Già qui ci sarebbe molto da discutere su perché mi “permetta” di accostare neonazi e Big tech: il fatto è che queste due rappresentazioni al limite del caricaturale mi sembrano la perfetta espressione di una dicotomia che sta decidendo il destino politico dell’Occidente. Tanto è vero che persino l’intellighenzia europea e anglosassone, dopo aver ovviamente etichettato il sovranismo come un rigurgito degli anni ’30, pare tuttavia accorgersi di quanto sia pericoloso affidarsi completamente al baluardo del “tecno-laburismo”. In un talk show della BBC del marzo scorso (che toccava il problema italiano solo incidentalmente), traspariva in effetti l’assoluta consapevolezza che l’esperimento renziano fosse una forma di blairismo terminale con un tocco di Clinton (Bill, ma pure Hillary), ormai visto da una sinistra non ipocrita come prodromico alla “ondata nera” odierna (alla faccia delle tiritere sul “nuovo che avanza” propinateci negli ultimi anni).
Non sembra dunque che la soluzione di radicalizzare le rispettive posizioni sia la migliore: è però con immensa fatica che una microscopica parte della sinistra riconosce ora che ad acuire il conflitto non sono solamente le “forze oscure della reazione in agguato”, ma anche quelle dell’extrême finance (per usare la formula d’un Mélenchon). Per certi versi l’ammissione dell’esistenza di una “finanza estrema” accanto a una “destra estrema” potrebbe essere il passo iniziale verso la riscoperta della mediazione intellettuale in un contesto politico sempre più complesso (per inciso, ho citato Mélenchon solo per vezzo, ma non credo in alcun modo che la soluzione possa arrivare da quella Francia che ha già contrapposto il golden boy Macron al diavolo lepenista).
Da una prospettiva “di sinistra” quello che sembrava finito per sempre nel cestino della storia si è presentato nelle forme sconvolgenti della Brexit e di Trump, che hanno influenzato l’intero scenario europeo facendo passare di moda la ferrea convinzione che non esista alternativa al dominio della finanza sulla politica (un’idea peraltro considerata ormai più “di sinistra” che “di destra”!). È naturale che una destra vincente su tutti i fronti si trovi poi tentata di portare all’estremo alcune sue caratteristiche auto-distruttive, non solo in campo diplomatico o economico, ma anche semplicemente sociale (comunitarismo, tribalismo ecc.).
Forse sarà solo un trompe l’oeil, ma una speranza terminale di mediazione tra gli “opposti estremismi” non può che essere riposta nell’inedita coalizione giallo-verde formatasi in Italia. Il primo fattore positivo è la natura eminentemente politica di tale reazione, contro una barbarie “europeista” che ha devastato le nazioni con una stupidità e una ferocia pari forse solo a quelle di bombardamenti indiscriminati. Nel nostro Paese, poi, il giogo del “vincolo esterno” è stato particolarmente rigido e disciplinante, con un corredo propagandistico che si è radicato nel profondo fino a trasformarci in un gregge di odiatori di noi stessi.
Ora non resta che recuperare ciò che si è perso resistendo alla tentazione di gettare tutto alle ortiche: storicamente tale impostazione nel nostro Paese viene definita “democristiana” e penso che accuse in tal senso fioccheranno (se non l’hanno già fatto) nei confronti dell’attuale coalizione. Sono però i tempi a imporre ancora una volta il precetto dell’avanti al centro contro gli opposti estremismi. Abbiamo un grande avvenire alle spalle, un destino fatto di pentapartiti, ri-statalizzazioni e calmierazioni, che nei prossimi anni si esprimerà in forme autonome di buongoverno simboleggianti il fiore della Prima Repubblica nella Terza.