Vodka e pancetta a colazione. Il rap anti-islamico in Polonia

Avrei voluto approfondire il tema del rap anti-islamico polacco ormai divenuto in questi anni un genere musicale a se stante, ma i pezzi stanno diventando troppi e parrebbe esagerato, oltre che superfluo, mettersi a tradurli tutti (anche perché alla fin fine gli argomenti sono sempre gli stessi). Non vorrei tuttavia buttar giù il solito temìno di pseudo-antropologia spicciola, uno dei tagli editoriali più irritanti in cui ci si possa imbattere nell’internet. Parliamone tanto per parlare, quindi: i giovani polacchi stanno trasformando un genere musicale che in tutto il mondo celebra perlopiù le gesta di spacciatori e… in effetti di spacciatori e basta, in un veicolo delle idee più reazionarie attualmente circolanti in Europa.

Ciò accade per centinaia di motivi; i meno svegli sosterranno che è un avvisaglia del ritorno dello spettro dei Kaczyński, anche se in realtà la maggioranza di questi artisti proviene dalla galassia ultras, perciò in evidente contrapposizione a qualsiasi “istituzione”, indipendentemente dal colore politico (non dimentichiamo poi che la polizia polacca non scherza). Senza improvvisarci sociologi o politologi, potremmo semmai affermare che la ragione principale per cui ciò accade in Polonia risiede soprattutto nel fatto che laggiù i comunisti ci sono stati per davvero, dunque la gioventù è più vaccinata contro le magnifiche sorti e progressive. Da questo punto di vista verrebbe quasi da dire, col senno di poi, che aver avuto Gomułka e Jaruzelski invece dei nostri compagni così fotogenici sia stato un colpo di fortuna: in tal modo si sono potuti regolare i conti col passato senza alcun alibi. Non è però il caso di perdersi in polemiche: ognuno ha quel che si merita. In fondo anche in Polonia esiste la gauche caviar, ma fortunatamente è più sputtanata di quella che egemonizza le oligarchie europee per le ragioni a cui abbiamo appena accennato (Jaruzelski ecc.)

Detto questo, veniamo ai nostri paladini. L’ultimo “caso” politico-musicale in ordine cronologico è quello scatenato dal rapper B.A.D. e dai suoi sodali, che a causa della loro poco edificante esibizione nel video Polski Dżihad (un inno al “Jihad polacco”), girato nei pressi di un centro d’accoglienza, sono stati arrestati per possesso di armi e detenzione di sostanze stupefacenti:

Son cose che capitano; dopo questa retata non è assurdo credere che il mondo sia diventato un posto migliore. In ogni caso il pezzo contiene versi memorabili come «Nadchodzącą uchodźcy, chrońcie Łodzi swoje kozy» [“Arrivano i rifugiati, Łódź proteggi le tue capre”], oppure «Wasze zachowanie i kultura rzygać się chce» [“Il vostro comportamento e la vostra cultura fanno vomitare”], per non dire del ritornello:

To jest polski dżihad,
[Questo è il jihad polacco,]

zakładajcie bracia zbroje,
[formate delle armate, fratelli,]

wyjdźmy wszyscy na ulicę,
[scendiamo tutti in strada]

bronić to co swoje.
[a difendere quel che è nostro.]

To jest Polska, Polska, nasza Polska
[Questa è Polonia, Polonia, la nostra Polonia]

i tak już zostanie
[e così deve restare]

Tu się pije wódkę
[Qui si beve vodka]

i je bekon na śniadanie
[e si mangia pancetta a colazione]

Ecco, in genere i pezzi sono tutti così, anche se i toni sono più “moderati” e sul banco degli imputati invece che gli immigrati, in sé ci finiscono principalmente l’Unione Europea (paragonata all’Unione Sovietica), la Germania (con insulti irriferibili -o forse no- alla Merkel), i mass media e il regime eurofilo di Donald Tusk, che ha generato anche un suo neologismo (tuskismo, forma estrema di euro-populismo che italiani e greci hanno già avuto modo di apprezzare).

