Ratzinger è in paradiso?

Dialogo del giugno 2012 (peccato per quanto sarebbe accaduto qualche mese dopo…):

CAT TIEN:
Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.
Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.
Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…

SANTO PADRE:
Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia.
Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica –Mozart, Schubert, Haydn– e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme.
E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili.
Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose.
Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche le cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli.
E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare a casa, andando verso l’altra parte del mondo.

Come scriveva Georges Bernanos, «Una volta usciti dall’infanzia, occorre soffrire a lungo per rientrarvi, come all’estremo limite della notte si ritrova un’altra aurora».

Io prego vivamente che Benedetto XVI sia ritornato alla Casa del Padre, tuttavia quel che è avvenuto dopo non lascia ben sperare. Ho ritrovato attraverso archive.org un mio pezzo scritto a caldo dopo la sua abdicazione, prima ancora che di Berg0gli0 si conoscesse anche solo il nome…

Con tutto il rispetto possibile, permettetemi di dire che Benedetto XVI ci ha fatto proprio un bello scherzo: dando le sue “dimissioni” ha offerto il destro a qualsiasi paranoia possibile sulla fine del Vaticano e l’Anticristo prossimo venturo.

Questa è l’eventualità più sconcertante e angosciante per un cattolico. Nella profezia di San Malachia sui cento papi prima dell’Apocalisse, Ratzinger è proprio il penultimo (prima di Petrus Romanus, Pietro II): De gloria olivae il suo motto profetico.

Pochi mesi fa avevo iniziato ad interessarmi a qualcuna di queste “divinazioni” sulla fine del Papato, suggestionato non solo da Malachia ma da tutti gli anatemi lanciati contro Benedetto XVI (minacce di morte, voci di corridoio, denunce al tribunale dell’Aja, allusioni “vaticaniste” ecc…). Tuttavia avevo abbandonato subito la ricerca, nel timore di lasciarmi condizionare dall’idea di una improbabile apocalisse imminente.

L’ultima cosa che mi sarei immaginato è l’abdicazione di un Papa. Al di là di tutte le speculazioni, è uno di quegli eventi che segnano la storia: tutte le enciclopedie che segnalano Celestino V come “caso unico” dovranno essere aggiornate. I paralleli si sprecano: oltre al Papa del “gran rifiuto” (ma Dante si riferiva a Pilato…), i giornali già enumerano altri pontefici “dimissionari” del passato.

È un modo come un altro per non lasciarsi prendere dal panico, anche se sfortunatamente a confermare l’analogia non ci sono scismi, antipapi o persecuzioni in atto (e l’ipotesi che queste cose giungano a “corredo” di una scelta dettata esclusivamente da una libera decisione di Ratzinger non può di certo rassicurare).

La profezia di San Malachia riguarda, come abbiamo detto, i 112 pontefici prima dell’Apocalisse. Per ognuno di essi, una frase a sintetizzarne la biografia. Ad esempio Celestino V, per restare in tema, è Ex eremo celsus, ovvero “Elevato dall’eremo”, perché prima di divenire Papa fu eremita.

Gli storici sono concordi nel sostenere che, se da Celestino II (1144) a Urbano VII (1590) i motti malachiani hanno avuto un minimo di attendibilità, dal 74° Papa in poi l’abbinamento diventa complesso (anche perché tali profezie divennero di pubblico dominio sotto il pontificato di Gregorio XIV proprio allo scopo di influenzare l’elezione, e di conseguenza da quel momento in avanti le interpretazioni “interessate” prevalsero sull’obbiettività dello studio).

Quindi le corrispondenze calzano con grande difficoltà per gli ultimi trenta pontefici della lista: tuttavia una delle più attinenti è quella riguardante Giovanni Paolo II, De labore solis, “La fatica del sole”, che potrebbe riferirsi all’origine polacca di Wojtyla (il sole sorge ad Est…).

