«Non c’è idea più sciocca che credere di conquistare una donna offrendole lo spettacolo del proprio ingegno. L’ingegno non corrisponde in questo alla bellezza, per la semplice ragione che non provoca eccitamento sensuale; la bellezza sì.
Tutt’al più si può conquistarla in questo modo, quando l’ingegno appaia un mezzo di acquistare potenza, ricchezza, considerazione – valori di cui per riflesso la donna, lasciatasi conquistare, godrebbe anche lei. Ma l’ingegno, come stupenda macchina che si muove disinteressatamente, lascia indifferente qualunque donna.
Verità che non dovresti dimenticare».
(Cesare Pavese, 31 agosto 1940)
Ultimamente si fa un gran parlare di sapiosessualità, ovvero la cosiddetta “attrazione sessuale per l’intelligenza”: per esperienza posso affermare che incontrare una donna attratta sessualmente dall’intelligenza è un evento talmente raro da risultare praticamente impossibile, a meno che non si vogliano interpretare come “attrazione” sentimenti quali l’ammirazione, la simpatia, o la stima.
Potrei evocare decine di aneddoti: ricordo per esempio quando ottenni una sorta di appuntamento con una di queste auto-proclamatesi “sapiosessuali” e riuscì nell’impresa di non farmi trovare mai impreparato su qualsiasi argomento di discussione (perché se uno si convince che la sapiosessualità esista, è chiaro che inizia a pensare le interazioni tra uomo e donna come il fatidico “esame che non finisce mai”).
“Azzeccai” infatti i suoi gusti musicali (non che fosse difficile, ché alle donne tra i 20 e i 40 in genere piacciono gli Arctic Monkeys e poco altro) e le sue serie televisive preferite (cosa meno semplice, visto che l’unica appena sopportabile resta The Sopranos), dimostrando inoltre una discreta competenza in ambito di film pseudo-femministi (quelli dove fanno interpretare Virginia Woolf a Nicole Kidman e Frida Kahlo a Salma Hayek). Al di là di qualche incursione in campo libresco (Allende, Zafón, Ballard) e sparute nozioni di filosofia e psicologia, l’acme della “sofisticatezza” si raggiunse quando la discussione cadde sul Rembrandthuis, la casa-museo di Rembrandt ad Amsterdam (e nemmeno su quello riuscì a cogliermi in fallo).
Secondo i canoni dell’arte della seduzione, della conversazione urbana e dei “quindici trucchi per farla innamorare”, l’incontro si rivelò quindi un successo, tanto che ottenni un altro “appuntamento”: fu proprio al secondo insperato rendez-vous che compresi, senza grandi sforzi, che la sapiosessuale mi vedeva solo come una piacevole compagnia pomeridiana.
Ovviamente da quell’istante in avanti gli incontri si fecero piuttosto sgradevoli, soprattutto quando lei cominciò a rimproverarmi di avere poca autostima e di provare un certo compiacimento nel denigrare me stesso. Questa è del resto la ramanzina standard che puntualmente rifilano tutte, con lo scopo neanche troppo recondito di addossare al maschio persino la responsabilità di aver fallito (in modo da non dover neppure riconoscere di aver contribuito a fare scempio della mia autostima). Sì, insomma, la conclusione è che la sapiosessuale era “attratta” da me da tutti i punti di vista, tranne che da quello sessuale.
E allora siamo costretti a mandar giù la “pillola rossa” quotidiana: quando le donne affermano di essere attratte sessualmente dagli uomini intelligenti, implicitamente pretendono che l’uomo in questione sia attraente anche dal punto di vista fisico. Una prova indiretta sono le immagini a corredo degli articoli dedicati alla “attrazione sessuale per l’intelligenza”: giovani modelli palestrati con gli occhiali o con un libro in mano (fonti: qui, qui e qui).
Non capita mai che l’uomo intelligente sia raffigurato con le sembianze, chessò, di un Adorno (che però si illudeva di piacere alle studentesse).
Dunque in conclusione non si può che condividere la “postilla pavesiana” di un lettore: «Il solo ingegno può andar bene sul breve periodo, dopo abbisogna di concretezza». Con una correzione però: l’ingegno non vale nemmeno sul breve periodo. Pretendetela con filosofia (non come Adorno, quindi).