Per fare un altro esempio, qui di seguito propongo un “classico” recente, Islamizacja di Basti, un poeta dialettale (che spesso traduciamo) il quale, pur non essendo amico di Bob Dylan, è comunque un uomo di una sensibilità bestiale (cit.).

Chcemy spokojnie żyć według naszych zasad
[Vogliamo vivere in pace con le nostre regole]

Nie będziemy ginąć,
[Non vogliamo morire]

bo ktoś posłuchał Allaha
[perché qualcuno ha ascoltato Allah]

To jest walka o byt,
[È una lotta per l’esistenza,]

o nasz kawałek świata
[per il nostro angolo di mondo]

Nie będziemy ginąć,
[Non vogliamo morire]

bo ktoś posłuchał Allaha
[perché qualcuno ha ascoltato Allah]

Chcemy spokojnie żyć według naszych zasad
[Vogliamo vivere in pace con le nostre regole]

Nie będziemy ginąć,
[Non vogliamo morire]

bo ktoś posłuchał Allaha
[perché qualcuno ha ascoltato Allah]

To jest walka o byt,
[È una lotta per l’esistenza,]

o nasz kawałek świata
[per il nostro angolo di mondo]

Nasze dzieci nie będą ginęły w zamachach!
[I nostri figli non moriranno mai in un attentato!]

***

Nie chcemy tu takiego bagna, mamy gdzieś te chore święte wojny
[Non vogliamo questa feccia, ce ne sbattiamo della loro guerra santa]

Oni kochają Allaha – a niech go sobie kochają, ale z dala od Polski
[Amano il loro Allah – liberi di farlo, ma lontani dalla Polonia]

Nie będziemy się chować po domach, jak będzie trzeba to podejmiemy walkę
[Non staremo nascosti in casa, se saremo costretti combatteremo]

Nie będą na nasze głowy polować, nie chcemy być islamskim państwem
[Non ci taglieranno la testa, non vogliamo essere uno Stato islamico]

To nie ksenofobia, to nie rasizm, to trzeźwe spojrzenie
[Non è xenofobia, non è razzismo, è uno sguardo lucido]

Na to, jakie fala imigrantów niesie zagrożenie
[sul rischio che rappresenta questa marea di immigrati]

To nie uprzedzenie, obudź się człowieku, zobacz, co się dzieje
[Non è un pregiudizio, svegliati bello, guarda cosa sta accadendo]

Islam zalewa nasze ziemie!
[L’islam sta invadendo la nostra terra!]

***

Polacy muszą zatrzymać ekspansję,
[I polacchi devono fermare l’espansione]

co by o nas nie mówili, to my mamy rację
[qualsiasi cosa ci diranno contro, noi siamo nel giusto]

Obronimy kulturę i nację i nie pozwolimy na islamizację
[Difenderemo la cultura e la nazione, non ci lasceremo islamizzare]

Nie będą nas tutaj zarzynać jak bydła, nie będą nas tutaj terroryzować
[Non ci trucideranno come bestie, qui non ci terrorizzeranno mai]

Nie będą nas tutaj wysadzać w powietrze w imię swego boga
[Non si faranno mai saltare in aria in nome del loro dio]

Wszyscy na ulicę – Polska przeciw imigrantom
[Tutti in strada – Polonia contro immigrati]

Nasz głośny sprzeciw może być naszą ostatnią szansą
[La nostra protesta può essere l’ultima chance]

Polska to nasz dom, my jesteśmy gospodarzem
[La Polonia è la nostra casa, qui siamo noi i padroni]

Inaczej uważają nasze antypolskie władze!
[Ma il nostro governo anti-polacco la pensa diversamente!]

