Site icon totalitarismo.blog

Ratzinger è in paradiso?

Dialogo del giugno 2012 (peccato per quanto sarebbe accaduto qualche mese dopo…):

CAT TIEN:
Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.
Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.
Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…

SANTO PADRE:
Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia.
Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica –Mozart, Schubert, Haydn– e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme.
E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili.
Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose.
Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche le cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli.
E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare a casa, andando verso l’altra parte del mondo.

Come scriveva Georges Bernanos, «Una volta usciti dall’infanzia, occorre soffrire a lungo per rientrarvi, come all’estremo limite della notte si ritrova un’altra aurora».

Io prego vivamente che Benedetto XVI sia ritornato alla Casa del Padre, tuttavia quel che è avvenuto dopo non lascia ben sperare. Ho ritrovato attraverso archive.org un mio pezzo scritto a caldo dopo la sua abdicazione, prima ancora che di Berg0gli0 si conoscesse anche solo il nome…

Con tutto il rispetto possibile, permettetemi di dire che Benedetto XVI ci ha fatto proprio un bello scherzo: dando le sue “dimissioni” ha offerto il destro a qualsiasi paranoia possibile sulla fine del Vaticano e l’Anticristo prossimo venturo.

Questa è l’eventualità più sconcertante e angosciante per un cattolico. Nella profezia di San Malachia sui cento papi prima dell’Apocalisse, Ratzinger è proprio il penultimo (prima di Petrus Romanus, Pietro II): De gloria olivae il suo motto profetico.

Pochi mesi fa avevo iniziato ad interessarmi a qualcuna di queste “divinazioni” sulla fine del Papato, suggestionato non solo da Malachia ma da tutti gli anatemi lanciati contro Benedetto XVI (minacce di morte, voci di corridoio, denunce al tribunale dell’Aja, allusioni “vaticaniste” ecc…). Tuttavia avevo abbandonato subito la ricerca, nel timore di lasciarmi condizionare dall’idea di una improbabile apocalisse imminente.

L’ultima cosa che mi sarei immaginato è l’abdicazione di un Papa. Al di là di tutte le speculazioni, è uno di quegli eventi che segnano la storia: tutte le enciclopedie che segnalano Celestino V come “caso unico” dovranno essere aggiornate. I paralleli si sprecano: oltre al Papa del “gran rifiuto” (ma Dante si riferiva a Pilato…), i giornali già enumerano altri pontefici “dimissionari” del passato.

È un modo come un altro per non lasciarsi prendere dal panico, anche se sfortunatamente a confermare l’analogia non ci sono scismi, antipapi o persecuzioni in atto (e l’ipotesi che queste cose giungano a “corredo” di una scelta dettata esclusivamente da una libera decisione di Ratzinger non può di certo rassicurare).

La profezia di San Malachia riguarda, come abbiamo detto, i 112 pontefici prima dell’Apocalisse. Per ognuno di essi, una frase a sintetizzarne la biografia. Ad esempio Celestino V, per restare in tema, è Ex eremo celsus, ovvero “Elevato dall’eremo”, perché prima di divenire Papa fu eremita.

Gli storici sono concordi nel sostenere che, se da Celestino II (1144) a Urbano VII (1590) i motti malachiani hanno avuto un minimo di attendibilità, dal 74° Papa in poi l’abbinamento diventa complesso (anche perché tali profezie divennero di pubblico dominio sotto il pontificato di Gregorio XIV proprio allo scopo di influenzare l’elezione, e di conseguenza da quel momento in avanti le interpretazioni “interessate” prevalsero sull’obbiettività dello studio).

Quindi le corrispondenze calzano con grande difficoltà per gli ultimi trenta pontefici della lista: tuttavia una delle più attinenti è quella riguardante Giovanni Paolo II, De labore solis, “La fatica del sole”, che potrebbe riferirsi all’origine polacca di Wojtyla (il sole sorge ad Est…).

L’ultimo Papa dell’elenco, Bendetto XVI, è appunto De gloria olivae, che viene interpretato come riferimento o al nome del Papa (l’ordine dei Benedettini ha come simbolo l’ulivo), o all’impegno per la pace mondiale di Ratzinger o al suo giorno di nascita (16 aprile, al culmine della Settimana Santa).

Alla luce di quanto sta accadendo, un’ulteriore interpretazione potrebbe essere questa: la “gloria” dell’ulivo, simbolo di fertilità e ricchezza, corrisponde al suo sfiorire, se colleghiamo il sostantivo ad espressioni come “avere in gloria”, che si riferisce appunto all’omaggio rivolto a un trapassato. Quindi, in un periodo in cui la ricchezza delle società occidentali sta svanendo, e in cui la fertilità viene oltraggiata con l’esaltazione della sodomia, le dimissioni del Papa potrebbero dare il via a nuove e più tremende persecuzioni.

