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Impedite che le vostre città diventino come Milano

Il sindaco piddino di Milano, un tecnocrate che ormai è lì da troppo tempo (anche per assenza di una qualsiasi alternativa), ha deciso per il quarto anno di fila di non organizzare alcun concerto di Capodanno in Piazza Duomo: dopo il covid, è tornata di moda l’austerity (“La decisione di non farlo è mia. Credo che in questi momenti così difficili vadano privilegiate altre cose”, così il Primo cittadino).

La conseguenza immediata è stata che gli immigrati arabi di prima e seconda generazione si sono -letteralmente- presi la piazza, come del resto fanno tutto l’anno bivaccando, fumando e bevendo davanti al Duomo e nei pressi del monumento a Vittorio Emanuele e della scalinata dell’Arengario, mentre l’ingente schieramento di vigili, polizia, carabinieri e soldati li osserva senza battere ciglio (talvolta si vedono giovani africani o magrebini, probabilmente spacciatori, sedersi sulle auto degli sbirri e farsi spavaldi un selfie o una foto, mentre gli agenti fingono sempre di non vedere).

@milanobelladadioofficial Capodanno in Piazza Duomo, #milano #italy #nye ♬ original sound – milanobelladadio

Sui media mainstream se n’è discusso poco, anche perché in effetti non c’è più molto da dire: a fare eccezione Mario Giordano che nella sua trasmissione “Fuori dal Coro” ha confezionato il tipico servizio stile Rete4 chiosandolo con una generica condanna all’Eurabia di fallaciana/fallace memoria, il modo migliore per mandare in vacca qualsiasi discussione seria sul tema.

Quello che si è verificato in Piazza Duomo ha infatti poco a che fare con una “conquista islamica” (non c’erano nemmeno quelle bandierine palestinesi ultimamente tornate tanto di moda): il fatto che i presenti fossero quasi tutti nordafricani e subsahariani di certo ha avuto una qualche influenza sullo “stile” dei festeggiamenti, ma il fulcro della questione è l’immigrazione, e non l’identità etnico-politica-religiosa degli immigrati (poi è chiaro che, pistola alla testa, uno preferirebbe trovarsi in una piazza piena di filippini piuttosto che marocchini).

Questa massa informe unita solo da sciattezza, degrado e perversione è l’espressione più pura del sistema che ci governa, che non è islamico (semmai chiamerei in causa altre religioni o etnie per definirlo), ma è una forma di controllo basata sul caos (c’è chi parla di anarco-tirannia).

Probabilmente Milano ha battuto l’ennesimo record nella decadenza, perché almeno nelle altre piazze europee (oggi l’aggettivo “europeo” per l’appunto descrive una città piena di immigrati che defecano per strada) c’erano ancora alcune femmine indigene disposte a lasciarsi molestare dai magrebini di turno: in tal caso, invece, persino le suffragette del cosmopolitismo meneghino hanno preferito disertare un’occasione di reciproco arricchimento culturale.

Non so se altre città italiane abbiano accolto il 2024 nello stesso modo: penso a Torino, Bologna, Genova, ma anche a Brescia, Treviso, Ferrara, Padova o Parma, tutti centri devastati negli ultimi anni da un afflusso senza precedenti di immigrati. Esisteranno però, o almeno spero, alcune realtà ancora al di qua del punto di non ritorno?

Difficile dirlo, anche perché non sembra affacciarsi all’orizzonte alcuna soluzione politica plausibile (anche votare a destra serve a poco o a niente). Escludere gli stranieri, ghettizzarli o boicottare le loro attività è un’alternativa altrettanto impraticabile, così come impedire a chi fa tanto l’ariosofo sui social di meticciarsi (il fascino afrobalcanico è evidentemente irresistibile).

Cosa rimane? La fuga sarebbe una risposta imbarazzante e paradossale. L’autoghettizzazione costa parecchio e non è un caso che al momento se la possano permettere solo i più accaniti sostenitori dell’immigrazione selvaggia. Per quanto riguarda altre strategie, andrebbero discusse in sedi adatte (espressione con cui non si intendono, ovviamente, birrerie, bunker o catacombe).

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