L’immigrato di fede islamica viene spesso definito ciapaty (dal “chapati”, tipico pane indiano) e brudas (“beduino”). Quasi nessuno fa riferimento alla religione, se non in senso identitario; è notevole, ad esempio, che il duo CannabisFanatic (sic) chiami in causa Giovanni III di Polonia («Jan Sobieski III dziś naszym patronem» [“Giovanni III è oggi il nostro patrono”]): forse aveva ragione Oriana Fallaci a identificare l’“Occidente” con tutto quello che va da Gesù alla minigonna (e viceversa); ad ogni modo questo è ciò che l’Occidente sembra essere diventato.

Il takbir, cioè il famigerato “Allahu Akbar”, è appunto un’altra ossessione di questi gruppi: «Nie chcę wychodzić na ulicę słysząc “Allah Akbar”» [“Non voglio uscire in strada per sentire urlare Allah Akbar”], canta QBIK in Imigranci, un pezzo nel quale viene stranamente usata come base la celeberrima Hava Nagila, forse associata a un concetto tutto personale di “musica orientale” (la voce campionata all’inizio e alla fine è dell’europarlamentare polacco Janusz Korwin-Mikke, che ha anche fondato un partito a suo nome):

Won stąd ciapate śmiecie!
[Fuori di qui kebabbari]

Gdzie Wy idziecie?
[Dove credete di andare?]

Zostawcie w spokoju Nasz kraj!
[Lasciate in pace il nostro Paese!]

Nie chcę tutaj brudasów, islamu w Polsce,
[Non voglio beduini qui in Polonia]

Najpierw Europa potem cały świat
[Prima l’Europa e poi il resto del mondo]

***

Polska to nie Niemcy, więc lepiej cofaj się już wstecz,
[La Polonia non è la Germania, vi conviene tornare indietro]

Jeśli brudas nie rozumie, trzeba wytłumaczyć wręcz,
[Se il beduino non capisce, devi pure spiegarglielo]

Nie imigranci tacy biedni, bo tam u Nich jest tak źle,
[Non sono così poveri, se per loro stare qui è tanto brutto,]

Niby głodni, zmarnowani, wyjebują wodę i chleb.
[sembrano affamati, ma gettano via acqua e pane]

Co jest Polsko? Obudź się, wyłącz kurwa TVN,
[Cos’è la Polonia? Sveglia, spegni quella cazzo di televisione]

Po co Nam kolejny syf, skoro Polska w bagnie jest?
[Perché abbiamo bisogno di altra feccia, se la Polonia è già una fogna?]

Gdzie pomoc dla Polaków? Gdzie te pieniądze są?
[Dove sono gli aiuti per i polacchi? Dove sono i soldi?]

Przyjedzie brudas z Syrii i zasiłek w rękę ziom
[Ai beduini dalla Siria sùbito contanti in mano]

Dwanaście tysi wjedzie, potem rodziny całe,
[Ne sono entrati dodicimila, poi tutta la famiglia]

Będziesz musiał uczyć dziecko, aby znało arabski alfabet,
[Dovrai insegnare ai tuoi figli l’alfabeto arabo]

To kurwa niebywałe, nielegalni imigranci,
[Ma cazzo, è incredibile, immigrati clandestini]

Islamscy kłamcy, terroryści, z czasem będą walczyć.
[Islamici bugiardi, terroristi, che prima o poi ci faranno la guerra]

Mowa o tolerancji? Dla kogo mam ją mieć?
[Parlano di tolleranza? Per chi dovrei averne?]

Dla bydła, które w imię boga gdzieś wysadzi mnie?
[Per delle bestie che mi faranno saltare in aria in nome di dio?]

Nie daj się nabrać na te medialne bajki,
[Non vi fate fregare dalle favole dei media]

Muszą uciekać przed wojną? Polak musiał do śmierci walczyć.
[Scappano dalla guerra? I polacchi hanno combattuto fino alla morte]

***

Lepiej brońmy swoich granic, mamy im płacić za nic?
[Meglio difendere i nostri confini, altrimenti per cosa li paghiamo?]

