Voltaire bacia i piedi del Papa

Il breve carteggio tra Voltaire e Benedetto XIV risalente al 1742 è ancora al centro di diverse controversie: è noto che il philosophe utilizzò “con spregiudicato funambolismo” (Treccani) la riposta del Pontefice per promuovere la sua tragedia Mahomet (la cui polemica esteriormente diretta contro l’islam era in realtà anti-cattolica) e che Papa Lambertini gli diede corda solo per tenerlo legato fino all’ultimo alla Chiesa («Avendo la Sede apostolica avuti danni considerabili da persone poste in fuga, e che se fossero restate fra noi, non avrebbero poi fatto quel danno che poi fecero»).

Dal volume di Antonio Gurrado Voltaire cattolico (Lindau 2013) si apprende inoltre che per il filosofo scrivere in italiano voleva dire pensare in italiano, cioè assecondare la sua idea di italianità come sinonimo di cattolicità. Per tale motivo nel 1746 compilò un Saggio intorno a’ cambiamenti avvenuti su ’l globo della terra formulando una critica all’evoluzionismo che anche per l’epoca sembrava oscurantista; sempre per quel malinteso senso di italianità volle chiudere la sua lettera al Papa del 10 ottobre 1745 con la formula “Le baccio con ogni humilita e riconoscimento i Santissimi piedi”.

Proprio su questa espressione vorrei soffermarmi non, come ci si aspetterebbe, per farmi beffe del povero Arouet, quanto per analizzare un particolare che forse potrebbe dire qualcosa in più sul metodo di apprendimento utilizzati dal filosofo. Sappiamo infatti che nelle varie antologie dei suoi testi la lettera in italiano viene sempre riportata con un’altra chiusa: «In tanto baccio con somma riverenza e gratitudine i suoi sacri piedi». Nonostante il senso è lo stesso, la frase non è quella che appare nella lettera originale, come è stato possibile constatare durante la mostra Lux in Arcana organizzata in Vaticano nel 2012.

È verosimile ipotizzare che Voltaire abbia tratto la formula da qualche volume italiano conservato nella sua biblioteca: d’altro canto a utilizzare la medesima espressione furono il cardinale Guido Bentivoglio (ambasciatore pontificio a Parigi dal 1616 al 1621) in una lettera del 31 gennaio 1621 indirizzata a Paolo V («Bacio con ogni humiltà i santissimi piedi») e il compositore fiammingo Orlando di Lasso (Roland de Lassus) nella dedica a Clemente VIII del suo ultimo ciclo di composizioni, le Lagrime di S. Pietro.

Nonostante Voltaire fu grande ammiratore del di Lasso, la presenza del volume Relationi del cardinal Bentivoglio (Colonia, 1646) nella biblioteca del filosofo (ancora oggi consultabile grazie alla dedizione di Caterina II che nel 1779 la fece trasportare interamente all’Ermitage) fa propendere che l’ispirazione venne dal Cardinale.

Tale “appropriazione” rappresenta una conferma indiretta di quanto scrive Gurrado:

«Voltaire ammetteva di non avere mai studiato l’italiano; l’atteggiamento nei suoi confronti era dunque totalmente mimetico, ovvero tentava di adattarsi a modi e pensieri del destinatario scegliendo empaticamente di parlare la sua lingua».

Questo “metodo” è in effetti un passaggio obbligato per chi vuole imparare un idioma straniero nonostante la totale refrattarietà alle grammatiche: a livello commerciale è da decenni identificato come “il metodo delle diecimila frasi”. Personalmente lo definisco “tecnica dello scavallamento” (o “scavallo”), in ossequio alla pluralità di significati con cui il verbo scavallare viene trasposto – per citare la Wiktionary: to uncross (one’s legs); to romp, frolic; to lead an unruly life; to unhorse; to work hard; to come off its hinges.

Il metodo consiste, per farla breve, nel crearsi un repertorio di frasi fatte che però non appaiano come tali, ma che anzi lascino all’interlocutore l’impressione di una profonda familiarità con la sua madrelingua (c’è molta vanità in tale atteggiamento, impossibile negarlo), appunto scavallando dal testo originale alla traduzione e viceversa. È forse per questa strana forma di mimesi che il Voltaire italiano non la pensa come quello francese: si parva licet, è la stessa cosa che accade al sottoscritto quando scrive in francese, e che mi costringerebbe a chiudere una missiva immaginaria al filosofo con tali parole: C’est avec les sentiments de la plus profond vénération et de la plus vive gratitude que je baise vos pieds sacrés.

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