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Zone temporaneamente pedofile: tenere gli anarchici fuori dalla portata dei bambini

«Che senso ha definirsi “anarchici” se poi si pensa che su certi temi non si possa discutere?»
(Robert P. HelmsLeaving out the ugly part, “libcom.org”, 18 ottobre 2005)

Spesso mi diverto a mettere in difficoltà chi si professa anarchico giocandomi la carta della pedofilia, ovvero dell’ultimo tabù sessuale rimasto alla nostra società (ma non so per quanto tempo, il che è tutto dire). Sono consapevole che l’argomento “Con l’anarchia i pedofili saranno liberi di fare quello che vogliono” potrebbe sembrare una fallacia logica, ma eludere il tema con trucchetti retorici (tipo un generico elogio della libertà sessuale) appare a sua volta come una conferma implicita dell’inconsistenza della propria militanza.

Non è un caso che nessun teorico dell’anarchia si sia mai interrogato su tale eventualità, nonostante la pedofilia crei più allarme sociale dei loro cortei o delle loro riviste “sovversive”: con difficoltà sono riuscito a scovare una discussione (risalente al 2009) riguardante la voce “Paedophilia” della Anarchopedia (la “versione anarchica” di Wikipedia). L’imbarazzante brevità della pagine è dovuta alle pesanti modifiche operate dai gestori del sito; la versione originale infatti conteneva passaggi di questo calibro:

«Nonostante i pedofili abbiano dato grandi contributi alle società del passato, la loro importanza oggi è ignorata e la loro attrazione nei confronti dei bambini minimizzata».

«Una delle fantasie più amate dalla sottocultura pedofila è quella di un’isola sperduta dove pedofili e bambini potrebbero vivere tranquillamente, godendo di totale libertà sessuale. L’idea che ispira tale suggestione è questa: lontano dagli insegnamenti oppressivi delle religioni organizzate, gli individui che provano un’attrazione sessuale verso i preadolescenti potrebbero soddisfare i loro desideri più basilari [their basest desires – “basest” starebbe anche per “più abietti”…, ndt] e prevenire così a una qualche forma di consapevolezza superiore [some form of enlightenment]».

Seguiamo brevemente il dibattito che segue tali affermazioni: l’anarchico che definiremo “benpensante” non sa cosa obiettare, quindi si impunta sulla “neutralità” dell’articolo (problema decisamente secondario):

«Ognuno può pensare ciò che vuole. E questo è giusto. Ma è ovvio che i bambini non sono sempre in grado di dire se a loro piace qualcosa o meno, oppure dispiacersi più tardi di quello che hanno fatto, specialmente se ciò coinvolge la sessualità.
È per questo che esiste il concetto di “età del consenso”. Sicuramente alcune leggi sulla sessualità sono spesso influenzate da motivi religiosi, ma preadolescenti e minori dovrebbero essere protetti. Se due preadolescenti decidono di avere rapporti sessuali tra di loro è una loro decisione, ma la sessualità con persone adulte è un discorso diverso. Perciò credo che l’articolo dovrebbe essere molto più neutrale».

Un altro anarchico sente puzza di “moralismo borghese” e replica immediatamente al “benpensante”:

«Pur riconoscendo che questo articolo è un po’ di parte, l’ultima cosa che vorrei vedere è il solito articolo copiato da Wikipedia in cui si ripete che “tutti i bambini che fanno sesso con adulti sono vittime”, un dogma che alimenta l’industria capitalistica dell’abuso minorile e del sistema carcerario [the capitalist child sex abuse and prison industries] e riempie le tasche di terapisti e avvocati. Credo che la questione di stabilire un’età del consenso debba essere decisa dalle comunità anarchiche stesse. Dopo tutto se non ci fosse la cultura dello stigma verso tali rapporti, siamo sicuri che i bambini si sentirebbero delle vittime?»

