Recensiamo soltanto ora, con colpevole ritardo, la raccolta di memorie diplomatiche del senatore Antonio Razzi, Te lo dico da Nobel (Graus Edizioni, 2019), una scorribanda mozzafiato per i quattro angoli del pianeta da parte di uno dei tanti straordinari animali politici che il Bel Paese abbia regalato al mondo.
Il senatore Razzi si presenta come un “uomo libero” che non teme il confronto con i potenti della terra, il cui unico scopo è farsi alfiere di quell’Italia “pacifica e ingegnosa” il cui ruolo si sente chiamato a promuovere sullo scacchiere internazionale. Centro della sua attività diplomatica, orientata da un fine istinto geopolitico, è naturalmente la Corea del Nord, patria elettiva da lui idealmente associata al natio Abruzzo e alla sua seconda “casa”, la Svizzera. È dunque sull’asse Pescara-Zurigo-Pyongyang che il politico di Giuliano Teatino costruisce il suo concetto di Heartland, “cuore pulsante” di un nuovo ordine mondiale tra Paesi “ancora legati alla terra”, come appunto l’Abruzzo e la Nord Corea (dove anche le montagne sono sacre, ricorda il Nostro con un filo di commozione: “Là dei monti hanno un vero e proprio culto”) .
Il criterio da cui l’intraprendente Senatore si fa dirigere è quella che lui definisce “saggezza abruzzese”: un concentrato di sapienza tradizionale che collega gli elementi più compositi, dal folklore alla gastronomia, alle dottrine classiche del pensiero politico europeo. Per esempio, il buon Kim Jong-un, ormai amico fraterno (a cui ha potuto approcciarsi autonomamente e senza mediatori grazie alla perfetta padronanza dell’idioma germanico, “che probabilmente gli ricordava la sua gioventù” da studente a Berna) a suoi occhi appare come “un vecchio democristiano, uno di quei dirigenti di una volta che vogliono accontentare tutti”.
La stessa ideologia ufficiale della Repubblica Popolare Democratica di Corea, il cosiddetto Juche, viene da Razzi inquadrata in categorie comprensibili a orecchie occidentali (che spesso fingono di non sentire): “Una sorta di via di mezzo tra comunismo e tradizionalismo coreano, con un po’ di autarchia e patriottismo”. Grazie a tale ampiezza e chiarezza di vedute, il Nostro non cade nell’equivoco dell’anticomunismo “per partito preso” (è proprio il caso di dirlo!), che lo porterebbe ingenuamente a disprezzare “case, luce e gas, scuole e ospedali gratuiti, lavoro assicurato e sicurezza ovunque, igiene delle strade e un grande senso di appartenenza”.
Il Senatore, insomma, sa il fatto suo, come ricorda a quel Berlusconi da cui si è sentito tradito, ma che nelle pagine del volume ha poi trovato modo di perdonare:
“Potevo essere l’orgoglio di Forza Italia, potevano dire che nel partito c’è un amico di Kim che in qualsiasi momento può riportare la pace nel mondo. E invece niente […] Io non sono uno straccio! Non sono il ciuccio che credono. Io sono Razzi. E di Razzi ce n’è uno solo“.
Pace è in effetti il concetto portante della “saggezza abruzzese”. Quando, tanto per citare, il presidente dell’Assemblea Suprema del Popolo Kim Yong-nam gli domanda come l’Italia riesca ad intrattenere buoni rapporti con tutti, il Senatore non si tira indietro e gli fa capire in due parole come funziona dalle nostre Parti:
“Noi italiani non siamo fatti per avere nemici. Quando c’è qualche difficoltà di dialogo, ci mettiamo a tavola, e davanti a un bel piatto di spaghetti e un bicchiere di vino passa tutto”.
Quella fu la prima volta che i collaboratori di Sua Eccellenza riuscirono a vederne la dentatura, poiché Kim Yong-nam non si era mai concesso di ridere in pubblico.
