La Chicago violenta è tornata in prima pagina: nei soli primi due mesi di quest’anno sono state ammazzate 102 persone (il doppio del 2015) e le sparatorie sono salite da 217 a 467 (Homicides soar in Chicago, marking the deadliest start to a year since 1997, “LA Times”, 1 marzo 2016).
Il primo imputato per l’impennata di violenza è Rahm Emanuel, il First Jewish Mayor, già finito nell’occhio del ciclone per la sua indulgenza verso la brutalità poliziesca; nonostante il buon Rahm abbia tentato sin dall’inizio di farsi passare per afro-americano (sic!), la popolazione nera comincia seriamente a odiarlo: suo figlio è stato rapinato davanti casa e un suo assistente (di colore) è stato aggredito con insulti antisemiti (evidentemente non rivolti a lui).
Il timore è che in Chiraq esploda il noto odio anti-ebraico dei neri americani, anche se pure le riviste filosemite accusano il sindaco di aver fallito: «Since taking office in 2011, Emanuel has faced a mountain of criticism for controversial political moves, including the closing of nearly 50 schools in minority neighborhoods, fighting with the Chicago Teachers Union, and possessing what critics perceive as a gruff and arrogant style of governing» (Chicago is burning, “Forward”, 24 dicembre 2015).
Per capire meglio cosa sta accadendo nella capitale mondiale degli omicidi da arma da fuoco, siamo andati a fare un sopralluogo; anzi, col cazzo che ci siamo andati, scusate: forse faremo un viaggio verso i cinquanta (non è plurale maiestatis, sto parlando di me e del mio amico immaginario), quando sarà tutto passato perché i negher si saranno sterminati tra loro (del resto l’industria discografica americana fa di tutto per fomentare i bambini-soldato spingendo generi come la drill music, una forma di rap oscura e fatalista che impone come valori lo spaccio e le sparatorie – per carità, queste cose esistono sin dai tempi di Bertram dal Bornio, ma bisognerebbe capire chi sono oggi i signori feudali).
Quindi abbiamo preferito fare un giro solo su Google Street View senza una destinazione precisa: dalla nostra fondamentale ricerca sociologica è emerso che Chicago è soprattutto negher che nascondono le facce di fronte a una telecamera, camminano a torso nudo per strada, si pestano, spacciano, raccolgono rottami. Forse è tutta l’America a essere così: come recita il rapper King Louie, «My city influenced my country» (Live and die in Chicago).
Le gang di strada, la violenza domestica, gli arresti domiciliari violati… È questa l’America che abbiamo imparato ad amare? Come scriveva Daniil Charms: «Adesso da noi, adesso qui da noi… Io dico da noi qui negli Stati Uniti, negli Stati Uniti d’America, negli Stati Uniti d’America, qui, da noi… capisci dove?».