Da qui alla fine i termini della discussione restano gli stessi: da una parte quelli che tentano di eludere il problema appellandosi alla mancanza di “neutralità” della voce (o di attinenza del tema per una enciclopedia “anarchica”), dall’altra coloro che si indignano per il solo fatto che qualcuno abbia sollevato il problema:

«Non riesco a capire come i pedofili possano giungere alla conclusione che anche un solo bambino possa avere la loro stessa “fantasia dell’isola sperduta”. Dove sono i preadolescenti che sgomitano per una tale libertà sessuale? Hai mai conosciuto da adulto un bambino che cercasse un contatto sessuale con te? È il tipico atteggiamento arrogante che gli adulti mostrano quando pretendono di sapere che cos’è meglio per i bambini. È sempre scritto dal punto di vista dei pedofili (adulti!) ma mai dal punto di vista dei preadolescenti. Non vogliono riconoscere che la sessualità dei bambini è diversa da quella degli adulti. Dubito che possa esistere un rapporto di parità sessuale tra adulti e bambini, perché i preadolescenti sono in stato di soggezione rispetto agli adulti. I bambini imparano dagli adulti, si lasciano influenzare e dirigere da loro: questo fatto non cambia anche in una società anarchica, perché ha solo ragioni naturali.
Suggerirei di cancellare questo articolo, non riesco a vedere la rilevanza del tema per una enciclopedia anarchica. Ma se qualcuno crede ci sia bisogno di un articolo del genere, allora lo riscriva dal punto di vista degli anarchici e non dei pedofili».

«Un articolo sulla storia dei rapporti tra attivismo pedofilo e anarchia sarebbe più appropriato? Questo è, naturalmente, un problema di pertinenza e non di censura per “ragioni morali”. In relazione alla domanda di cui sopra, si possono trovare su internet testimonianze positive (e neutrali) da adulti e bambini impegnati in una relazione sessuale. Preferirei non segnalare nessun link su un sito pubblico, tuttavia in internet si possono trovare anche delle pubblicazioni accademiche sull’argomento».

«È difficile immaginare cosa sia più strano, se il fatto che un articolo pubblicato su ciò che si suppone sia una enciclopedia anarchica non contiene alcun accenno alla disparità di potere tra gli stupratori dei bambini e le loro prede (suggerimento: il bambino “fa sesso” col pedofilo solo nella mente del pedofilo), o che in qualche modo sia la “propaganda capitalista” a suggerire che l’abuso sessuale sia un abuso sessuale.
Prima di tutto, per secoli, la cultura ha preso molto sul serio le opinioni di colui che ha scritto questo articolo: ovvero un uomo aveva il diritto assoluto di fare ciò che voleva (sessualmente o in altro modo) ai membri della sua famiglia, compresi i suoi figli. È solo di recente che le vittime di violenza sessuale, sia essa lo stupro di una donna o di un bambino, non vengono additati come bugiardi quando rivelano quello che hanno subito. Il punto di vista di questa pagina assomiglia a quello degli stupratori seriali, che riescono a convincere se stessi che le loro vittime volevano essere violentate.
Accetteremmo un articolo sulla schiavitù che parlasse di quanti neri apprezzassero il lavoro nei campi e siano rimasti delusi dall’Emancipazione, o sui diritti delle donne che riportasse affermazioni di donne che preferirebbero essere considerate come oggetti? Oppure un articolo sul negazionismo della Shoah che non evidenzi il fatto che si tratta solo di menzogne? Spero che ora la questione sia risolta».

