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Una fede terremotata

(San Paolo fuori le Mura dopo il terremoto)

Torna il terremoto a devastare l’Italia e le sue chiese: questa volta è stata colpita la basilica del patrono d’Europa, san Benedetto da Norcia. Nonostante avessi identificato il terremoto di due mesi fa come il primo di un’Italia che rifiuta la religione, questa volta invece pare che la fede sia rientrata prepotentemente nel novero delle interpretazioni: forse anche per il fatto che, essendo uniche “vittime” le chiese secolari, è stato possibile parlare, a seconda dei casi, di punizione divina, di miracolo o di tragedia “simbolica”?

Può darsi, ma per ora la causa scatenante è rappresentata dalle demenziali affermazioni del viceministro della Cooperazione regionale di Israele, il druso Ayoob Kara (Likud) che, mandato in Vaticano per convincere il Papa a impedire l’approvazione definitiva della risoluzione Unesco in cui ci si riferisce al Monte del Tempio usando solo la denominazione araba, ha giulivamente dichiarato a un sito israeliano: «Sono certo che il terremoto sia avvenuto a causa della decisione Unesco, che il Papa ha fortemente disapprovato» (cfr. “Repubblica”,  28 ottobre 2016).

È evidente che il clamore mediatico non poteva essere pari a quello suscitato, per esempio, da un tweet di un’associazione “cattolica estremista”, che suggeriva un collegamento tra terremoto e unioni civili. Non solo perché c’è di mezzo un israeliano, ma soprattutto perché qualsiasi ministro straniero può sbizzarrirsi contro l’Italia come vuole, con la sicurezza che non perderà mai il suo posto (infatti Kara è ancora lì). Ironia della sorte, otto anni fa un altro politico israeliano, Shlomo Benizri (del partito ultraortodosso Shas, in seguito arrestato per mazzette), aveva indicato nella tolleranza verso l’omosessualità la causa dei terremoti che avevano colpito Israele in quel periodo (cfr. Israeli MP blames quakes on gays, “BBC News”, 20 febbraio 2008). Il cerchio quindi si chiude.

Stupisce che in Vaticano, il luogo dove Kara ha elaborato le sue teorie, non vi sia stata nessuna presa di distanza: troppo impegnati a organizzare il viaggio del Papa in Svezia? Sarebbe stato più giusto dire due parole non tanto in difesa degli italiani, quanto per affermare ancora una volta l’immagine di un Dio buono che non punisce mai. Un’immagine che per giunta non piace nemmeno agli ebrei (saltano fuori dappertutto): come disse il rabbino Riccardo Di Segni in un’intervista a “L’Espresso” (16 ottobre 2015),

«Papa Francesco ripropone l’idea che, con l’arrivo di Gesù, il Dio dell’Antico Testamento è cambiato: prima era severo e vendicativo, poi è diventato il Dio dell’amore. Quindi, gli ebrei sono giustizialisti e i cristiani buoni e misericordiosi. È un’aberrazione teologica molto antica, che è rimasta una sorta di malattia infantile del cristianesimo».

Del resto, questa storia che le catastrofi naturali possano rappresentare una punizione divina contrasta col “populismo teologico” con cui certi prelati hanno interpretato il precedente terremoto: il vescovo di Rieti, per esempio, durante le esequie solenni per le vittime, ha affermato che a uccidere non è il terremoto, «ma le opere dell’uomo» e che «Dio non deve essere un capro espiatorio» (cfr. “Repubblica”, 30 agosto 2016).

Questo nuovo modello interpretativo, che colpevolizza la creatura umana indefinitamente (se il male è frutto delle “cattive azioni” in un’ottica legislativo-burocratica, allora il terremoto rimane una “punizione”), non può appagare l’animo dei fedeli. I quali stanno appunto elaborando letture alternative a quelle ufficiali, più in linea con la sensazione di trovarsi nei tempi ultimi: la terra trema e lambisce Roma, il centro da cui le “aberrazioni teologiche” (non solo quelle che spiacciono ai rabbini) attualmente si diramano.

Ovviamente si tratta di una risposta irrazionale, anche immanentistica (le cause seconde…), ma non è che le risposte considerate “razionali” si rivelino poi tali. C’è chi individua un capro espiatorio (il politico corrotto, il costruttore incapace), chi spera che un giorno o l’altro la scienza riesca a prevedere i terremoti (nel frattempo che si fa, se non continuare a sperare?), e chi inconsapevolmente rispolvera gli stilemi della “festa crudele”.

Un esempio che avevo già proposto è quello di Francesco Piccolo, ormai sismologo ufficiale del “Corriere”. Il 28 agosto aveva scritto una delle cose più insignificanti mai lette sull’argomento (Noi che diventiamo altri di fronte alla tragedia), ma questa volta ha superato se stesso, aggiungendo alla banalità il melodramma. Nel suo pezzo di ieri (Sotto la porta con mio figlio) infatti scrive così:

«Ho passato tutta la vita a cercare di dimenticare il terremoto dell’80. […] Insomma, adesso ho paura, di nuovo. Questa paura legata alla incapacità di capire: tanti anni fa, ero un ragazzo, ed ebbi paura perché era arrivato l’inaspettato, lo sconosciuto. Adesso la paura è legata a un evento conosciuto e atteso».
Va bene che i suoi libri non li legge nessuno, ma nel famoso romanzo Il desiderio di essere come tutti (2013), Piccolo aveva scritto esattamente il contrario, cioè che il terremoto dell’Irpinia fu per lui un’esperienza memorabile:

«Per la prima volta, l’unica, eravamo tutti in strada. Tutti noi che abitavamo in città, eravamo in strada. La città era invasa da tutti i suoi abitanti […]. I giorni successivi al terremoto erano stati – li avrei ricordati per sempre come: i più belli della mia vita».

Questa è appunto la “festa crudele”, «semplice esperienza umana collettiva di un’ora angosciosa e tuttavia “festa”: “festa” in negativo […] [che attrae] ogni esperienza che sia collettiva, dolorosa, e che in qualche misura corrisponda – appunto in negativo – alle caratteristiche della vera festa» (Furio Jesi).

Insomma, oltre ai preti e ai teologi, anche gli intellettuali non la contano giusta: di nascosto fanno gli spavaldi, mentre in pubblico si asciugano le lacrime. Non possiamo stupirci se tra i “semplici” c’è chi parla di “imminente Parusia”, o addirittura descrive il terremoto di Norcia come la famigerata “testa di cavallo” che il Deus Sabaoth avrebbe fatto rinvenire nel letto all’attuale Pontefice.

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