L’ultimo Papa dell’elenco, Bendetto XVI, è appunto De gloria olivae, che viene interpretato come riferimento o al nome del Papa (l’ordine dei Benedettini ha come simbolo l’ulivo), o all’impegno per la pace mondiale di Ratzinger o al suo giorno di nascita (16 aprile, al culmine della Settimana Santa).

Alla luce di quanto sta accadendo, un’ulteriore interpretazione potrebbe essere questa: la “gloria” dell’ulivo, simbolo di fertilità e ricchezza, corrisponde al suo sfiorire, se colleghiamo il sostantivo ad espressioni come “avere in gloria”, che si riferisce appunto all’omaggio rivolto a un trapassato. Quindi, in un periodo in cui la ricchezza delle società occidentali sta svanendo, e in cui la fertilità viene oltraggiata con l’esaltazione della sodomia, le dimissioni del Papa potrebbero dare il via a nuove e più tremende persecuzioni.

Ovviamente questa è soltanto una mia indebita speculazione. Non voglio essere profeta di sventura. So soltanto che, nella ricerca di cui parlavo, mi ero fermato proprio alle profezie della Monaca di Dresda (XVIII secolo), poiché collocavano la fine del Papato nello stesso punto in cui le prevedeva Malachia, dando a Bendetto XVI un motto simile al suo: “Angelo guida di Giosafat con il segno della Gloria”.

So che mi prenderete per pazzo, ma ieri [10 febbraio 2013] ho sentito almeno fino alle 4 di mattina dei colpi sul muro provenienti da una parte all’altra della stanza, strane risatine, miagolii e stridii che si trasformavano in urla. Credevo che qualche vicino avesse acceso la televisione, ma non sentivo voci umane o musichette. Ho fatto fatica a prendere sonno, non provavo paura, ma tanta angoscia. Oggi mi piomba addosso questa notizia come un macigno. Continuo a confidare nella Provvidenza e nel lieto fine, ma non posso dimenticare che nel mezzo ci sta quella cosa che una volta si chiamava “Apocalisse”.

L’11 febbraio non è una data casuale. Nostra Signora di Lourdes, certamente. Ma anche l’anniversario della firma dei Patti Lateranensi (1929). Se dovessi far buon visto a cattivo gioco, potrei interpretare il gesto del Papa come un non expedit sottointeso: almeno da cattolico sarei esentato a partecipare a queste imbarazzanti elezioni. Il fatto che una cosa del genere possa accadere prima della formazione di un nuovo governo, è il segno del cambiamento dei tempi: qualsiasi “patto” tra Italia e Vaticano va consegnato alla storia, siamo entrati in un nuovo ciclo. Positivo o negativo?

Se l’analogia con Celestino V fosse attendibile, potrei auspicare l’avvento di un novello Bonifacio VIII, che faccia tremare i polsi ai potenti della terra. Anche lui fu sbattuto da Dante all’Inferno, tuttavia dopo l’oltraggio di Anagni venne riscattato dallo stesso Poeta nel Purgatorio (XX, vv. 86-90). Un epigono di Benedetto Castani sarebbe assai utile alla Chiesa e ai fedeli in questi tempi di confusione e apostasia collettiva: nonostante tutte le leggende nere che gli hanno ricamato addosso, Bonifazio fu davvero grande.

“Dimissioni” a parte, poteva anche andare peggio: nel 2010 gli atei inglesi volevano far arrestare Benedetto XVI in Inghilterra, mentre nel 2012 alcuni gazzettieri pubblicarono la “simpatica” notizia di un complotto per ucciderlo.

Se non altro ora abbiamo la certezza scientifica che Nanni Moretti porta sfiga. Con Palombella Rossa ha distrutto il comunismo, con Aprile il post-comunismo, con La stanza del figlio la famiglia italiana, con Il Caimano ha fatto vincere Berlusconi. E infine Habemus Papam, la cui ultima scena verrà trasmessa a raffica da tutti i telegiornali (del resto è stato lo stesso Vaticano a offrirgli le location…). A questo punto, ci auguriamo che Nanni diriga presto un film autobiografico.