«Quando sento queste cose, mi domando se la persona che le pronuncia abbia mai incontrato qualcuno abusato sessualmente da bambino (non da adolescente, che sarebbe efebofilia). È un po’ difficile accettare queste “fantasie” dalla prospettiva di coloro ai quali i pedofili hanno distrutto la vita. Per essere chiari, stiamo parlando di stupro, di qualcosa che viene fatto a qualcuno che non altre alternative che subire.
Il resto sono solo chiacchiere. Dal punto di vista di chi abusa, raramente viene percepito qualcosa di sbagliato in quello che sta accadendo. Gli stupratori spesso si auto-convincono che la vittima sia consenziente. Non si tratta di qualcosa di “malvagio”, se questo termine significa fare intenzionalmente del male. L’intenzione non importa. Il danno non cessa di esistere solo perché la persona che lo causa non è a conoscenza di esso. Indipendentemente dal fatto che chi commette uno stupro abbia l’intenzione di torturare e distruggere psicologicamente una persona, oppure sia un pazzo convinto che la vittima sia consenziente nonostante tutto provi il contrario. Quello che succede nella testa del criminale è irrilevante – ciò che conta è il danno fatto, e il danno è reale.
L’abuso sessuale dei bambini non è diventato pericoloso solo quando la società (di recente) ha deciso che era sbagliato. La società è stata costretta a riconoscere il danno che è stato fatto alle vittime e che questo danno era stato negato o minimizzato così come ogni altro abuso di potere.
L’articolo in questione affronta il tema degli abusi sessuali sui minori dal punto di vista delirante degli stupratori (anche quelli convinti che non stanno facendo del male) senza nemmeno accennare al fatto che quelli che da bambini hanno subito le attenzioni di un pedofilo tendono a vedere l’esperienza in modo diverso.
Potremmo accettare un articolo sullo stupro (come questo d’altronde) che afferma che lo stupro non esista affatto. “Gli ‘stupratori’ hanno spesso dato un incredibile contributo alla società, il problema è che le donne sono state spinte a credere dalle femministe che non lo volevano, quando in realtà a loro piace molto”. Lo accetteremo? Oppure è sufficiente attaccare l’etichetta “capitalista” per smettere di pensare normalmente?»

Non credevo che gli anarchici d’oltreoceano fossero così ragionevoli. Noto di sfuggita che molti di loro si rifanno alla concezione ottocentesca di Proudhon, secondo la quale la comunità anarchica è l’unica forma di governo in grado di garantire un ordine senza coercizione, poiché ogni individuo difenderà spontaneamente il suo prossimo dai soprusi. È la società attuale che crea i criminali e i malati mentali: quindi a priori è garantito che non ci saranno pedofili nel paradiso anarchico.

Altri, invece, interpretano la pedofilia secondo la dialettica del servo e del padrone: la lotta contro la pedofilia diventa così un momento dell’emancipazione del bambino dal pater familias. Attraverso questa chiave di lettura gli anarchici riescono se non altro a opporre un argomento concreto senza fuoriuscire dalla propria ideologia. Tuttavia anche un’obiezione del genere lascia il tempo che trova: qualora la pedofilia si sottraesse alla “logica del dominio” (perché nella società “liberata” non esisterebbero più famiglie) e diventasse un rapporto consensuale tra il bambino e l’adulto, ci troveremmo di fronte all’ennesima aporia.

Prima di procedere, vorrei precisare i motivi che mi costringono ad insistere su questa sgradevole questione. Gli anarchici, a mio parere, dovrebbero essere costretti ad affrontare il problema per due ragioni (che alla fine si riducono ad una).

La prima è che, come ho detto, la pedofilia è fondamentalmente l’ultimo tabù sessuale delle nostre società secolarizzate, liberate, emancipate. Molti genitori oggi disposti ad accettare un figlio omosessuale o una figlia libertina, difficilmente tollererebbero un rapporto “consenziente” tra i loro pargoli e l’attempato vicino di casa.

Quindi la “vitalità” del tema dovrebbe impedire agli anarchici di richiamarsi a un concetto vago e astratto di “libertà”: finora la tattica ha funzionato per adulterio, prostituzione, omosessualità, transessualità eccetera; sulla pedofilia però non possono ancora sfilarsi.

Soprattutto perché (e questa è la seconda ragione), molti anarchici ottocenteschi consideravano l’omosessualità una forma di devianza (che, sempre secondo la petitio principii, sarebbe scomparsa con la nuova società), e per loro la “liberazione sessuale” riguardava quasi esclusivamente la liceità dell’adulterio e la parità dei sessi (vedi le utopie di Fourier o Émile Armand).

Esistono però anche episodi eclatanti e sintomatici, come la rivista “Der Eigene”, che iniziò come pubblicazione anarchica (il nome era ispirato a Max Stirner) ma poco dopo cominciò a pubblicare foto di giovinetti nudi e testimonianze di orgoglio omosessuale ante litteram. In generale resta una imbarazzata reticenza sull’argomento, forse dovuta non all’ipocrisia ma anche l’ignoranza (beata ingenuità: nessuno di loro aveva mai sfogliato il Krafft-Ebing?); un’ambiguità che permane ancora oggi.

