Un argomento che mi fa venire l’orticaria -quasi letteralmente- è l’omosessualità di Yukio Mishima, ma purtroppo si è costretti a discuterne nel momento in cui negli ultimi anni lo scrittore giapponese è stato trasformato in un’icona LGBTQecc…, con tanto di inserimento nella cosiddetta Rainbow Honor Walk, una versione omo della passeggiata hollywoodiana delle celebrità, installata nel 2014 nel quartiere Castro di San Francisco (il più ghei al mondo).
Per i militanti omosessuali, è giusto annoverare il grande e irreprensibile Mishima tra i “pioneri LGBTQ”, accanto a Freddie Mercury, Frida Kahlo e Josephine Baker, con tanto di placchetta celebrativa:
Yukio Mishima (nato Kimitake Hiraoka, 1925-1970), drammaturgo, poeta, attore, regista giapponese, celebre a livello internazionale e considerato uno dei più importanti autori giapponesi del XX secolo, il suo lavoro d’avanguardia mostra una fusione di estetiche moderne e tradizionale che infrange i confini culturali, con particolare riguardo nei confronti della sessualità, della morte e del cambiamento politico.
Beh, se il tema è il “cambiamento politico” da abbinare a morte e (omo)sessualità, allora tanto varrebbe aggiungere anche altri sacri pioneri quali Ernst Röhm, Guido Keller, Robert Brasillach, Hans Blüher e Maurice Sachs.
Battute a parte, dato che di questo tema voglio discutere il meno possibile, cercherò se non altro di aggiungere qualche elemento originale alle migliaia di articoli al riguardo che potete trovare sul web: prima di tutto, non è del tutto chiaro se Mishima fosse un omosessuale praticante o se si trattasse solo di un “vezzo” letterario (come diremmo in Italia, faceva il coraggioso con il fegato degli altri).
Insomma, vezzo o vizio? Una studiosa giapponese, Junko Saeki, ha cercato di venire a capo del problema invitando gli interpreti occidentali a non “occidentalizzare” troppo -per l’appunto- e a limitarsi ad accettare anche le “scandalose” Confessioni di una maschera come espressione della tradizione del nanshoku, una relazione obiettivamente omosessuale che però, alla maniera “greca”, comprendeva una componente educativa, in cui l’uomo più anziano fungeva da modello di mascolinità per il ragazzo.
Tuttavia, uno dei motivi da cui nascono gli equivoci è che Mishima piuttosto che celebrare il nanshoku lo trasforma in un motivo di vergogna, rileggendolo dunque effettivamente alla luce dei “pregiudizi occidentali”: perciò, se da una parte rievoca le dinamiche del cosiddetto nanshoku militare nell’attrazione da parte del protagonista del romanzo per il compagno di classe più grande (che incarna la “forza vitale” e che viene idealizzato come figura sacra e irraggiungibile), dall’altra Mishima abbraccia alcuni concetti chiaramente assimilati dalla letteratura occidentale come la dicotomia tra mente e corpo (idealizzazione dell’amore spirituale per una donna come riflesso del platonismo), addirittura concendedosi espressioni come “sodomita” (le quali riducono dunque il nanshoku a “peccato”).
Sarà anche per questo che il pubblico giapponese ha accolto con reazioni piuttosto inedite per la sua sensibilità le “rivelazioni” dello scrittore Jiro Fukushima, che nel 1998 scrisse un romanzo in cui raccontava la sua relazione omosessuale con Mishima, libro per il quale venne anche querelato dai parenti dello scrittore perché avrebbe pubblicato parti della corrispondenza privata con quest’ultimo (posto che in tali lettere non apparissero chissà quali rivelazioni). Di certo non c’è stato nessuno giapponese moderno, soprattutto per i toni sensazionalistici con cui è stata trattata l’intera vicenda, che abbia pensato per un attimo al nanshoku apprendendo i dettagli della frequentazione tra i due scrittori.
Probabilmente è con la “modernizzazione” dei costumi della nazione che qualsiasi idea “tradizionale” dell’omosessualità non ha più cittadinanza nel sentimento collettivo (posto che lo abbia mai davvero avuto): basti pensare, per esempio, che l’epiteto con cui si indica la comunità omosessuale in Giappone, Barazoku (dal nome della prima rivista dedicata al tema), cioè la “tribù delle rose”, è ispirato alla leggenda che vorrebbe Laio, re di Tebe, accoppiarsi con i giovanetti nei roseti.
E lo stesso Mishima, del resto, piuttosto che richiamarsi alle tradizionali nazionali si rifà anch’egli alla grecità classica, accettando, pure inconsciamente, la collocazione di tale immaginario in una dimensione “peccaminosa” nell’ottica degli sviluppi della cultura occidentale negli ultimi millenni.
Da tale prospettiva, è significativo che esista un film erotico omosessuale (io non l’ho guardato per ovvi motivi) il quale, tolte le scene pornografiche, assomiglia quasi a una versione nipponica di Vogliamo i colonnelli, dove al posto dell’onorevole Giuseppe Tritoni interpretato da Tognazzi c’è una caricatura del povero Mishima.
La pellicola, girata nel 1983, si intitola Kyokon Densetsu: Utsukushiki Nazo (“La leggenda del cazzo gigante: il mistero affascinante”) e racconta di uno studente universitario, Shinohara Itsuro, che si unisce a una società paramilitare nazionalista tutta al maschile (che richiama il Tatenokai) capitanata dallo scrittore Mitani Makio. Quest’ultimo vuole organizzare un golpe contro il governo e intende fare seppuku se non avrà successo.
Dopo essere stato iniziato nella società, a Shinohara viene assegnato la recluta Takizawa come senpai; i due fanno sesso dopo una notte di forti bevute e diventano amanti. Tali incontri sono un evento comune tra i ranghi della società, tanto che una “esercitazione” di seppuku di Mitani si trasforma in un’orgia con le reclute.
La notte prima del colpo di stato, Mitani ordina a Shinohara e Takizawa di tornare a casa per stare insieme un’ultima volta. Dopo una notte di rapporti intensi, la coppia si sveglia solo per scoprire di aver dormito troppo e di essersi persa il colpo di stato. Alla fine del fine, si vedono Shinohara e Takizawa frequentare da travestiti dei bar per omosessuali.
Ho tratto la trama da Wikipedia, ma se qualcuno vuole godersi qualche scena del film può visionare questa recensione (in giapponese) nella quale appaiono degli spezzoni:
Che dire, anche il buon Mishima alla fine è stato ridotto a macchietta dal suo stesso popolo, ma probabilmente per lui sarebbe stato ancor più infamante ritrovarsi come promotore dell’ennesima sfilata per l’orgoglio omosessuale, anche se un discorso simile probabilmente lo si potrebbe fare per qualsiasi “pioniere”, da Platone a Wilde fino allo stesso Mercury.
Ad ogni modo, accettare anche l’idea “occidentale” di peccato mischiandola con elementi tradizionali della cultura nipponica non ne fa di certo un paladino della causa LGBTQ, anzi. Ma direi che si può pure smettere di parlarne.
a maicolmur, facce n’artro video sui gabbinetti
Sta’ a vede che il corrispondente di Mishima in Italia era Ghigo Agosti (che, poi o meno negli stessi anni, cantava “Coccinella”)