Devo essere sincero con voi: quando ero ragazzo il palestinismo era una cosa quasi accettabile, perché eravamo tutti visi pallidi con la kefiah che volevano solo occupare le scuole e farsi i cannoni per salvare tutte le Anna Frank di Gaza che i nazi-sionisti volevano trucidare. Poi sono arrivati le risorse sarracine e la questione da politica è diventata religiosa, cioè ancora politica ma aromatizzata di piscio di cammello e kebab (cioè piscio di cammello e basta).
Adesso siamo al punto in cui Milanistan, come una Londra o una Berlino qualsiasi, è piena di scritte sui muri contro gli ebrei e di magrebini che pacificamente si insultano dandosi dello yahud, cioè dell’ebreo. È chiaro che a me verrebbe da esclamare “basati”, fare i complimenti e imbastire una maratona antisemita.
Tuttavia, quel poco di cervello che mi è rimasto mi fa comprendere che comportandomi in tal guisa farei di me stesso un “ebreo”, cioè un déraciné, un errante, un cosmopolita, un traditore del sangue e del suolo.
Ho già discusso tante volte di questa tentazione, specialmente ricordando quella grande figura di storico negazionista che fu Robert Faurisson, il quale a ottant’anni suonati cominciò a fare da spalla al comico franco-camerunense Dieudonné per allietare il pubblico delle banlieue con sapidi sketch contro il filosemitismo istituzionale (nei quali interpretava Simon Krokfiled, un sopravvissuto all’Olocausto).
Certo, basatezza assoluta, ma al contempo da indigeni in tutto ciò si percepisce un certo retrogusto amaro, come se le nostre stesse midolla si ribellassero alla fregatura. Obiettivamente mi sento troppo maschio e troppo italiano e troppo bianco per poter fraternizzare oltre il limite consentito con gli attuali nemici di Israele in Italia. Anzi, a un certo punto vorrei cominciare a cancellare le loro scritte sui muri e a iniziare a insultarli per essere venuti qui a inquinare la purezza del palestinismo ariano con la loro sciattezza e il loro essere ancora oggi, e come sempre, dei poveri magrebini.
Esiste una citazione di un importante sociologo iracheno, Ali Al-Wardi (1913-1995), della quale purtroppo non è possibile risalire alla fonte, ma che è diventata memetica: “Se gli arabi potessero scegliere tra uno stato laico e uno confessionale, sceglierebbe quello confessionale e fuggirebbero in quello laico”.
Ecco perché mi piacerebbe tanto urlare in faccia al prossimo arabo che insulta il suo collega spaccino chiamandolo yahud una frase in arabo (che probabilmente non verrà compresa): اليهود أرسلوك إلى هنا, alyahud arsaluk iilaa huna, Gli yahudi ti hanno mandato qui…