Al di là di queste ragioni, c’è un altro dato che obbliga ad andare fino in fondo alla questione, ed è l’ideologia di uno “sciamano” dell’anarchismo internazionale come Peter Lamborn Wilson, conosciuto con lo pseudonimo Hakim Bey. Questo autore è pubblicato in Italia dalle edizioni ShaKe, che annoverano nel catalogo titoli come T.A.Z. (1993), Utopie pirata (1996), e Millennium (1997). Studioso del sufismo, omosessuale, nichilista, fautore di un sincretismo tra paganesimo, gnosi, tantrismo ed eresie islamiche, agli anarchici contemporanei Hakim Bey propone come modelli dervisci, corsari saraceni e legionari fiumani.

Il suo principale contributo all’ideologia è la teorizzazione della TAZ (Temporary Autonomous Zone), uno spazio autogestito attraverso il quale «eludere le normali strutture di controllo sociale». Qualsiasi luogo può diventare una “zona temporaneamente autonoma”: un centro sociale, un concerto rave, la curva di uno stadio. La domanda sorge spontanea: in questi spazi sarebbe consentito praticare anche la pedofilia?

Alla questione risponde indirettamente la vicinanza “culturale” al mondo dell’attivismo pedofilo di Wilson/Bey e la sua collaborazione al bollettino dell’associazione pedofila americana NAMBLA (North American Man/Boy Love Association) e a “Paidika: The Journal of Paedophilia”, una rivista olandese creata con l’unico scopo di promuovere la legalizzazione della pedofilia come “orientamento sessuale” al pari degli altri.

In Italia una prima apologia “pedo” di Peter Lamborn Wilson è stata pubblicata dalla rivista “Conoscenza Religiosa” (diretta da Elémire Zolla) nel numero monografico su Bali del 1978, in cui compare una sua interpretazione (tradotta in italiano sempre da Zolla) di un poemetto sufi intitolato Contemplazione dell’imberbe. In seguito Wilson svilupperà le sue analisi sulla “pederastia sacra” indagando i rituali iniziatici dell’islam eretico in Scandal. Essays in Islamic Heresy (Autonomedia, New York, 1988) e Sacred Drift: Essays on the Margins of Islam (City Lights, San Francisco 1993).

In particolare nel capitolo “The witness game: Imaginal yoga and sacred pedophilia in Persian sufism” di Scandal (pp. 93-121), Wilson descrive con trasporto la Nazar ila’l-murd, la “contemplazione dell’imberbe” di cui aveva già parlato in “Conoscenza Religiosa”, affermando che tale pratica (la contemplazione della grazia di Dio nel volto di un fanciullo) verrebbe ancora praticata da “certi circoli sufi”.

Facendo un uso disinvolto delle fonti, Wilson collega la poesia mistica allo squallore del Bacha bazi, che in Occidente abbiamo imparato a conoscere attraverso Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini e che, nonostante tutti i camuffamenti  pseudo-religiosi o folkloristici, rimane pura e semplice prostituzione minorile. Una pratica che, lungi dall’essere mai stata “liberatoria”, in Afghanistan è ormai diventata l’emblema dei soprusi della polizia nazionale addestrata dagli americani, come dimostra un reportage del New York Times tradotto in italiano da “Il Fatto Quotidiano” (21 settembre 2015):

