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Una interessante riflessione sul DDL Zan

Pubblichiamo una interessante riflessione apparsa ieri su AbruzzoWeb di Tina Massimini e Alfonso De Amicis (“storici esponenti della sinistra antagonista aquilana”) contro il nefasto disegno di legge approvato alla Camera ma da poco affossato al Senato, probabilmente solo perché concessa la possibilità di voto segreto, tenendo in conto la forte pressione politico-mediatica e le promesse di demonizzazione immediata a chi avesse osato opporsi. Anche per questo riproponiamo l’intervento che segue, a monito di un pericolo non del tutto scampato:

«Il Ddl Zan non ha avuto una maggioranza in Parlamento. Questo era evidente già da tempo. Il voto parlamentare è avvenuto ad uso e consumo della politica spettacolo utile solo per vendere sé stessi. Infatti esistevano proposte molto ragionevoli di emendamenti che avrebbero eliminato le criticità già segnalate da molti: lo sproloquio filosofico iniziale sull’identità di genere, l’uscita incostituzionale (e scritta con i piedi) dell’articolo 4, l’indottrinamento obbligatorio nelle scuole.
Sono tutti argomenti che hanno rivelato che il vero intento della legge non era quella di tutelare una minoranza, ma di creare le premesse per poter perseguire penalmente le opinioni contrarie all’ideologia e alla prassi dei gruppi promotori.
Inoltre, per la prima volta, è entrata in gioco la messa in discussione della libertà di opinione e di espressione, riconosciute sì “legittime” ma che dovrebbero essere sottoposte al giudizio aleatorio con la pretesa di eliminare/ridurre la possibilità di istigare comportamenti violenti (non si sa bene decisi da chi).
Era questa la vera questione centrale, che non mi pare sia stata riconosciuta come tale da un dibattito che si è soffermato su problemi rilevanti ma secondari. Ed è abbastanza incredibile l’atteggiamento del Partito democratico, che ha rifiutato qualunque mediazione e che ha preferito legarsi mani e piedi alla lobby più arrogante e strampalata tra quelle prodotte dal delirio di onnipotenza della sinistra liberal” (per dirla con Gianpasquale Santomassimo – storico docente dell’Università di Siena e redattore della rivista il Manifesto).
[…] Dove trae tanta forza un movimento che, di fatto, esercita una dittatura del diritto individuale ad avere diritti e che però si contrappone alle lotte sull’uguaglianza sociale?
Si vuole forse evocare il famoso slogan del ’68 “vietato vietare”? O si tratta piuttosto di una lobby che si è trasformata in un manifesto “dell’anarchia individualista” così come caldamente descritto da Robert Nozick nel libro Anarchia, Stato e Utopia?
Pare che questa triste storia si inscriva in quel tentativo di creare un “uomo nuovo” fortemente voluto dal neoliberismo costruito con la metodica cultura del dominio economico e della gramsciana concezione di egemonia.
Questo tentativo nacque intorno al 1978 dentro la crisi di liquidità del comune di New York. Si trattava di dare una duplice risposta alla crisi di accumulazione capitalista e al fatto che la città era stata volutamente portata al livello di “tecnicamente fallita”.
Le banche si rifiutarono di rinnovare il debito spingendo la “Grande Mela” alla bancarotta. Quindi imposero che gli introiti fiscali della città fossero impiegati prima di tutto per ripagare i titolari di obbligazioni e con quel che rimaneva si sarebbero pagati i servizi essenziali. Nel giro di pochi anni le conquiste della New York operaia furono cancellate. Gran parte della infrastruttura sociale della City fu indebolita, la vita quotidiana divenne faticosa e l’atmosfera cittadina si fece squallida. La vecchia New York operaia, multietnica e multirazziale faceva posto alla città culturale e turistica, alla City emblema della diversità degli stili di vita, delle diverse correnti cosmopolite, eccetera.
Nacque così il logo “I love New York”. L’esplorazione narcisistica di sé, della sessualità e dell’identità divenne il leitmotiv della cultura borghese urbana. La libertà artistica e la licenza artistica portarono di fatto alla neo-liberalizzazione della cultura. La New York “delirante” cancellò la memoria della New York “democratica”. Le élite cittadine acconsentirono – anche se non senza lottare – alla richiesta di diversificazione degli stili di vita (inclusi quelli legati alle preferenze sessuali e alle identità sessuale).
New York divenne l’epicentro della sperimentazione culturale e intellettuale postmoderna. Pare evidente che durante questa fase travagliata l’Italia fosse sempre più colonizzata – prima di tutto sul piano economico, produttivo e sociale – e subisse l’influsso di un individualismo sfrenato.
La “sinistra liberal” ha utilizzato le diverse sensibilità culturali e sessuali per convogliarle in percorsi che nulla hanno a che fare con la sensibilità dei singoli, ma come clava per non disturbare il manovratore.
Si è trattato di un gioco in commedia per distrarre l’attenzione e per nascondere il fatto che hanno sostituito i diritti collettivi con quelli individuali, contrapponendo la libertà collettiva con la libertà individuale. È la vecchia storia del divide et impera. Che però funziona ancora».

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