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La pornografia è l’arma più forte

Per quanto si possa dir male della pornografia, ad essa andrebbe almeno attribuito indirettamente il “merito” di aver posto una pietra tombale sulla rivoluzione sessuale, piuttosto che rappresentarne un improbabile coronamento: s’intende che, pur avendo apportato alla società un contributo perlopiù negativo, il porno di massa non è comunque riuscito di per sé a farsi forza eversiva, anzi in taluni casi si è rivelato (sempre involontariamente) una testimonianza estrema dell’indissolubile legame tra sesso e peccato presente nell’inconscio collettivo.

Esiste inoltre un’eventualità ancora più imbarazzante, per i simpatizzanti “progressisti” della pornografia, riguardante l’orientamento politico dell’ambiente, se dobbiamo credere al ritratto fattone da un giornalista fidanzato con una “lavoratrice” del settore (David ColeLessons From My Porn Girl, “Takimag”, 14 agosto 2018):

«Mi stupisce il numero di ragazze bianche razziste in cui mi sono imbattuto nell’industria pornografica. In effetti io e la mia fidanzata, un’attrice porno, siamo stati cacciati da un ristorante di Los Angeles nel novembre del 2016 a causa di alcune sue frasi a sostegno delle politiche di Trump sull’immigrazione.

Avendo frequentato attrici normali (e non pornostar) per tutta la mia vita, sono rimasto colpito da come le attrici porno “crescano” in modo diverso dalle altre, a causa delle condizioni opposte dei loro ambienti. L’attrice media mainstream è una sinistroide politicamente corretta, perché questo è ciò che richiedono i suoi datori di lavoro. Le attrici del porno che ho incontrato sono l’esatto opposto.

L’industria del porno esige porcherie grottesche dalle sue donne, ma l’unica cosa a cui non è interessata è la cieca fedeltà a una ortodossia ideologica. La verità è che, avendo frequentato entrambi questi mondi, ho scoperto che il porno è meno coercitivo. Se un’attrice porno si rifiuta di girare una scena “interrazziale”, non lo fa punto e basta. Se invece un’attrice di Hollywood rifiuta di obbedire al mandato progressista [“social justice” agenda], allora viene licenziata».

Si tratta, è ovvio, di una generalizzazione che tralascia gli aspetti più complessi della questione: si veda, per esempio, il recente caso del suicidio della pornoattrice August Ames sottoposta a gogna mediatica per essersi rifiutata di girare una scena con un attore che aveva recitato in pellicole omo.

Si tengano comunque in conto tali osservazioni nell’affrontare il problema dell’ora presente in fatto di pornografia: la sua “degenerazione” verso contenuti sempre più perversi e provocatori. Come si diceva all’inizio, non avendo “funzionato” come punta di diamante della rivoluzione dei costumi, ora le “agenzie culturali” che alimentano il fenomeno stanno provando a indirizzarlo sui terreni minati della “sessualità alternativa” (per così dire) come omosessualità, stupro, incesto e pedofilia.

L’idea che si tratti di un progetto coordinato non deve sembrare “complottistica”, poiché –lo ricordiamo di sfuggita– dietro alla maggior parte delle pellicole, dei siti d’incontri e dei portali pornografici si celano pochissime entità: la Vivid Entertainment, la IAC e la società lussemburghese MindGeek.

Sia chiaro che non è attraverso “esperienze personali” che ho dedotto il “cambio di paradigma” in atto, poiché ammetto –senza alcun particolare orgoglio– di non fare uso di pornografia (potete non crederci, in fondo non è così importante). Tuttavia è agevole, anche per i “non-consumatori”, registrare il nuovo andazzo, solo imbattendosi in pubblicità e annunci che sponsorizzano sempre più sfacciatamente il “sesso alternativo” di cui sopra (il sospetto è peraltro confermato da vari commenti reperibili in rete).

A detta degli “esperti”, pare ci siano state tre fasi del cosiddetto mainstream porn: la prima è quella di inizio 2000, ancora influenzata dall’immaginario stile Playboy; poi dal 2005-2015 una ossessione sempre più marcata per le “dimensioni” femminili (seni e natiche gigantesche) e per il cosiddetto stile gonzo (amatoriale); infine la “degenerazione della degenerazione” degli ultimi anni, quando i principali siti di pornografia hanno cominciato a “spingere” (no pun intended) contenuti sempre più perversi.

Oltre a varie forme indicibili di feticismo, i “generi” che vengono propinati a chi -per questioni meramente statistiche- cerca perlopiù solo roba etero, sono: daddy dom (un uomo più grande “domina” una ragazzina), sissy hypno (immagini di donne nude alternate a falli in erezione, una specie di lavaggio del cervello “omofilo”), cuckold (il classico “adulterio”, ma rigidamente proposto nella fattispecie del marito bianco reso cornuto dall’amante nero) e, dulcis in fundo, l’incesto (che non viola la legge nella misura in cui viene messo in scena da “attori” che recitano la parte del padre sporcaccione e della figlia degenere, o viceversa).

A quanto pare lo scopo, al di là di qualsiasi interesse commerciale (ché la riproposizione continua di contenuti “disturbanti” potrebbe anzi allontanare un pubblico fidelizzato), sembra proprio quello di ridar vita a una sovversione fallita, a riportare la pornografia al suo “significato originario”, che ovviamente non era il puro e semplice intrattenimento (per quello sarebbe bastato il “nudo artistico” in tutte le sue accezioni), ma lo scardinamento e la distruzione delle strutture sociali esistenti.

Obiettivo che, nonostante gli sforzi propagandistici e legislativi, a conti fatti non è stato ancora raggiunto: la società non si è trasformata in una sterminata orgia tra padri e figli (questo è da sempre il “segreto” della rivoluzione culturale). Non poteva finire tutto con l’accettazione sociale di bionde giunoniche a bordo di una piscina di un bel villone americano: i rivoluzionari hanno perso tempo, si sono adagiati nell’illusione che il senso comune non sarebbe riuscito a riassorbire il contraccolpo. Ora è il momento di un colpo di mano, della violazione coordinata dei tabù rimasti. Vedendo di nascosto l’effetto che fa…

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