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Lyndon LaRouche, il complottista combattente

Lyndon LaRouche (8 settembre 1922 – 12 febbraio 2019), pittoresca figura di intellettuale e attivista americano scomparso la scorsa settimana, merita di essere ricordato come straordinario animale politico: definizione che certamente non avrebbe amato, sia perché risale –in tema di zoologia fantastica– alla sua “bestia nera” Aristotele, inserito in una fantasmagorica rilettura della filosofia occidentale in dialettica con Platone; sia perché i veri “animali”, talvolta considerati apertamente come esseri scaturiti da un livello biologico inferiore, a suo parere sono sempre stati i membri dell’élite internazionale, l’oligarchia albionica che ha corrotto il mondo con l’oppio, i Beatles, la finanza selvaggia, il newtonianesimo, l’Aids eccetera.

Battute a parte, LaRouche può a tutti gli effetti essere considerato il padrino universale del complottismo: il fatto che venga raramente citato come fonte è soprattutto dovuto alla sua fortuna pre-internettiana, oltre naturalmente alla tendenza dei “teorici della cospirazione” di atteggiarsi a esclusivi smascheratori degli arcana imperii. Tuttavia anche nella più astrusa teoria dell’ultimo newfag possiamo ritrovare il vento seminato dal LaRouche network. Non vogliamo però qui discutere nello specifico le idee del Nostro, anche perché ci vorrebbe più di un’enciclopedia: a grandi linee il suo pensiero può essere sintetizzato con la copertina di uno dei primi volumi di successo, The Secrets Known Only To The Inner Elites (1978), che rappresenta il dissidio tra “aristotelici” e “platonici” sul quale si sviluppa l’intera storia dell’umanità.

La linea “aristotelica” è quella dell’oligarchia, del positivismo, della reazione, dell’ortodossia e della guerra; la “platonica” invece è per la repubblica, la libertà, l’accordo tra scienza e arte, il riformismo e la pace. Su tale dicotomia LaRouche ha costruito una impressionante carriera politica, che lo ha visto candidato otto volte alla Presidenza degli Stati Uniti come indipendente (l’ultima è del 2004), passando sempre dalle primarie democratiche. Non stupisca la collocazione politica del soggetto (peraltro nel 1999 difese anche Bill Clinton dal sexgate), poiché l’ambiente del progressismo americano, almeno fino all’irrigidimento attuale, è sempre stato piuttosto composito; d’altro canto, individuare una “famiglia” per LaRouche è complicatissimo, considerando per esempio che la sua “rete” negli ultimi anni ha dimostrato simpatie sia per Donald Trump che per Bernie Sanders, e che se sul suo capo non incombesse già la damnatio memoriae molti sicuramente si combatterebbero le spoglie fino all’ultimo (solo Roger Stone, “consigliere” dell’attuale Presidente brutalmente arrestato per il fantomatico Russiagate, è stato l’unico ad avere la sfacciataggine di nominarlo “profeta”).

L’enorme visibilità pubblica ottenuta da LaRouche grazie alla sua militanza politica gli è valso un posto particolare (non molto lusinghiero) nella cultura popolare americana, come dimostrano i riferimenti nei Simpson:

Come vedete, c’è talmente tanto materiale di cui discutere che non si riesce nemmeno a cominciare: è difficile d’altronde far capire a un pubblico italiano cos’è stato il LaRouchism e in che modo esso abbia potuto trasformarsi non solo in una proposta credibile, ma addirittura in uno “stile di vita”. Si può dire per certi versi che LaRouche sia stato “l’internet prima di internet”: nello stesso modo in cui il complottista odierno può costruirsi un mondo parallelo tra Youtube e la sua cameretta, così l’impero editoriale-attivistico del buon vecchio Lyndon già alla fine degli anni ’70 forniva un habitat “ai confini della realtà” (cosa che ha contributo a creargli attorno l’aura di “santone” e guru).

Se, come abbiamo appena osservato, l’esperienza politica di LaRouche è talmente sui generis da non poter essere rivendicata da nessuno (se non forse da quella branca paleo-conservatrice e “liberale classica” à la Alex Jones che rappresenta la lunatic fringe del trumpismo), e se del resto molte delle sue iniziative proprio oggi sono ancora considerate “scorrettissime” (come la Proposition 64 che voleva escludere i sieropositivi da mansioni che avrebbero potuto favorire il contagio, per non dire della difesa dell’energia nucleare o del proibizionismo), possiamo però ancora ritrovare il suo ascendente in ambito culturale, come animatore di decine di teorie del complotto (anche questo lo notavamo più sopra).

Per esempio, l’inscalfibile paranoia riguardante l’influenza di Leo Strauss sulla politica statunitense contemporanea venne lanciata proprio da LaRouche come cavallo di battaglia per la sua candidatura del 2004. Una trovata propagandistica, dunque, quasi da spot elettorale, che attraverso gli studi di Shadia Drury si è trasformata nella “madre di tutti i complotti”, dall’11 settembre in giù. Si potrebbe citare davvero qualsiasi visione alternativa del presente per farla risalire al “candidato perenne”: anche se è principalmente nelle ricostruzioni “anglofobe” (persino in quelle più insospettabili) che l’influsso larouchiano si intuisce in modo palese, il suo tocco si ritrova un po’ dappertutto, come nell’ormai obbligatoria presenza di George Soros in qualsiasi conspiracy theory che si rispetti, così nell’idea di un supergoverno mondiale, il potere opaco, la sinarchia

Ovviamente non mancano elementi a giustificazione delle paranoie di LaRouche, se pensiamo ai suoi guai con la giustizia per irregolarità nella raccolta fondi ed evasione fiscale, vicende per le quali si fece cinque anni di galera finché Clinton non lo graziò nel 1994 (a sua favore intervenne, ironia della sorte, il Partito Radicale Transazionale con un accorato appello della stessa Bonino). Epperò anche lui ci mise il carico da undici, includendo nella lista di “gente che lo voleva morto” Bush Sr. & Jr., Kissinger, Andropov, Gheddafi, l’ayatollah Khomeini, Gorbaciov, Dick Cheney e la lobby gay (“un gruppo di froci e cocainomani”).

In conclusione risulta perciò quasi impossibile dar conto di una biografia così camaleontica e rocambolesca: non ci sentiamo di sottoscrivere al 100% il giudizio dell’ex-senatore democratico Eugene McCarthy («LaRouche ha riportato Platone e Schiller nella politica e per questo è stato mandato in prigione»), ma riconosciamo l’intensità e la potenza di fuoco di una militanza prima culturale e poi politica che non si è mai lasciata fermare da nulla, tesa fino alla fine a rappresentare qualsiasi livello della politica (dal proprio quartiere allo scacchiere internazionale) come uno scontro apocalittico tra forze cosmiche.

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