adesione alla NATO rivolta a Bill Clinton nel 2000, finendo per fare l’apologia di Eltsin, a suo dire “accusato ingiustamente di essere un alcolizzato”

Da parte di Putin il presentarsi per l’appunto come una sorta di “Eltsin che ce l’ha fatta” farà forse parte di un piano più grande che i semplici mortali non possono capire, ma questo leitmotiv del “tradimento” da parte dell’Occidente fa lievemente dubitare della sua visione strategica (o “geopolitica”, se vogliamo scomodare un’espressione ormai logorata dall’insignificanza).

Per carità, così come la Cina è stata fatta entrare nella World Trade Organization anche la Russia avrebbe potuto imbucarsi nell’Alleanza Atlantica in uno scenario da “migliore dei mondi possibili” all’insegna della globalizzazione economica e politica: ma da tale prospettiva, quanto avrebbero contato i mille anni di storia russa gettati immediatamente sul tavolo del dibattito?

La contraddizione è talmente evidente che non vale nemmeno la pena di parlarne, soprattutto nel momento in cui due retoriche completamente opposte si scontrano in una specie di folie à deux: il blocco occidentale parla di Putin il Terribile che vuole invadere il mondo intero, mentre costui ci tiene a tutti i costi a far la figura dell’amante tradito che però ancora cerca di ricucire i rapporti.

A questo punto non sarebbe intellettualmente disonesto pensare che l’espansionismo della NATO sia stato reso possibile da tale atteggiamento dimesso da parte della dirigenza russa: tuttavia è anche giusto osservare che Putin se ne rende perfettamente conto, tanto è vero che parlando del colpo di stato di Maidan egli afferma che la CIA da una prospettiva “tecnica” ha trionfato, ma da quella “politica” ha commesso un errore colossale. Anche in tal caso il Presidente russo ha tenuto a mostrarsi come un politico ingenuo, ricordando di aver fatto tutto il possibile per arrivare a un accordo con Viktor Janukovyč, nonostante sapesse benissimo che la sua ambigua scalata al potere fosse stata favorita dai potentati occidentali.

Probabilmente, come si osservava sopra, Putin ha voluto mostrarsi “più occidentale degli occidentali” per tirarsi fuori da una situazione complicata: in effetti bisogna ammettere che, almeno a parole, più che porgere un ramoscello d’ulivo egli ha regalato a Washington un’intera pianta, accollando l’intera responsabilità del dissidio a cricche ed élite sclerotizzatesi sui paradigmi della Guerra Fredda:

«[Durante quegli anni] sorsero molti centri specializzati sull’Unione Sovietica, che non si occupavano di nient’altro. Sembra che siano riusciti a convincere la leadership americana che fosse necessario continuare a “picconare” la Russia, cercare di disgregarla, creare su questo territorio diverse entità parastatali e sottometterle una ad una, allo scopo di utilizzare il loro potenziale combinato per una eventuale guerra contro la Cina».

Tali aperture creano obiettivamente ampissimi margini per una trattativa. Infatti, una volta chiarito il punto in ogni maniera, la discussione non ha potuto che arenarsi su questioni quali l’intervento di Dio nella storia (che Putin ha escluso, richiamandosi sagacemente alle “cause seconde”, cioè alle leggi interne alle dinamiche umane) o il pericolo dell’Intelligenza Artificiale (che il Presidente russo invita a governare, trattando in primo luogo con Elon Musk stesso, che “avrebbe già impiantato un chip in un cervello umano”).

Decisamente fuori luogo, nelle battute conclusive, l’insistenza da parte di Tucker Carlson per la scarcerazione del giornalista Evan Gershkovich, arrestato l’anno scorso dall’FSB con l’accusa di spionaggio: se Putin fosse stato il feroce dittatore che tanti descrivono, avrebbe come minimo fatto accompagnare l’ospite americano alla porta. Invece, di fronte all’ostinazione di Carlson, il buon Vladimir non ha potuto far altro che rimandare alle trattative sottobanco tra i servizi delle rispettive nazioni.

In ultimo, l’americano si è ricordato del compito per cui era stato invitato a Cremlino ed è tornato sulla questione della pace: Putin si è mostrato favorevole al compromesso sotto ogni forma, invitando a un perfezionamento degli accordi di Istanbul (sabotati a suo parere da Boris Johnson) in modo da lasciare agli occidentali la possibilità di “uscirne con dignità”.

Una annotazione particolarmente interessante, al di là di tutte le sparate sulla “denazificazione” (che Putin crede stia a cuore alle opinioni pubbliche europee e americane, mentre si tratta di una squallida pantomima sullo stile dei kolossal hollywoodiano), è la connotazione del conflitto tra Mosca e Kiev come “guerra civile”, che lo Zar cristallizza in un aneddoto formidabile:

«[Per citare una storia accaduta realmente], sul campo di battaglia vengono circondati dei soldati ucraini e i nostri gli intimano: “Non avete via di scampo, arrendetevi e vi lasceremo vivere”, ma gli ucraini, in perfetto russo, rispondono: “I russi non si arrendono!” e si fanno uccidere tutti. Gli ucraini si identificano ancora come russi. Ciò che sta accadendo è, in una certa misura, parte di una guerra civile. Tutti in Occidente pensano che il popolo russo resterà per sempre diviso, invece no, ci riuniremo, perché l’unità [edinstva] è ancora viva».

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