Non è assurdo che, in un momento come questo, cerchi di buttarla sul ridere? Da buon italiano, non riesco a fare altrimenti. In realtà è una reazione nervosa: è da quando ho saputo la notizia che non posso scacciare l’angoscia. Vorrei rivelarvi, a caldo, il mio timore più grande (forse nella speranza di esorcizzarlo): che qualche gruppetto di fanatici all’interno della Chiesa voglia approfittare della situazione per mettere in atto una mostruosa opera di “teurgia” ed eleggere al soglio un Pietro II.

È da anni che teologi, intellettuali e prelati lanciano sommessi anatemi contro il Katechon, la forza che trattiene l’Anticristo. Il pericolo che qualcuno voglia sfidare la divinità è molto concreto: non una eventualità fantascientifica, poiché già Isaia (5, 18-19) aveva messo in guardia l’umanità miscredente dallo sfidare il Santo a compiere prodigi:

Guai a coloro che si tirano addosso il castigo
con corde da buoi
e il peccato con funi da carro,
che dicono: “Faccia presto,
acceleri pure l’opera sua,
perché la vediamo;
si facciano più vicini e si compiano
i progetti del Santo di Israele,
perché li conosciamo”.

6 thoughts on “Ratzinger è in paradiso?

  1. Intredasting.
    Per caso esiste un sito che raccoglie tutte le profezie cattoliche nel tempo e le mette a confronto per vedere le analogie? Del tipo, quanti hanno profetizzato la distruzione di Parigi? Anche per chi non crede resta comunque affascinante.

