Scriveva Giorgio Manganelli in un articolo per il messaggero del 1986 (Il piacere di pagare le tasse), poi ripubblicato in Mammifero Italiano (Adelphi, 2007, pp. 93-95):
“Se l’inglese è impeccabile, o lo era, se l’americano è espansivo, e il tedesco efficiente, l’italiano è colpevole. L’italiano non si stupisce se qualcuno viene arrestato, mai. Lo trova naturale. Solo silenziosamente si stupisce di non essere lui, l’arrestato. Qualcuno recentemente ha scritto che gli italiani dovrebbero fare tutti qualche mese di carcere. Suppongo che il proponente si considerasse estremamente paradossale. In realtà, interpretava l’inconscio collettivo italiano. Gli italiani, man mano che invecchiano, sempre più si rallegrano e stupiscono di non essere mai stati arrestati. Per l’italiano, il fatto di non essere in galera è semplicemente un segno che da noi lo Stato non funziona. E come potrebbe funzionare, avendo dei cittadini come lui? L’italiano libero è semplicemente un italiano che l’ha fatta franca.”
È probabilmente da questo presupposto che chi ci governa ha capito di poter gestire il potere attraverso una perpetua quarantena: perché l’italiano è questo, è un Tartuffe dal cuore di tenebra, è il Sacher-Masoch di massa.
Ricordo un episodio de I mostri (1963) di Dino Risi nel quale un ingenuo travet (Ugo Tognazzi) si mette in testa di fare il testimone volontario in un processo per omicidio. L’avvocato difensore (Vittorio Gassman) si fa aiutare da un “amico degli amici” per “setacciare” il testimone (ovviamente ut iustitia sit).
L’avvocato, raccolte le informazione, riesce ad accusare a sua volta l’impiegato di: 1. Aver intascato la differenza sul rimborso di un biglietto di treno, viaggiando in seconda classe invece che in prima; 2. Aver avuto una relazione con una manicure (“Un uomo che è capace di ingannare sua moglie e i suoi superiori, perché non dovrebbe tentare di ingannare la corte?”); 3. Esser stato arrestato per ubriachezza molesta a Capodanno; 4. Avere una sorella schedata presso la questura di Milano; 5. Avere un fratello “quasi demente”; 6. Avere un padre che, durante la Grande Guerra, fu processato per tentativo di diserzione (“Talis pater talis filius, a meno che non si voglia dare un bel calcio a tutte le leggi genetiche del Mendel”). La corte decide naturalmente di cacciare il povero testimone, l’onesto cittadino che ha sentito il dovere di non farsi gli affari suoi.
Anche la covidena è la solita commedia all’italiana, da questo non se ne esce. A meno di non volerla prendere sul serio e allora risalire alle radici del Movimento Cinque Stelle, che sin dal principio accompagnava i coretti sull’o-ne-stà col cupo controcanto dell’arrestateci tutti. Il dipietrismo reale, ve lo eravate scordati? Milioni di italiani intercettati per decenni, con una percentuale di reati impuniti che rimane tra l’80 e il 90%. Un paradosso che si è potuto apprezzare anche durante il “regime di salute pubblica”: runner braccati da sbirri in tenuta Chips mentre a pochi metri di distanza gli “uomini col borsello” proseguivano a spacciare indisturbati. Voi però, se “non avete nulla da nascondere”, dovete pur lasciarvi perquisire diligentemente in ogni orifizio. In fondo, avete votato per questo.
Il tipo italiota del “buon cittadino, virtuoso come un antico spartano”, come ricorda il compianto Paolo Nori (1963-2013) è impersonato dal báizuǒ Michele Serra, che immortalò la sua leggendaria probità in una “amaca” (Repubblica, 7 marzo 2010):
“Avrei bisogno anche io di un decreto interpretativo che mi chiarisse, finalmente, perché ho sempre pagato le tasse. Perché passo con il verde e mi fermo con il rosso. Perché pago di tasca mia viaggi, case, automobili, alberghi. […] Perché se un tribunale mi convoca (ai giornalisti capita) non ho legittimi impedimenti da opporre. Perché pago un garage per metterci la macchina invece di lasciarla sul marciapiede in divieto di sosta come la metà dei miei vicini di casa. Perché considero ovvio rilasciare fattura se nei negozi devo insistere per avere la ricevuta fiscale. Perché devo spiegare a chi mi chiede sbalordito ‘ma le serve la ricevuta?’ che non è che serva a me, serve alla legge. Perché non ho mai dovuto condonare un fico secco. Perché non ho mai avuto capitali all’estero. Perché non ho un sottobanco, non ho sottofondi, non ho sottintesi, e se mi intercettano il peggio che possono dire è che sparo cazzate al telefono. Io -insieme a qualche altro milione di italiani- sono l’incarnazione di un’anomalia. Rappresento l’inspiegabile. Dunque avrei bisogno di un decreto interpretativo ad personam che chiarisse perché sono così imbecille da credere ancora nelle leggi e nello Stato“.
Il “rispetto delle regole” è una delle principali maschere nude scelte dal regime della peste per garantirsi una indecente longevità politica. Sappiamo che in tanti petti piddini si cela ancora una struggente nostalgia per il Governo Monti, il sadomasochismo tecnocratico, la “medicina amara” che gli italiani devono mandar giù anche da sani. Questi sono i “sacerdoti delle regole” amati dalle élite del Paese: l’espressione è tratta dal coccodrillo di Ferruccio De Bortoli, per il “tecnico” Guido Rossi, Un sacerdote delle regole in un Paese che le aggira. Basta un passaggio per capire di cosa stiamo parlando: “È stato un provvidenziale commissario della Figc nel momento più buio del calcio italiano. Lui, tifoso dell’Inter, accettò l’incarico per passione (e un po’ di vanità) e passò sopra a un piccolo conflitto d’interesse”. Non aggiungiamo altro per non maramaldeggiare, ma questo è il sacerdozio tecnocratico a cui anela il bon citoyen all’amatriciana: aver chiesto una volta una fattura per lui vale come un’indulgenza plenaria. “Anche chiedere lo scontrino per un caffè è già fare politica”, sosteneva quel palermitano che nel 2014 in Irlanda uccise il suo coinquilino e cercò di mangiargli il cuore.
