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Francescone ha vinto Masterchef leggendo il mio blog

Oggi è venerdì 17 ed è il giorno ideale per rispondere ai vostri tanti dubbi. Prima di tutto liquidiamo subito la questione “San Patrizio”: si diceva ieri che essa sfortunatamente non può che rappresentare l’ennesimo portato di una americanizzazione ormai giunta allo stillicidio, e a conferma di ciò mi arriva la newsletter del Libraccio (alla quale mi ritrovo periodicamente iscritto nonostante non abbia nulla a che fare col brand almeno dal 2005) che riesce nel mirabile tentativo di coniugarla con un’altra mania importata dal Grande Satana, il Black Friday:

Non bastava l’esaltazione dell’ubriachezza molesta spacciata per amore per l’Irlanda: ci voleva pure il tocco di consumismo frenetico a livellare l’ultimo residuo di dignità (perché in fondo gli irlandesi odiano gli inglesi e questo rende basate molte cose riconducibili a tale popolo).

Stiamo diventando pericolosamente una nazione di NPC, e in questo mondo di rovine ogni barlume di anticonformismo e sussulto di resistenza alla cosiddetta “omogeneizzazione globale” [*] è inevitabile che sia ben accetto, indipendentemente da chi provenga. Per tale motivo mi accingo a celebrare la vittoria di Francesco “Francescone” Saragó alla dodicesima edizione di Masterchef, che è avvenuta in una linea temporale parallela nella quale l’omino del Monopoli indossa il monocolo, Ratzinger è ancora Papa, Romano Prodi ha pronunciato in diretta tv la frase “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più” (questo è un Mandela Effect 100% Made in Italy, perché chiunque fosse vivo e cosciente tra il 1999 e il 2001 ricorda di averla sentita dalle paciose labbra del “professore” anche se non esiste una sola registrazione disponibile), Germania e Italia hanno vinto la guerra.

Nella vostra realtà, invece, Francescone non ha vinto Masterchef ma si è comunque contraddistinto per aver postato sul suo profilo Facebook, prima di diventare famoso, alcuni post del mio blog di stampo palesemente “complottista” risalenti all’epoca della pandemenza. A dirla tutta, non so se gli screenshot ricevuti siano delle trollate (il profilo del Nostro è infatti attualmente “blindato”), ma da quando il CERN ha messo in moto il suo acceleratore di particelle è diventato difficile sostenere che una realtà sia più reale di un’altra.

Ad ogni modo, Masterchef è uno di quei macro-oggetti che andrebbero dissezionati in quanto grimaldelli per spalancare qualsiasi finestra di Overton: sicuramente avranno già avuto in tempi non sospetti concorrenti trans, per non dire ghei (il vincitore della prima edizione è stato un omosessuale di origine greca, mentre nella nona edizione ha trionfato un bassanese che ha chiesto in mondovisione al suo fidanzato di sposarlo) e altre minoranze sessuali assortite (dai poliamorosi ai feticisti), nonché “diversamente italiani” provenienti perlopiù dall’Africa settentrionale e subsahariana. Inoltre non saranno mai mancate ad ogni stagione dosi abbondanti di pseudo-femminismo (la casalinga che finalmente lascia l’angusta cucina domestica per lanciarsi verso orge gastronomiche di apericene e amuse-bouche), sparate green ed esaltazione acritica di ogni novità atta a turbo-capitalizzare l’ultima “tradizione”, quella culinaria, che al popolo italiano è ancora concesso di praticare.

Attualmente non pare vi siano state incursioni in tema di entomofagia, cannibalismo o degustazione di carne sintetica, ma temo che gli anni venturi ci faranno sognare. Ad ogni modo l’ultima edizione, la dodicesima, è stata contraddistinta, come si diceva, dalla presenza di Francescone Saragó, ventinovenne romano di stazza imponente (oltre un metro e novanta), di professione cameriere (da quanto si è capito), di fede laziale (camerata onorario dunque) e in generale propugnatore di una certa italianità verace che gli ha consentito di rappresentare un campione anomalo in una palude di conformismo.

Al suo cospetto gli altri concorrenti assomigliavano a tutti gli effetti a dei “personaggio non giocanti”, a volte letteralmente, dato che taluni ripetevano ad ogni episodio le stesse identiche cose e manifestavano i soliti tratti caratterizzanti una personalità piuttosto banale (uno era un ex-calciatore e dunque si sentiva obbligato a usare metafore sportive, l’altro andava sempre nei ristoranti da bambino e partecipava in memoria della madre morta, un altro ancora doveva dimostrare ai suoi genitori di poter fare il cuoco ecc…).

Francescone invece, almeno fino alla diciannovesima puntata (quando nella vostra realtà è stato eliminato dopo aver fatto ‘n casino con quella che lui definiva ‘a musmusc), al grido di “Super!” ha saputo offrire una battutaccia, un guizzo, una trovata in grado di conferire un minimo di colore a un arcobaleno in cui tutti i colori mischiati tendono inevitabilmente al grigio.

Non solo per le sue movenze à la Franti (come quando copiava apertamente, chiedeva consigli con un tono sfacciatamente confidenziale agli chef stellati o la buttava in caciara pe’ sfangalla) ma anche per l’utilizzo di espressioni simpatiche (“strega”) nei confronti di una concorrente di origine marocchina, sfociate poi nello scontro in balconata in cui Francescone l’ha accusata di cucinare “intrugli” che fanno “venire il mal di testa” e ha consigliato agli ideatori del programma di “mettere ’na cappa, ’na canna fumaria” per impedire che certi afrori etnici impestassero lo studio.

Una bella storia italiana, forse l’ultima raccontabile, che però non si è purtroppo conclusa col trionfo di camerata Francescone. Ce ne faremo una ragione, anche se sotto sotto si spera torni ancora a onorare questo blog con i suoi hunter eyes.

[*] “Omogeneizzazione globale” è una espressione resa in inglese con la sigla Globohomo e in ebraico col noto concetto di Tiqqun ‘olam, letteralmente “riparare/perfezionare il mondo”, ovvero rimescolare ogni cosa esistente in un unità pseudo-assoluta (Moloch, Saturno, Satana ecc.), in base al presupposto che una divinità abbia alienato una parte di se stessa allo scopo di creare il mondo. L’omogeneizzazione del tutto è l’unico mezzo per fare del Moloch nuovamente un “intero”: in termini pratici, tale superstizione si traduce nell’obbligo di “mescolare” bene e male, innocenza e colpa, vittime e carnefici. Ecco dunque la spiegazione di tutta la propaganda in favore dell’indifferenza morale, sessuale ed etnica. La globalizzazione intesa come Tiqqun ‘olam è di conseguenza non solo un abominio materiale, ma prima di tutto spirituale.

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