  2. Diverse Ucronie hanno avuto come argomento il Papato. Alcuni critici per tale branca della Fantastoria hanno coniato il neologismo, molto improprio, di “Fantateologia”. Diamo alcuni cenni su alcune di tali Ucronie:
    1) Leone XIII “desaparecido”. Papa Pecci rapito dai massoni e sostituito da un sosia. Su tale spunto si fonda il romanzo “Les Caves du Vaticane” d’André Gide (traduzione italiana “I sotterranei del Vaticano”, a cura d’E. Spagnol Edizioni Feltrinelli). Il protagonista, l’immorale (a dir poco, butta giù dal treno un vecchietto, mai visto prima, per il gusto di compiere una trasgressione) Lafcadio si reca a Roma, per scoprire le cose come stanno e, in tal caso, passare alla Storia come il liberatore del Papa.
    2) Pietro II regnante tra il 1955 ed il 1960. Dal 1590 girano delle profezie attribuite a San Malachia. Si tratta di un monaco irlandese del XII secolo, divenuto dapprima vescovo ausiliare di Ceallach, quindi Primate d’Irlanda, morto tra le braccia del suo grande amico, San Bernardo di Chiaravalle, ed infine canonizzato da Clemente III. L’ultimo dei Profeti dell’Antico Testamento portava lo stesso nome. Forse anche tale coincidenza lo “destina” ad un ruolo di Profeta. Secondo una tradizione, infatti, è l’ultimo dei Profeti dell’era del Nuovo Testamento. Ultimo, non come numero, né come importanza, ma con riferimento tanto alla lontananza dai suoi giorni degli eventi profetizzati, quanto all’argomento escatologico di tali profezie. In concreto gli sarebbe apparso San Pietro che gli avrebbe dato l’elenco dei suoi successori dal Papa allora regnante, Celestino II, all’ultimo Pontefice Pietro II. In tutto sarebbero 112, ciascuno indicato da un motto, tranne l’ultimo, indicato con il nome. In tale lista, Benedetto XVI figura al 111° (CXI) posto, ovvero sarebbe il penultimo Vicario di Cristo. Il motto che lo indica è “De Gloria olivae”, la gloria dell’olivo (forse si riferisce ad un’eventuale vittoria elettorale di Romano Prodi?). Tutta la diatriba circa tali profezie, ci porterebbe lontano. Fatta questa premessa, torniamo al regno di Pietro II quattro decenni fa. Negli anni ’40, lo scrittore americano Harold Frysne scrive il romanzo “Petrus Secundus” (trad. It. A cura di Luigi Cripta, Genova, 1953, per i tipi delle Edizioni “All’insegna della Rovere”). Si tratta di una tipica opera da “Guerra fredda”. III Guerra mondiale, Togliatti feroce dittatore comunista in Italia, fuga del Pontefice a New York, feroce caccia al cattolico per le vie di Torino (città di cui Frysne dimostra una non comune conoscenza topografica), che si conclude con la crocifissione di un giornalista che, da una radio cercava di narrare al mondo tali eventi. Persino i dirigenti comunisti (e finanche i Russi) non riescono a fermare i più facinorosi. Costoro devastano chiese, cimiteri e monumenti. Nel mese d’ottobre del 1960, Roma è distrutta da un bombardamento atomico. Colpisce il particolare che, tra i successori di Pio XII, Frysne, curiosamente, indica due papi chiamati Giovanni XXIII e Paolo VI, ma invertiti di posto (Giovanni successore di Paolo), rispetto a com’è andato nella nostra “realtà”.
    3) “Nei panni di Pietro”. Il romanziere Morris West è l’autore del famoso romanzo, con questo titolo, da cui fu tratto un pregevole film, interpretato da Anthony Quinn e Lawrence Olivier, in Italia tradotto come “L’uomo venuto dal Cremlino”. Si parla di Kyril Lakota, un prelato, originario dell’Europa dell’Est e reduce dai Gulag sovietici, che diviene pontefice con il nome di Cirillo I in un momento difficilissimo per l’umanità, visto che sta per scoppiare una guerra mondiale tra URSS e Cina. Più sotto narreremo di come la realtà ci andò vicina.