Ovviamente questa è soltanto una mia indebita speculazione. Non voglio essere profeta di sventura. So soltanto che, nella ricerca di cui parlavo, mi ero fermato proprio alle profezie della Monaca di Dresda (XVIII secolo), poiché collocavano la fine del Papato nello stesso punto in cui le prevedeva Malachia, dando a Bendetto XVI un motto simile al suo: “Angelo guida di Giosafat con il segno della Gloria”.

So che mi prenderete per pazzo, ma ieri [10 febbraio 2013] ho sentito almeno fino alle 4 di mattina dei colpi sul muro provenienti da una parte all’altra della stanza, strane risatine, miagolii e stridii che si trasformavano in urla. Credevo che qualche vicino avesse acceso la televisione, ma non sentivo voci umane o musichette. Ho fatto fatica a prendere sonno, non provavo paura, ma tanta angoscia. Oggi mi piomba addosso questa notizia come un macigno. Continuo a confidare nella Provvidenza e nel lieto fine, ma non posso dimenticare che nel mezzo ci sta quella cosa che una volta si chiamava “Apocalisse”.

L’11 febbraio non è una data casuale. Nostra Signora di Lourdes, certamente. Ma anche l’anniversario della firma dei Patti Lateranensi (1929). Se dovessi far buon visto a cattivo gioco, potrei interpretare il gesto del Papa come un non expedit sottointeso: almeno da cattolico sarei esentato a partecipare a queste imbarazzanti elezioni. Il fatto che una cosa del genere possa accadere prima della formazione di un nuovo governo, è il segno del cambiamento dei tempi: qualsiasi “patto” tra Italia e Vaticano va consegnato alla storia, siamo entrati in un nuovo ciclo. Positivo o negativo?

Se l’analogia con Celestino V fosse attendibile, potrei auspicare l’avvento di un novello Bonifacio VIII, che faccia tremare i polsi ai potenti della terra. Anche lui fu sbattuto da Dante all’Inferno, tuttavia dopo l’oltraggio di Anagni venne riscattato dallo stesso Poeta nel Purgatorio (XX, vv. 86-90). Un epigono di Benedetto Castani sarebbe assai utile alla Chiesa e ai fedeli in questi tempi di confusione e apostasia collettiva: nonostante tutte le leggende nere che gli hanno ricamato addosso, Bonifazio fu davvero grande.

“Dimissioni” a parte, poteva anche andare peggio: nel 2010 gli atei inglesi volevano far arrestare Benedetto XVI in Inghilterra, mentre nel 2012 alcuni gazzettieri pubblicarono la “simpatica” notizia di un complotto per ucciderlo.

Se non altro ora abbiamo la certezza scientifica che Nanni Moretti porta sfiga. Con Palombella Rossa ha distrutto il comunismo, con Aprile il post-comunismo, con La stanza del figlio la famiglia italiana, con Il Caimano ha fatto vincere Berlusconi. E infine Habemus Papam, la cui ultima scena verrà trasmessa a raffica da tutti i telegiornali (del resto è stato lo stesso Vaticano a offrirgli le location…). A questo punto, ci auguriamo che Nanni diriga presto un film autobiografico.

Non è assurdo che, in un momento come questo, cerchi di buttarla sul ridere? Da buon italiano, non riesco a fare altrimenti. In realtà è una reazione nervosa: è da quando ho saputo la notizia che non posso scacciare l’angoscia. Vorrei rivelarvi, a caldo, il mio timore più grande (forse nella speranza di esorcizzarlo): che qualche gruppetto di fanatici all’interno della Chiesa voglia approfittare della situazione per mettere in atto una mostruosa opera di “teurgia” ed eleggere al soglio un Pietro II.

È da anni che teologi, intellettuali e prelati lanciano sommessi anatemi contro il Katechon, la forza che trattiene l’Anticristo. Il pericolo che qualcuno voglia sfidare la divinità è molto concreto: non una eventualità fantascientifica, poiché già Isaia (5, 18-19) aveva messo in guardia l’umanità miscredente dallo sfidare il Santo a compiere prodigi:

Guai a coloro che si tirano addosso il castigo
con corde da buoi
e il peccato con funi da carro,
che dicono: “Faccia presto,
acceleri pure l’opera sua,
perché la vediamo;
si facciano più vicini e si compiano
i progetti del Santo di Israele,
perché li conosciamo”.

Exit mobile version