Site icon totalitarismo.blog

Celebriamo Marco Polo impedendone la croatizzazione

Gli italiani dovrebbero ricordare quest’anno il settimo centenario della morte di Marco Polo, scomparso a Venezia il 9 gennaio 1324. Al di là delle celebrazioni di facciata, sarebbe l’occasione per affermare definitivamente l’italianità (o almeno la venezianità!) del grande esploratore, che da anni viene sottoposto dagli amici croati a un imbarazzante processo di kroatizacija.

Mi pare che la “croatizzazione” in passato abbia arrecato immenso dolore al nostro popolo (come del resto a tanti altri): senza però voler rivangare, sarebbe il caso che le autorità italiane fossero più attive nello stigmatizzare ogni tentativo di “appropriazione culturale” (uso la formula in maniera volutamente provocatoria) da parte di Zagabria.

La riduzione di Messer Marco Polo cittadino di Vinegia a “Marko” Polo è un fenomeno denunciato in tempi non sospetti dalle minoranze italiane dell’Istria e della Dalamzia e che fa parte di una più ampia “revisione” storica in atto da anni (in un contesto in cui, per esempio, il filosofo veneziano cinquecentesco Francesco Patrizi diventa Franjo Petriš o Frane Petrić, oppure l’inventore della partita doppia, il dalmata Benedetto Cotrugli, diviene Benedikt Kotruljević), ma un episodio clamoroso che suscitò un minimo di dibattito anche dalle nostre parti si verificò nel 2011, quando i cinesi invitarono a Yangzhou ad inaugurare un museo dedicato al viaggiatore veneziano l’ex presidente croato Stjepan Mesic.

In quell’occasione la polemica passò dallo pagine dello storico quotidiano fiumano “La Voce del popolo” al “Corriere della Sera”, con Gian Antonio Stella che ricordò le varie “appropriazioni indebite” (sic) dei “nazionalisti di Zagabria”:

«[La controversia] vale per quei dépliant turistici di Spalato dove i nazionalisti slavi ribattezzarono il Leone di San Marco “Leone post-illirico”. Vale per il promemoria “addomesticato” fornito a Giovanni Paolo II per la sua visita in Dalmazia del 1988 che indusse il Papa a dire che “Spalato e Salona hanno un’importanza del tutto particolare nello sviluppo del cristianesimo in questa regione, a partire dall’epoca croata e poi in quella successiva romana”, come se gli slavi non fossero arrivati al seguito degli Avari tra il settimo e l’ottavo secolo ma un millennio prima. Vale soprattutto per la mostra nella Biblioteca Vaticana inaugurata in occasione del Giubileo da Franjo Tudjman, uno che nello sforzo di annientare anche il ricordo della cultura veneto-italiana si era spinto a definire Marco Polo “croato di stirpe e di nascita”».

Lo stesso “Corriere” è poi tornato sulla questione nel 2021 con una linea simile, affermando in barba a tutta la propaganda in favore dello ius soli che spesso anima le sue pagine, che anche se Marco Polo fosse davvero nato sull’isola di Curzola (un “punto d’onore” per alcuni croati, come se il fatto di nascere in un territorio controllato oggi da Zagabria possa attestarne in qualche modo la “croaticità”), ciò non cambierebbe nulla dal punto di vista storico:

«Il fatto è che l’isola, come quasi tutta la costa dalmata, era allora veneziana. Veneziana era la cultura, veneziane le calli e i campielli, veneziana la lingua, veneziano il cuore di Marco Polo. E negarlo è come considerare l’imperatore Settimio Severo un libico perché nato in quella che oggi è la Libia o Sant’Agostino un filosofo algerino perché nato nell’attuale Algeria. Insensato».

La battaglia, come si vede, va ben oltre il campanilismo e si innesta sulla dicotomia tra globalismo e sovranismo, facendoli effettivamente apparire come facce di una stessa medaglia: da un lato i “cittadini del mondo” che nel loro Kulturkampf pro-immigrazione arrivano a giustificare le distorsioni degli ultranazionalisti, i quali per quanto li riguarda sono ben disposti a svolgere il ruolo di “utile idiota” contribuendo indirettamente alla negazione della storia, della tradizione e della cultura, e riducendo dunque i fondamenti dell’identità di un essere umano a elementi interscambiabili, in una sorta di parodia del patriottismo che potremmo anche definire “transazionalismo”.

Exit mobile version