    4) Ucronie del Post-Vaticano II. C’è poco da fare. De facto, il Vaticano II (come scrive il Professor Arturo Saldini in una sua poesia: “Il Concilio è bello, perché è vario. Ci trovi dentro tutto, e pure il suo CONTRARIO”), non solo e non tanto per ciò che ha detto, quanto per ciò su cui ha taciuto, è stato avvertito come un evento dirompente. Il compianto Professor Romano Amerio, è autore di un testo di 656 pagine, davvero illuminante al riguardo: “JOTA UNUM, Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel XX Secolo”, (Ricciardi Editore Napoli/Milano 1986). Si tratta di un testo realizzato mettendo a confronto documenti ufficiali di prima del Concilio, con documenti ufficiali di dopo. Il quadro che n’esce è impressionante. Non c’è un tema in cui si dica la stessa cosa. L’atteggiamento generale di fondo, Amerio lo indicava, con il termine “Desistenza”. Si tratta di un vocabolo preso dal linguaggio giuridico, dove indica la rinuncia dei creditori a far valere i propri diritti. Non pochi tra gli scrittori hanno percepito tale “dirompenza” e/o “desistenza”, e, nelle loro opere ne hanno tenuto conto. Analizziamole, raggruppandole per decennio. Cominciamo dalle Ucronie degli anni ’60:
    a) Guareschi e Joseph I. Questa non è un’Ucronia propriamente detta, ma è stata una seria possibilità storica e fornisce lo spunto per altre interessanti Ucronie. Se ne prenda nota. Il Cardinal Primate d’Ungheria, Joseph Mindszenty, dopo i tragici fatti di Budapest del 1956 (circa i quali ricordo solo una strofa dell’inno che fu composto in onore delle vittime: Sull’orlo della nostra fossa il mondo è rimasto seduto … / finita è la nostra vacanza, sepolto è l’onore del mondo”), era bloccato nell’ambasciata americana a Budapest. Lì è rimasto, fino alla fine degli anni ’60, quando il Vaticano ottenne che fosse lasciato partire, dopo avergli tolto ogni incarico. Alla morte di Giovanni XXIII, Giovannino Guareschi, l’indimenticabile autore di Peppone e Don Camillo, lancia una modesta proposta al Sacro Collegio. C’è un solo modo onorevole per liberare Mindszenty, farlo Papa. A quel punto i Sovietici lo avrebbero dovuto liberare per forza, oppure dovevano gettare la maschera ed assumersi la responsabilità di passare alla Storia come i carcerieri del Pontefice. Sarebbe stato, in entrambi i casi, un colpo gravissimo per tutti i “cattosinistrismi”. Ecco il possibile realizzarsi dell’Ucronia di Morris West. Sappiamo, invece, come sono andate le cose. Ci rincresce che quella gran penna che è stato Guareschi non abbia approfondito più di tanto tali spunti. Ne sarebbero uscite delle stupende Ucronie, ovviamente in entrambe le varianti. Lui, però, se n’augurava la realizzazione.
    b) Roma senza Papa. Con questo capolavoro del povero Guido Morselli (Edizioni Bompiani), entriamo nel pieno della crisi Post-Conciliare. È stato eletto papa un turco di rito Maronita, che ha preso il nome di Libero I. Con l’enciclica “Maria, Mater Christi”, inaugura una mariologia rinunciataria. Abolisce il celibato ecclesiastico, mantenendo la proibizione per gli anticoncezionali, (quindi il prete fedele si riconosce dalla famiglia numerosa). Ciò è solo l’inizio di una stagione di demolizione della Chiesa. Il papa, tra l’altro, lascia Roma e si trasferisce a Zagarolo. Per la cronaca, Guido Morselli era un ottimo romanziere, apprezzato solo dopo la tragica morte (suicidio), ma ignorava praticamente tutto dei Maroniti, tranne forse l’antichissima origine “latu senso”, monofisita (anzi monotelita), abbondantemente rinnegata, altrimenti non avrebbe mai attribuito ad uno di loro tali iniziative. Sono trascorsi alcuni anni. Il romanzo (appunto “Roma senza Papa”) è presentato sotto forma di diario. È il diario di un giovane sacerdote svizzero, coniugato (con una psichiatra), ma attaccato alla talare ed alla Messa celebrata tutta in latino ed iniziando con “L’Introibo”. Lui e la moglie sono molto devoti alla Madonna e, infatti, è venuto in Italia per consegnare al papa Giovanni XXVI, un saggio scritto da lui e dalla sua gentile signora, in difesa dell’Iperdulia (la devozione mariana). Intanto, in Italia, l’abolizione delle gare sportive, in specie delle partite di calcio, ha provocato lo scoppio della sua prima vera rivoluzione. Amintore Fanfani (personaggio che incontreremo di nuovo, ed in ben altre “vesti”), divenuto capo del PSU (Partito Socialista Unificando) è il dittatore comunista al potere. Il prete svizzero, assiste a spettacoli a dir poco “curiosi”. Dal vecchio parroco trasteverino, che, alla notizia che, ben presto, per essere prete bisognerà sposarsi, pensa di lasciare il sacerdozio, ai seminaristi che sfilano con la fascia di lutto al braccio per la “morte” di Dio [sic! Come al solito, la “realtà”, qualunque senso abbia tale vocabolo, supera sempre la fantasia. Eventi