È sempre più desolante il panorama destrorso italiano, con tutti questi commentatori che vorrebbero fare di Israele un baluardo contro l’immigrazione islamica, presentando lo sterminio degli abitanti di Gaza come un “lasciapassare” per un eventuale “blocco navale” o altre soluzioni fantapolitiche.
L’unico dettaglio ameno è che le comunità ebraiche, nonché gli israeliani di doppia nazionalità, continuano comunque a disprezzare pubblicamente la destra italiana e restano intenzionate a mantenere la loro identità pseudo-progressista, preferendo semmai presentare lo Stato ebraico come bastione dell’antifascismo, della democrazia, della libertà, della laicità, del multiculturalismo ecc…
Non ho voglia di imbastire attacchi ad personam (nei giorni scorsi purtroppo ho dovuto citare Silvana De Mari perché stava andando davvero oltre), tuttavia qualcosa bisogna pur dirla.
In primis, va osservato quanto sia ingenuo credere che Israele voglia combattere le guerre (per giunta ideologiche) dei goyim. Persino la loro destra più estrema non riesce in alcun modo a considerare populisti e sovranisti delle altre nazioni come “alleati”; al contrario, in tale milieu si discute quotidianamente (in ebraico, così nessuno capisce) di come dirottare le masse di profughi palestinesi direttamente nel Vecchio Continente, in modo, tra le altre cose, di “vendicare” il secolare antisemitismo delle nazioni gentili, favorire l’aliyah tra le comunità assediate nelle periferie europee arabizzate al fine di rimpolpare i desolanti dati demografici della nazione (calibrata -mai dimenticarlo- su una prospettiva etnocentrica) e sbarazzarsi del maggior numero di arabi possibile assicurandosi che una volta accolti nelle generose braccia dei vasi sistemi di welfare occidentali quasi certamente non vorranno tornare a morire per Gaza (cosa invece tutt’altro che garantita da un loro eventuale sfollamento nei Paesi musulmani limitrofi, che anzi farebbero qualsiasi cosa per rispedirli indietro il prima possibile).
In secondo luogo, la storia israeliana dimostra che se non fosse per il conflitto in atto, lo Stato ebraico non avrebbe alcun problema a trattare con arabi o musulmani, ad onta di qualsiasi “ipoteca” giudaico-cristiana che atlantisti e fallaciani pongono sull’altrettanto immaginario “scontro di civiltà”.
Pensiamo, per esempio, al conflitto nei Balcani degli anni ’90: se da un lato Tel Aviv riforniva di armi i serbi (scandalo messo a tacere dalle autorità per “non danneggiare le relazioni internazionali del Paese”), dall’altra non solo accoglieva di buon grado i profughi bosniaci, ma al contempo stringeva solide relazioni diplomatiche con Sarajevo, fino quasi al punto di portare la Bosnia a diventare, nel 1999, la prima nazione al mondo a riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, una mossa scongiurata dalla pressione della Lega Araba, che tanto aveva fatto anche in termini militari per far nascere la piccola enclave islamica a ridosso dell’Europa. Lo stesso schema, peraltro, si è ripetuto una ventina d’anni dopo, quando il Kosovo è diventato a tutti gli effetti il primo stato a maggioranza musulmana ad aprire un’ambasciata a Gerusalemme, sempre con il rammarico delle nazioni arabe (e la gioia di Netanyahu).
Allo stato dell’arte, la Bosnia è massicciamente schierata in favore della Palestina, tanto che persino i militanti dello storico Partito d’Azione Democratica (fondato dal primo Presidente della nazione, Alija Izetbegović e quasi sempre al governo), per quanto democratici e laici, non disdegnano di scendere in piazza a inneggiare per Hamas…
Questo è solo uno dei tanti esempi di come l’idea che Israele possa fungere da antemurale contro l'”invasione islamica” dell’Europa sia una proiezione priva di fondamento, una delle tante illusioni ottiche di questa destra divisa tra neoconservatorismo, filosemitismo romantico e islamofobia libertaria.
Non auguro loro di fare la fine di quel tontolone di Tommy Robinson, estremista britannico che si ostina a sfilare avvolto nella bandiera israeliana nonostante venga regolarmente invitato dalla comunità ebraica a non presentarsi perché estremista, razzista, fascista ecc… Però un qualche bagno di realtà sarebbe pur necessario, almeno per garantire nella stampa conservatrice un barlume di pluralismo sulla questione.