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Vorrei che un bambino morisse di vaccino

Nel giugno 2018 lo scrittore Edoardo Albinati, commentando alla presentazione di un suo libro a Milano il lagrimevole caso di una nave ONG (Aquarius) alla quale l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini aveva impedito l’attracco, affermò di essere “arrivato a desiderare che morisse qualcuno, su quella nave. Ho desiderato che morisse un bambino sull’Aquarius”.

Ricorderete gli applausi in mondovisione per l’arguta provocazione. Eppure l’Albinati trovò il modo di  fare la vittima e buttar fuori un pamphlet giusto per tirare quattro paghe per il lesso. Ma che importa, sono polemiche d’altri tempi che ormai non interessano nemmeno gli interessati (scusate il gioco di parole). Adesso dobbiamo parlare solo di covid e in effetti io non leggo quasi più nulla che non riguardi la terribile emergenza che ci obbliga a vaccinare bambini di 5 anni con una roba sperimentale per consentire eventualmente (forse, chissà) a un 95enne di vivere un giorno in più.

Fra tutte queste letture lugubri e demoralizzanti, ho trovato qualche considerazione lievemente più allietante (almeno nella misura in cui consente un minimo di evasione) in Covid. La grande paura di Ermanno Bencivenga, libello distribuito l’estate scorsa assieme al quotidiano “La Verità”, nel quale il filosofo si fa coraggiosamente beffa del delirio pandemico.

Non voglio qui soffermarmi sul tema principale del volume (che è confutare il terrorismo mediatico sul raffreddore), ma solo citare alcune interessanti considerazioni del capitolo iniziale riguardante le passioni. Secondo il pensatore italiano (ma da sempre di stanza oltreoceano, ad onta -o forse proprio a causa- della notevole popolarità riscossa tra “la gente che piace alla gente che piace” fino a poco tempo fa), l’uomo è una creatura in balia delle passioni “le più primitive, le più rozze, le più facili”. Insomma, non c’è verso di riportarlo alla ragione se non facendogli scendere la proverbiale lagrimuggia.

La posizione del filosofo, da non confondere con un ingenuo emotivismo, muove dall’assunto kantiano che “ragione e giudizio non incontrario mai le passioni”, ma che una passione può solo incontrarne un’altra. In soldoni, “solo il pathos influenza il pubblico” e l’impulso all’azione è sempre e comunque una passione, “da cui ethos e logos possono essere favoriti”, senza che però siano essi stessi il meccanismo che sollecita all’azione. Per citare il bell’esempio dell’Autore:

“La commozione provocata da Antonio può far emergere può far emergere in ciascun romano un uomo d’onore, o indurlo a stigmatizzare le varie incoerenze degli assassini di Cesare; ma non saranno onore e coerenza ad avere questo effetto – sarà la commozione, appunto: un sentimento, una passione”.

Considerazioni più attuali che mai, in un’Italia dove milioni di genitori si accingono a far vaccinare i propri pargoli con un siero che: a) non protegge dalla malattia per cui è stato ideato (il famigerato “covid”, nome che adesso diamo all’influenza); b) non evita il contagio; c) qualora proteggesse dalla temibilissima patologia, sarebbe inutile per una fascia d’età (5-11 anni) che nel Bel Paese ha registrato 15 (quindici) morti, tutti (è giusto ricordarlo) affetti da gravissime comorbilità.

No, non si riesce con argomenti razionali a far capire alla gente che non deve vaccinare i propri bambini. Già di per sé è impossibile discutere col prossimo sui motivi per cui, a meno che non sia un ultraottantenne, dovrebbe evitare di farsi iniettare un farmaco sperimentale (il quale per giunta non funziona). Ma come si può far intender ragioni alla plebe, se persino quelli che si considerano l’élite, come quel tale Curzio Maltese che sostiene sul Venerdì di Repubblica (3 settembre 2021) che il vaccino non è sperimentale perché “ormai è stato testato su milioni di persone”, hanno completamente abbandonato la logica e ci invitano a credere nella scienza, a fidarci di essa?

Capite che è diventato impossibile spiegare al sì-vax che questo vaccino rimarrebbe sperimentale anche se venisse iniettato a mille miliardi di persone? Sappiamo talmente poche cose sugli effetti a lungo termine (per tacere di quelli a breve) che nemmeno si può aver certezza sulla durata dei vari “sieri magici” immessi sul mercato.

Sentiamo poi un’altra considerazione del venerabile pensatore di cui sopra: “Ognuno di noi è certo libero di decidere del proprio corpo, anche se durante una pandemia ci si aspetterebbe un incremento etico verso la comunità”. A parte che il vaccino non impedisce la trasmissione del coronavirus da un malato asintomatico (il “portatore sano” di una volta) a un ultraottantenne (che peraltro ha oltre l’80% di possibilità di sopravvivere), perciò vanno a farsi benedire tutti i tentativi di rinverdire il socialismo con le punturine, la questione più impellente da proporre al Maltese è se tale “incremento etico verso la comunità” potrebbe valere anche per le donne di una nazione a cui venisse impedito di abortire per sopperire al crollo del tasso di  natalità?

Come vedete, la ragione non basta. Ecco perché, per una volta, voglio anch’io concedermi il lusso di una “albinata” pur senza la tessera PD. Ciò che mi auguro, amaramente, è che un bambino muoia di vaccino anti-covid. Dal punto di vista scientifico non avrebbe alcun senso (anche perché in Italia non esiste farmacovigilanza attiva e dunque qualsiasi effetto avverso viene derubricato al “tanto sarebbe accaduto lo stesso”), ma nei confronti dell’opinione pubblica potrebbe rappresentare un motivo esiziale per finirla con tutta questa faccenda.

In fondo, è già successo che una strage degli innocenti facesse dubitare della santità dei vaccini, dalla Germania anni ’30 dove una settantina di bambini morirono a causa di una anti-tubercolosi contaminata (evento che fece poi abrogare ai nazisti gli obblighi di vaccinazione di massa) alle Filippine dei nostri giorni, in cui il tasso di vaccinati anti-covid è tra i più bassi al mondo perché nel 2017 sono morti decine di piccoli a causa dell’anti-dengue fallata.

Non è cinismo. È che non so proprio più come dirvi di smetterla con i vostri appelli al fideismo nei confronti di una cosa che adesso chiamate scienza.

Erik Ravelo, Los Intocables (2013)

PS: In questi giorni l’OMS invita costantemente i governi occidentali a donare vaccini ai Paesi del Terzo Mondo, invece che insistere con dosi a getto continuo per categorie non a rischio. Anche i covidioti dovrebbero capire che un ottantenne del Burundi ha più bisogno del vaccino di un decenne di Vergate sul Membro; invece no, si va avanti senza fiatare. Suscita tuttavia un minimo di perplessità che gli stessi che chiedevano alle nazioni occidentali di rinunciare al proprio benessere in nome dell’Africa, ora rivalutino il bieco egoismo bianco proposto in versione sanitaria. Non vi suona strano? No, perché appunto non c’è più ragion che tenga, in tutti i sensi.

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