Come avrete capito, il discorso “scuola” per me è chiuso: non farò più l’insegnante. Certo, nel migliore dei casi si paleserebbe la possibilità di sottoporsi a un paio di tamponi alla settimana, ma tale scenario ha implicazioni punto pacifiche: al di là dell’esborso economico, penso all’umiliazione e anche allo stress psico-fisico (appena attenuato dall’eventuale sostituzione del test “cotton fioc sparato nel cervello” con quello salivare).
Dunque mi sono già messo in moto per trovare un altro lavoro: non è facile essere coerente con i propri principi, anche nei casi in cui non si “tiene famiglia”. Per il momento ho potuto contare sull’indispensabile supporto dell’amico Andrew Cox, che mi ha subito rimediato da tradurre un bel saggio di un intellettuale cattolico americano per una cifra piuttosto rispettabile, la quale mi consentirà di tirare avanti un paio di mesi con le spese e tutto il resto.
Per il resto, sto traducendo anche un volume dallo svedese e uno dal latino (il caro vecchio Lattanzio): chi mi segue sa che parlo diversi idiomi e traduco regolarmente articoli dalle profondità linguistiche più disparate (turco, russo, bielorusso polacco, greco, romeno, coreano ecc…). Se avete qualche aggancio da propormi, oppure vi serve che vi traduca qualcosa, contattatemi pure: essendo in difficoltà economiche, offro i miei servigi a prezzi più che modici (almeno per tirare quattro paghe per il lesso, fratelli).
Non che mi dispiaccia totalmente la vita da reietto, lo confesso: nel “sistema” non ci sono mai stato bene, e come avrete intuito mi sono sempre annoverato tra gli apocalittici. In questi giorni mi è tornato in mente un film che vidi da ragazzino, Indiziato di reato (Guilty by Suspicion, 1991) diretto da Irwin Winkler con protagonista Robert De Niro. Racconta la storia di un regista costretto al “demansionamento” a causa del maccartismo. Ricordo la scena in cui pur di sopravvivere accetta di girare un filmaccio western offrendo in pochi minuti il suo “taglio” inconfondibile:
Indipendentemente da quel che si può pensare del maccartismo (è noto che “McCarthy è stato il più grande critico cinematografico del nostro tempo”) o in generale degli “artisti perseguitati”, è comunque interessante la questione del demansionamento dal punto di vista intellettuale.
Per quel che mi riguarda sono già stato sottoposto nel corso della mia “carriera” a tale pratica, per motivi prettamente ideologici, fino a essermi ridotto a fare il maestrino di provincia: prima della puntura obbligatoria ero quasi giunto all’accettazione del mio ruolo nella società. Sì, avrei dovuto per anni dirozzare i figli autistici di spacciatori afro-balcanici, insegnando loro che l’uomo è naturaliter migrante, che le differenze di genere sono costrutti sociali e che il centro della storia umana è l’olocausto ebraico, ma forse l’abitudine o la noia lo avrebbero reso un compromesso sopportabile.
Invece, provvidenzialmente (ma dipende dalla prospettiva), la terapia genica sperimentale contro il raffreddore imposta dallo Stato mi ha ricordato il senso della mia battaglia. È un po’ come quello pseudo-apologo che mi piace spesso evocare, il noto scambio di battute tra il decano della Sorbona Jean Hyppolite e un giovane e incazzatissimo Julien Freund nel 1965, durante la discussione della tesi di dottorato di quest’ultimo:
Hyppolite: Sulla questione della categoria di amico-nemico, se voi aveste davvero ragione, non mi resterebbe che andare a coltivare il mio giardino.
Freund: […] Penso che lei stia commettendo un errore, perché crede che sia lei a designare il suo nemico, come credono tutti i pacifisti. “Dal momento che non vogliamo nemici, allora non ne avremo”, così ragionate. Invece è il nemico che sceglie voi. E se lui vuole che voi siate suoi nemici, potete rivolgergli le più belle dichiarazioni di amicizia: finché lui desidera che voi siate i suoi nemici, voi lo sarete. E vi impedirà comunque di coltivare il vostro giardino.
Hyppolite: Se le cose stanno così, allora non mi rimane che suicidarmi.
È vero, mi ero scordato di essere nemico. La mia vita stava per acquisire un senso: il buon maestro Roberto che strappa con le unghie e i denti la sua zolla di terra, un posto di docente delle elementari, “punto zero” dell’intelligenza, ma che almeno gli garantisce le solite quattro paghe per il lesso (sto diventando ripetitivo, sarà la disperazione). Ma all’improvviso, colpo di scena: neanche quello! Anzi, il colmo è esser costretto a lasciare per motivi “sanitari” piuttosto che per una battuta sessista, omofoba o razzista: nemmeno il gusto di mantenere lealmente la diatriba sul piano ideologico. No, direttamente untore, no-vax, bioterrorista. Allora tanto valeva rimanere nazista, dico bene?
PS: la mia email è sempre la solita: bravomisterthot@gmail.com