Gli aneddoti sulla Corea del Nord, dagli usi e i costumi dei suoi abitanti alle meraviglie paesaggistiche, sono del resto il pezzo forte del volume; in alcuni casi lo stile di Razzi raggiunge vette toccate forse dai resoconti degli esploratori dugenteschi, come nell’immaginario dialogo con un amico al bar centrale di Giuliano Teatino:
«“Amico caro, [la Nord Corea] si trova in Asia, ma lontano, nell’estremo Oriente. Sotto la Cina. Infatti gli abitanti sono molto simili ai cinesi”, e qui avrei riprodotto il classico viso orientale, tendendo gli occhi con le dita.
“E che ti hanno fatto mangiare, Anto’?”, avrebbe chiesto [l’amico] […].
“Eh, un piatto simile al nostro cardone. Buonissimo!”.
Il cardone, per chi non lo conosce, è una minestra diffusa sull’Appennino. È a base di diversi tipi di verdure. E in effetti il loro malgeunguk, che avevo trovato delizioso, ricorda molto il cardone, la nostra mitica minestra invernale, diffusa in tutto l’Appennino centromeridionale; solo è un po’ più piccante».
Tuttavia, anche un amante della pace come Antonio Razzi, affascinato dalla “bellezza come lingua universale” e dalla “sacralità del dono come simbolo di un ponte tra popoli e culture diverse”, non può sfuggire alla feroce dialettica schmittiana Freund/Feind. Gli amici del Senatore, d’altro canto, sono tanti: gli abruzzesi, gli svizzeri, i nordcoreani, Berlusconi, Putin, Maduro e Assad; ma anche i nemici non gli mancano. In primis la bestia nera dell’umanità, il vero avversatore dell’amicizia tra popoli della fratellanza universale: come tutti avranno capito, ci riferiamo al Partito Democratico.
Dopo che per anni, con immensi sforzi e una tenacia incomparabile, il Nostro era riuscito ad aprire un canale diplomatico con Pyongyang anche a livello sportivo, facendo giungere nel 2017 in Italia giovani talenti come Han Kwang-song (Cagliari) e campioni in erba come Choe Song-hyok (Fiorentina), ecco che due deputati piddini si scagliano in parlamento contro il tesseramento dei calciatori coreani, sostenendo che i loro stipendi “sarebbero stati usati dai governanti della Corea del Nord per costruire una bomba atomica“. Razzi è indignato: “Prendono poco più di mille euro al mese e devono anche mantenersi. E a sollevare questa assurdità sono proprio gli ex comunisti!”.
Quella interrogazione parlamentare avrebbe distrutto la carriera dei poveri ragazzi nordcoreani, se il Senatore non avesse continuato a proteggerli sotto la sua ala senza timore di minacce e insulti. Tenendo il punto come sempre, contro tutto e tutti: “I loro cartellini sono schizzati in alto, per Han adesso ci vogliono quasi venti milioni di euro. Ora sì che ci possono fare una bella bomba! (Scherzo!)”.
L’altra nemesi del mite senatore sono gli Stati Uniti d’America. Nonostante la sua stima verso Donald Trump per il modo in cui ha gestito i rapporti con Kim (incontrandolo, a suo parere, da “vero abruzzese”), gli yankee rimangono comunque un pericoloso avversario geopolitico: “Se quasi tutti i Paesi del mondo li detestano un motivo ci sarà”. A suo parere le nazioni del mondo dovrebbero ribellarsi al “giogo americano” agendo “sul genere Craxi a Sigonella”.
Anche per questa avversione fieramente portata verso Washington (“Lo si sarà capito che non sono proprio un fanatico degli Stati Uniti”), che lo rende un vero e proprio patriota eurasiatico, Razzi si considera “un tifoso convinto del continente unito”, un fautore degli Stati Uniti d’Europa su modello di Napoleone Bonaparte, Victor Hugo, Mikhail Bakunin e Luigi Einaudi (sì, li cita tutti). Sulla scorta della nota massima gollista sulla visione di un’Europa unita da Lisbona a Vladivostok, il Senatore punta più in alto: un’Eurasia quieta e laboriosa da Pescara a Pyongyang.
Il sogno di Razzi è dunque anche il nostro sogno: al bando gli snobismi e la puzza sotto il naso. Il Senatore è uno dei pochi politici del dopoguerra ad aver fattivamente operato per emancipare l’Italia dalla gabbia atlantista (“Quando uno vuole può ribellarsi al giogo”) e forse questo è l’unico motivo per cui noi siamo costretti a considerarlo un guitto.