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I maschi bianchi non vogliono più combattere per l’Occidente

L’esperto di sicurezza Robert Clark, che ha combattuto per l’esercito britannico in Iraq e Afghanistan, pubblica per il Telegraph un aspro editoriale contro il razzismo anti-bianco delle società occidentali, che mal si combina con la richiesta di andare a morire in giro per il mondo per difendere quelle società stesse: White men no longer want to fight for a nation that scorns them (18 gennaio 2024).

Vorrei cominciare esprimendo il mio punto nel modo più chiaro possibile: non c’è assolutamente niente di peggio per l’efficacia in combattimento di un esercito, che trasformare delle campagne di reclutamento in programmi di ingegneria sociale.

È notizia recente di come l’esercito americano abbia assistito a un drammatico calo del numero di reclute bianche: il sito web Military.com ha rilevato una diminuzione di 10.000 unità rispetto all’obiettivo di 65.000 arruolamenti.

I giovani americani pronti alla diserzione di massa: che la diversità combatta pure le sue guerre

Alla base di questo calo c’è appunto la drastica diminuzione delle reclute bianche, passate da 44.042 nel 2018 a 25.070 nel 2023, che ha portato la percentuale di reclute bianche dal 56,4% di tutte le reclute nel 2018 a solo il 44% attuale. Secondo il censimento statunitense del 2022, circa il 59% di tutti i cittadini statunitensi è bianco. L’esercito americano è composto per il 17% da donne, quindi la crisi di reclutamento riguarda principalmente i maschi bianchi.

Chiaramente, qualcosa all’interno del sistema di reclutamento dell’esercito americano non funziona, sia in termini di obiettivi (totalmente mancati), sia in termini di incapacità di arruolare reclute nel più grande gruppo etnico della nazione.

Le forze armate del Regno Unito si trovano -il che è deprimente- in una situazione simile. Anche se gli obiettivi di reclutamento non vengono mai raggiunti, la priorità principale non è convincere più persone ad arruolarsi, bensì convincere più persone non bianche e più donne ad arruolarsi.

Il mancato raggiungimento degli obiettivi di reclutamento è una cosa, la propaganda riguardo alle “quote” (ispirate da motivi politici e ideologici profondamente errati) è un’altra. Nell’ennesima mossa inconcludente e controversa per tentare di risolvere la crisi di reclutamento dell’esercito britannico, la scorsa settimana il segretario alla Difesa Grant Shapps ha dichiarato che “le donne sono la soluzione alla crisi di reclutamento delle forze armate”.

Questa non è che l’ultima iniziativa volta a tentare di imporre l’uguaglianza di risultati [equality of outcome] nell’esercito britannico. Il miglior esempio di questa agenda woke è il vergognoso fiasco del reclutamento della Royal Air Force del 2022, quando si scoprì che i candidati donne e appartenenti a minoranze etniche avevano la priorità rispetto alle reclute maschili bianche, indipendentemente dall’idoneità al compito.

È evidente che ciò viola le leggi sul lavoro ed è quindi una pratica illegale. L’allora capo della RAF, Sir Mike Wigston, riuscì opportunamente a evitare qualsiasi giudizio da parte della pubblica opinione, anche se la sua reputazione andò giustamente in malora dopo che tentò di difendere queste regole caotiche e disonorevoli. Il suo successore, Sir Richard Knighton, si poi è scusato per la faccenda.

Odio doverlo scrivere, ma imporre l’uguaglianza in un settore così importante come la difesa della nazione non è la soluzione alla nostra crisi di reclutamento. Ci sono tante cose da migliorare: gli alloggi militari necessitano di urgenti miglioramenti; i contratti della Difesa con fornitori di servizi scadenti devono essere abrogati e le opere appaltate ai migliori; la retribuzione deve aumentare almeno nella media rispetto ad altri enti del settore pubblico, se non molto di più, date le competenze richieste e i rischi vita che chiediamo ai nostri uomini e donne in uniforme di correre per nostro conto. Il governo deve migliorare l’offerta e creare condizioni di lavoro più in linea con le aspettative della società di oggi, bilanciando al contempo la necessità di diminuire la mortalità in combattimento.

C’è anche un problema più ampio nella società: già da tempo sono all’opera i seguaci dell’affirmative action e della cosiddetta “teoria critica” della razza, il cui obiettivo è offrire a tutti i gruppi etnici la priorità tranne che a uno, fino a far diventare un enorme svantaggio nascere bianchi e maschi, in particolare quando si tratta di ottenere una promozione o un lavoro (come nel caso della RAF di cui sopra)

Un altro esempio britannico riguarda Channel 4, un canale televisivo che ha suscitato proteste per aver nominato, su cinque nuovi direttori, quattro persone bianche. Questo numero è stato ritenuto eccessivo, nonostante più dell’80% dei britannici sia bianco. Un esempio statunitense è il recente caso della società di contabilità PWC, che è stata infine costretta a consentire ai giovani bianchi di candidarsi per il suo programma di tirocinio [all’insegna della “diversità”, cioè dell’esclusione appunto di persone bianche].

Non è perciò una sorpresa, quindi, che i giovani bianchi ora siano apparentemente meno disposti a difendere, a rischio della propria vita, una società che li discrimina e li incolpa per tutti i mali della storia, mali con cui loro non hanno nulla a che fare.

Recentemente, la Corte Suprema degli Stati Uniti si è mossa per porre fine all’affirmative action nell’istruzione superiore, ma a questo punto la “discriminazione positiva” dovrebbe essere abolita anche in altri settori.

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