«“Di notte li sentiamo urlare, ma non ci è permesso intervenire”. L’ultima telefonata del caporale dei Marines Gregory Buckley Jr., di stanza in Afghanistan, è diretta al padre. Il militare racconta di essere turbato: gli è stato ordinato di ignorare i tanti casi di pedofilia commessi dagli ufficiali della polizia e dell’esercito afghano loro alleati. La consegna è tassativa: Se si vede un bacha bazi, letteralmente “giocare coi bambini”, bisogna voltarsi dall’altra parte.
[…] L’ordine di non ostacolare questi episodi veniva definito come un modo per non interferire in un aspetto che, anche se odioso, è radicato nella cultura locale, soprattutto tra gli uomini di potere.
[…] Questo modo di agire, o meglio, non agire, avrebbe avuto lo scopo di mantenere buoni rapporti con l’esercito e la polizia afghani, armati e addestrati dagli Usa e dagli alleati della Nato per combattere i talebani. Dall’altro lato ha certamente contribuito ad aumentare la diffidenza degli abitanti dei villaggi da cui i bambini venivano portati via.
Non vedo, non sento e non parlo: la regola valeva anche quando gli ufficiali afghani portavano i bambini nelle basi condivise con gli americani. Probabilmente anche in quella di Buckley Jr., ucciso nel 2012. Il padre del caporale, Gregory Buckley senior, è convinto che la morte di suo figlio sia legata, almeno in parte, a queste vicende: lui e altri due marines sono stati uccisi, in una base militare nel sud del paese, da un ragazzino afghano che faceva parte di un gruppo di adolescenti che vivevano all’interno della base insieme ad un comandante della polizia afghana, Sarwar Jan […]. Quando Jan si trasferì all’interno della base, portò con sé un entourage di ragazzini afghani, ufficialmente da impiegare come domestici, detti tea boys, ma in realtà sfruttati come schiavi sessuali.
[…] “Mettevamo al potere gente che faceva cose peggiori di quelle fatte dai talebani. Era questo che mi dicevano gli anziani del villaggio”, ricorda Dan Quinn, ex comandante delle Forze speciali Usa nella provincia di Kunduz. Quattro anni fa Quinn ha picchiato un comandante afghano, Abdul Rahman, che teneva un ragazzino incatenato al letto del suo alloggio come schiavo sessuale: successivamente ha deciso di lasciare le forze armate».

Uno scenario che contrasta fortemente con le interpretazioni idilliache ed esotiche del Wilson, il quale rappresenta la schiavitù sessuale dei minori come una “pazzia metafisica”, mischiando yoga, tantrismo ed etnologia spicciola a scopi evidentemente apologetici (di reato, s’intende). Che l’Afghanistan “liberato” sia il nuovo modello della “Zona Temporaneamente Autonoma”?

In fondo Hakim Bey fa della pedofilia l’esito coerente di un anarchismo vissuto fino in fondo, anche a livello mistico e ontologico: è evidente che il “luogo liberato” che ha in mente non può limitarsi a un flash mob di piazza. Nello stesso modo in cui chi si proclama “anarchico” rifiuta di affrontare tutti gli aspetti del problema, così i seguaci del “santone” Wilson riducono a fisime personali un cardine del suo pensiero, come dimostra peraltro la modesta versione italiana dell’Anarchopedia, la quale ricorda (un po’ stizzita) che «[i testi] sulla pederastia sacra nella tradizione Sufi [gli costarono] l’accusa di fare l’apologia della pedofilia»  (v. “Hakim Bey”).

Paradossalmente, la critica più distruttiva nei confronti di Wilson arriva da un anarchico americano, lo storico Robert P. Helms, che in due articoli per “Libcom” (Leaving out the ugly part e Paedophilia and American anarchism), accusa il “Veglio della Montagna” di aver sviluppato le sue tesi più famose (l’utopia pirata, le T.A.Z.) a partire da presupposti pedofili (tanto è vero che il loro nucleo concettuale si forma sulle riviste di cui abbiamo parlato) e di aver abbracciato l’ideologia anarchica con l’unico scopo di molestare ragazzini. Aggiunge che è a causa del famigerato “Hakim Bey” se la Labadie Collection, la più grande collezione di materiale anarchico al mondo, deve tenere nei suoi archivi le pubblicazioni della NAMBLA, dato che è da lì che il guru ha mosso i primi passi.

È difficile affrontare questi temi, soprattutto per chi predica l’anarchismo solo per ingenuità o ribellismo; tuttavia il rifiuto di contemplare la dottrina professata in tutti i suoi dettagli e di valutarne le conseguenze rischia, nel migliore dei casi, di portare gli anarchici ancora una volta a essere utili idioti dell’ideologia dominante e, nel peggiore, di seguire la parabola di Nikolaj Stavrogin dei Demoni, che coronò la sua “rivoluzione” con la dissacrazione suprema: lo stupro di una bambina.

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