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L’Altra Europa nel gulag (con Tsipras e Žižek)

Mentre la sinistra di tutto il mondo esulta per il “miracolo greco“, la triste realtà di un Paese ridotto in ginocchio ci comunica soprattutto un senso di impotenza, una frustrazione che forse nemmeno l’annientamento elettorale della cricca tsipriota potrà alleviare. Nel frattempo ci consoliamo con un po’ di Schadenfreude nei confronti di quel cialtrone di Slavoj Žižek, che è stato uno dei principali promotori di Syriza nei cenacoli euro-chic: ricordo il suo instancabile attivismo nello spingere il compagno in camicia bianca come una sorta di versione borghese di Lenin. Il “tour promozionale” fu talmente esaltante che il supercazzolista si concesse rodomontate stile épater la bourgeoisie, ottenendo peraltro il successo sperato di fronte a un centro-destra greco ingenuo e cazzone come quello italiota: «Quelli che non sostengono Syriza, nella mia visione di un futuro democratico, avranno un biglietto di sola andata in prima classe per il gulag» (Il filosofo sloveno Žižek propone i gulag per chi non appoggia Syriza, “Ekathimerini”, 20 maggio 2013).

Il contesto della battutaccia è semplice da comprendere: Žižek ironizzava sul fatto che sarebbe stato interesse della classe media e della piccola borghesia votare Syriza, perché in fondo il programma del partito, lungi dall’essere “rivoluzionario”, era al contrario pensato per salvare nientedimeno che il capitalismo stesso, permettendo di risolvere la contraddizione tra una “borghesia patriottica e produttiva” e i “gangster della finanza internazionale”.

Questa visione ingenua venne demolita “in diretta” da un pezzo di “Marxist.com” risalente appunto alla stessa epoca dei Live Aid tsipro-zizekiani (settembre 2013), nel quale i compagni “duri e puri” implicitamente sollevavano un dubbio condivisibile: perché il capitalismo, invece di riformarsi da sé con una spruzzata di socialdemocrazia e un tocco di keynesismo, dovrebbe delegare la sua salvezza a gente come Tsipras? La risposta data dai marxistoni (legati al KKE) era ovviamente sbagliata (soprattutto alla luce di quello che è stato il comunismo greco): tuttavia l’obiezione, oltre a risultare già da allora azzeccata, col senno di poi si è rivelata addirittura profetica. Tsipras non ha salvato la Grecia e il capitalismo non ha salvato se stesso: stavolta l’ha detta giusta pure quel tonto di Varoufakisthey made a desert and called it peace.

L’unico a salvarsi in questa catastrofe alla fine è stato proprio Žižek, che in corsa ha mascherato da abiura una pura e semplice Apologia pro vita sua, addossando tutte le responsabilità ai tecnocrati dell’Ue e all’irrazionalità dei capitalisti che non si vogliono riformare (quindi non ha nemmeno letto le obiezioni dei Marxists di cui sopra). In compenso, ha continuato a fare da agit-prop per la crema dei rivoluzionari da salotto, giostrandosi tra Piazza Taksim e Occupy Wall Street, le primavere arabe e Bernie Sanders. Una piccola consolazione, come dicevo, è che da Tsipras in avanti il parolaio si sia preso costantemente pedate nel didietro: praticamente gli unici gonzi a cascarci sono stati quelli, che sognando L’Altra Europa, hanno trasformato la Grecia nell’incubo di un tecnocrate.

Sono costoro che in effetti meriterebbero il gulag: non i greci, che sono stati semplicemente traditi dal solito Efialte. Certo, dare il proprio voto a uno come Tsipras, che ha fallito anche nelle vesti della zekka (i giornali hanno impietosamente pubblicato le sue foto al G8 di Genova, quando venne subito rimpatriato senza nemmeno spaccare una vetrina), non è stata una bella pensata: ma all’epoca era stato messo in campo un apparato propagandistico eccezionale per farne appunto il simbolo di un’Altra Europa prossima ventura. Le favole di Esopo purtroppo non sono servite a contrastare quelle di Žižek. Ora però l’infinita agonia della sinistra sembra finalmente giungere a un esito (positivo o negativo poco importa): anche se i trombati dell’Altra Europa hanno ancora in mano il quarto (e il quinto) potere, le persone stanno finalmente aprendo gli occhi.

Non è retorica: le rivoluzioni appoggiate dagli Žižek non sono soltanto “colorate”, sono scintillanti e fantasmagoriche, costruite a tavolino con un’acribia da registi di regime. Ci vuole un enorme grado di scetticismo e consapevolezza per accorgersi dell’inganno: ancora oggi, infatti, c’è chi non ha capito nulla. Ci sono, per esempio, quelli che credono che la “rivolta ambientalista” fomentata in Turchia nel 2013 non avesse nulla a che fare con il golpe seguito pochi anni dopo. I loro limiti ideologici, e forse anche intellettivi, gli impediscono di riconoscere il lupo dell’alta finanza travestito da agnello arcobaleno. Del resto, quelli che impongono le etichette di “buoni” e “cattivi” a mezzo mondo sono gli stessi che hanno esaltato Lula come un novello Che Guevara, per poi liquidarlo come un Mario Chiesa qualsiasi.

Ora però i nodi vengono al pettine: la vittoria di Trump ha talmente spiazzato il potere opaco che nessuno è ancora corso ai ripari, né a livello politico, né tanto meno teorico. Lo stesso Žižek continua a illudersi che il magnate repubblicano non sia che una controfigura di Bernie Sanders, attribuendo così ogni ricaduta positiva delle sue politiche (“Trump ha fatto anche cose buone”!) a una rivincita della sinistra. Ah ah ah. Non è ironico che la sinistra, in particolare quella italiana, abbia preteso il monopolio dell’elaborazione culturale e ora non sia più capace di gestirlo? Tutti questi marxisti da caffè, questi riciclati lottacontinuisti e sessantottini, una volta così abili a sfoderare le loro lingue di legno, nemmeno si sono accorti che l’America di Trump non è già più un Paese capitalista. Mentre Žižek si racconta che Trump è una creazione del capitalismo per salvare se stesso (una “continuazione di Tsipras con altri mezzi”!), in realtà osserviamo che paradossalmente è stato proprio uno dei più grandi rappresentanti di tale sistema economico-sociale a porre le basi del suo superamento.

Il discorso è difficile da affrontare in un post che voleva essere solo uno sfanculamento (“Tsipras è una cagata pazzesca”), tuttavia per rimandarlo con due parole ad altra sede: quello di cui nemmeno si accorgono i “duri e puri” è che il modello politico, economico e sociale rappresentato da Donald Trump è in contrasto con quello proposto dal capitalismo così come si è configurato negli ultimi decenni. La lettura materialistica più diffusa è che semplicemente ora il capitale internazionale farà “un passo indietro” e tornerà a fare profitti attraverso il nazionalismo come un secolo fa: ma dal momento che “il diavolo si nasconde nei dettagli”, sono proprio le condizioni di questo “passaggio” a risultare impensabili, se non impossibili. Tutto quello che il capitale concederà a Trump, dovrà farlo con riluttanza: per questo, tornando alla provocazione iniziale, sono convinto che chi oggi teme il lager dovrà invece preoccuparsi di non finire nel gulag.

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