Un’altra maschera del regime della peste è l’europeizzazione, che naturalmente al di là della retorica goebbelsiana e degli stracci blu Made in China, significa soprattutto meridionalizzazione del Sud Europa. Perché, si sa, l’industria oltre a inquinare e a togliere spazio ai resort, è anche di per se stessa corruttrice: specialmente l’industria di Stato, corrompe a tutti i livelli, e trasforma l’onesto imprenditore in mazzettaro e l’operaio diligente in fancazzista.
Questo per quanto riguarda il lato piddino. Volgendo lo sguardo al fronte Cinque Stelle (formula che una volta usavamo per i resort di cui sopra, finché non abbiamo intuito che l’Unione Europea non può ammettere alcuna eccellenza italiana e giustamente attraverso il covid vuole anche destrutturare l’industria turistica, bilanciandola adeguatamente tra Madrid, Atene, Lisbona, La Valletta e la costa dalamata), dicevamo, sul Fronte Cinque Stelle che dal punto di vista politico segue lo stesso destino del Fronte dell’Uomo Qualunque, cannibalizzato in una stagione politica da destra a sinistra, spuntano altre maschere pronte all’occorrenza.
La base comune è naturalmente il “regolismo sacerdotale” di cui sopra, ma non va sottovalutato l’apporto dei grillini nella catastrofe italiana. Turboqualunquismo, potremmo definirlo, ché si interseca con numerose tendenze del tempo presente, a cominciare dal modello culturale della “pirateria” che, nonostante le movenze sinistroidi (o forse proprio per quello), è la base ideologica del neoliberismo. Non deve ingannare l’orientamento “assistenzialista” che sembra aver assunto il Movimento: esso è accentuato, oltre che da ovvie necessità di aumentare o consolidare il consenso, anche dal carattere dell’attuale dirigenza, che appare quasi come una mutazione genetica dei democristiani campani.
In realtà, il mito del Sussidistan è appunto solo una maschera: lo scopo di misure come il Reddito di Cittadinanza è la “ristrutturazione” del welfare e l’introduzione nel Bel Paese di un “Piano Hartz” – sempre “all’amatriciana”. Il resto è maquillage: chiaramente l’imposizione dello smart working per emergenza sanitaria è correlata a tutte le superstizioni pseudo-scientifiche ispirata alla “decrescita felice”, tra le quali l’illusione che dall’automazione e dalla digitalizzazione possa scaturire un “mondo più pulito”, oltre che più “equo e solidale”. La realtà però ci dice che la posa dei cavi sottomarini segue le vecchie rotte coloniali e che l’ideologia del cloud computing (“internet pesa meno di una fragola”, sostiene l’idiota tecnologico odierno) necessita di una delle infrastrutture tra le più “pesanti”.
Un ultimo punto che è necessario affrontare, forse il più doloroso, riguarda l’ipocondria degli italiani. Finora era rimasto un leitmotiv di comici perlopiù romani (qualcuno ricorderà le “gare di colecisti” tra parenti raccontate magistralmente da Enrico Brignano o Maurizio Battista), che tuttavia trovava regolarmente un riscontro reale anche sui social.
Questa tendenza nazionale si interseca con le paranoie fomentate dal sistema mediatico internazionale, che ciclicamente propone una nuova peste: AIDS (60.000 casi in Italia dal 1982), SARS (4 vittime di “importazione”), BSE (“mucca pazza”, forse 1 vittima), aviaria (zero vittime), influenza suina (0 vittime) eccetera. Senza contare gli allarmi sul “terrorismo biologico” (antrace, polverine, spore, carbonchio, fonti avvelenate), ricordiamo una delle tante occasioni in cui in cui il giornalismo italiano si trasformò in un kolossal catastrofico, quando le prime pagine di Corriere e Repubblica del 12 settembre 2005 annunciarono: Aviaria, rischio 150mila morti in Italia.
L’espressione “Virus polli” è più significativa di quel che sembra. Perché, alla fine, non moriremo di peste ma di carestia. “Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”, faceva un antico adagio: l’Italia delle mascherine all’aperto e delle mani disinfettate comporterà un abbassamento dell’aspettativa di vita per tutti i ricoveri e le operazioni rimandate a data da destinare. “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà”, faceva un altro adagio (ma questo era Gesù e non la nonna). Così, chi vorrà un’Italia “più onesta” propizierà forme di corruzione tra le più umilianti e straccione: una tenaglia di tecnocrati e spacciatori che sminuzzerà gli ultimi brandelli di classe media. Chi vorrà un’Italia “più europea” la trasformerà in uno sterminato ghetto mafioso dove l’ultimo scampolo di convivenza sarà la guerra civile latente. Chi vorrà un’Italia “più pulita” si renderà complice di imprevedibili disastri ambientali stile Lago d’Aral.
E la crisi perpetua, le catastrofi inscenate, i raffreddori spacciati per pandemia, realizzeranno i desideri “lassativi” della collettività: un alibi per tutte le piccolezze e le meschinità, una détente al perpetuo senso di colpa italiota.