W zamian dostaniesz prezent – karabin lub dynamit,
[In cambio ci faranno un regalo: il fucile o la dinamite]

“Nie każdy z nich jest groźny” – powie ci premier, proste,
[“Non sono tutti pericolosi” – dirà di certo il premier]

Unia kazała przyjąć, nie chcę meczetów w Polsce.
[L’Europa deve capire che non voglio moschee in Polonia]

Wyjebanę na politykę, nasza kasa przy ich korycie,
[Fanculo alla politica, il nostro denaro è la loro mangiatoia]

Nie chcę tutaj śmieci ludzkich, propsy dla Korwin-Mikke,
[Non voglio feccia dalle mie parti, pollice alzato per Korwin-Mikke]

Nie mam tolerancji dla nich, to nie rasizm a sama prawda,
[Non ho tolleranza per loro, questo non è razzismo ma solo verità]

Nie chcę wychodzić na ulicę słysząc “Allah akbar”.
[Non voglio sentire urlare per strada “Allah akbar”]

Mają być wzorem Niemcy? To powiedz, kurwa czemu?
[La Germania deve essere un modello? Per quale cazzo di motivo?]

70 lat temu Polacy radzili sobie samemu,
[70 anni fa i polacchi hanno fatto da sé]

Więc lepiej sobie odpuść teksty o tolerancji,
[Quindi meglio soli, scordati le canzonette sulla tolleranza]

Szanować trzeba bliskich, co mnie obchodzą tamci?
[Rispetto solo il mio prossimo, che mi importa di quelli?]

Władz nie obchodzi los tych co na dworcu śpią,
[Il governo se ne frega di chi dorme alla stazione]

Biednych polskich rodzin, co nie mają na wodę i prąd,
[delle famiglie polacche povere che non hanno né acqua né elettricità]

W telewizji nie zobaczysz jak wygląda to na prawdę,
[In tv non ti faranno mai vedere la verità.]

Polska dla Polaków, nie żaden kurwa Ahmed.
[La polonia ai Polacchi, non a qualche fottuto Ahmed]

Non sembra sconveniente, a questo punto, ricordare che il primo Allah Akbar in lingua polacca (per la precisione “O Allach! Akbar Allach!”) echeggiò nel 1838 in un verso del poema Ojciec zadżumionych [“Il padre degli appestati”] del bardo nazionale Juliusz Słowacki. L’opera, composta a Firenze, narra la tragedia di un arabo che durante un viaggio dall’Egitto alla Siria assiste alla morte dei suoi sette figli e della moglie a causa di un’epidemia di peste: le sue suppliche a Dio sono uno dei punti più alti toccati dal romanticismo polacco. Słowacki aveva appreso la storia durante una quarantena nel villaggio di Al-Arish nel Sinai e l’aveva adattata alla sensibilità nazionale.

Valga soltanto questo come prova del cosmopolitismo dell’anima polacca, rinvigorito e accresciuto dalla fede cattolica: nonostante la lingua incomprensibile che vi si parla e il fortissimo attaccamento al “sacro suolo” dei suoi cittadini, Varsavia resta una città internazionale ed europea fino al midollo. Di conseguenza la propensione a difendere la patria agitando un machete, fumando marijuana e andando in coma etilico è solo la degenerazione di un’egemonia culturale ben diversa dalla nostra: in modo speculare, tuttavia, noi italiani giudichiamo positivamente il fatto che le stesse abitudini vengano messe in pratica “da sinistra” (anzi, per questo ci sentiamo persino autorizzati a scagliare la prima pietra). Da tale prospettiva, verrebbe quasi da pensare che tutti questi polacchi stiano semplicemente “trollando” la dissoluzione: se davvero fosse così, meriterebbero almeno un po’ di comprensione.

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