simili, e, se possibile, anche peggiori nei giorni convulsi dell’immediato Post-Concilio, si verificarono sul serio]. Circa il papa, poi, proprio durante il soggiorno italiano del prete svizzero, le agenzie di stampa battono la notizia che la presidentessa degli USA, ed una celebre maestra di yoga, sono divenute rivali, avendo entrambe chiesto pubblicamente la sua mano. Allorché finalmente riesce ad incontrare il pontefice, ne ricava l’impressione che era il più tradizionalista di tutti, seriamente addolorato per la situazione di sfascio della Chiesa, ma che, giuntovi alla guida, aveva concluso che solo toccando il fondo si poteva risalire, e, pertanto, aveva deciso, semplicemente di non far nulla.
    c) Il Papa nero. Non c’è nessun riferimento ad una celebre canzone di qualche anno fa. Si tratta di un romanzo, anch’esso degli anni ’60, opera del vaticanista di destra Emilio Cavaterra (Edizioni del Borghese). Siamo negli ultimi giorni del XX secolo (e forse negli ultimi giorni “tout court”). Tutto il mondo è scosso da guerre e disordini sociali e razziali. Dagli USA alla Cina è tutto un continuo. In Cina, poi, dopo che un pronipote di Mao si è convertito allo pseudo-cattolicesimo orientalizzato dei Tai P’ing del XIX secolo e si è proclamato imperatore, si è accesa la guerra civile (prendete nota). Il peggior genocidio, è però in corso da quasi mezzo secolo in Sudan (ohibò). Tanto sangue muove l’indignazione delle altre genti nere. Numerosi predicatori gridano che è ora di smetterla. Eserciti e governi di mezza Africa, ormai non esistono praticamente più. Un’orda di trenta milioni di negri è diretta in Sudan, per regolare una volta per sempre i conti con gli Arabi, che, dal canto loro, li aspettano al varco, con le armi nucleari. In tale contesto, muore il papa ed è eletto un giovane cardinale senegalese. Vorrebbe prendere nome Pietro II, ma gli fanno notare subito, non solo quanto sia “iettatoria” una tale scelta, ma anche quanto sia poco o punto ecumenica. Presta il fianco ad accuse d’orgoglio romano. Preso atto sceglie di chiamarsi Gelasio III, come l’ultimo papa africano. Nessuno si aspettava, da un nero che, immediatamente rendesse obbligatorio il tornare a celebrare in latino, spalle al popolo ed iniziando dall’Introibo (nessuno di tali autori era giunto a pensare che, nella realtà, era creato ed imposto, un rito del tutto nuovo). Visto che tutti i suoi sforzi per fermare la guerra in Africa sono vani, si dimette e, tornato semplice vescovo, si fa paracadutare sulla linea del fuoco. Assisterà spiritualmente i negri prossimi alla strage e vedrà se gli Arabi avranno la determinazione di uccidere il papa “emerito”.
    Adesso, prima di passare alle Ucronie degli anni ’70, (quindi successive alla riforma liturgica vera e propria) notiamo alcuni particolari comuni alle narrazioni che abbiamo appena elencato. L’atmosfera di fondo, nonostante le apparenze, è di speranza. Paradossalmente, il non far nulla di Papa Giovanni XXVI, pur essendo una grave colpa (non far nulla, per un capo, figuriamoci per il Pontefice, è la peggior scelta possibile), è legato comunque all’idea che la Provvidenza interverrà. Provvidenza che si manifesta nei provvedimenti di Gelasio III, come se volesse dire. “Avete voluto fare l’esperimento di aprirvi alla modernità. Avete visto, quindi, che la gente del mondo ne fin sopra i capelli”.
    d) L’ultima Messa di Paolo VI. A Tito Casini, grande amico di Giovanni XXIII, nonché insigne latinista, grandissimo poeta dialettale (dal latino al latino, passando per il dialetto), e autore di tanti tra saggi e novelle di argomento storico – religioso (tra cui una pregevole biografia del Cardinale Elia Dalla Costa), fu chiesto di collaborare alla riforma liturgica. Si rifiutò, ricordando che gli era stato insegnato che nella liturgia si vede ancora il sangue dei martiri. Fu, anzi, da subito una delle colonne dell’associazione “Una Voce”, per la salvaguardia della liturgia latina. In tale veste scrisse le prime grandi requisitorie contro le riforme liturgiche: “La Tunica stracciata” (Libreria Editrice Fiorentina), “Dicebamus heri” e “Super flumina babylonis” (Edizioni il Carro di San Giovanni). Nel 1975, diede forma romanzata a tali saggi, scrivendo il racconto lungo “L’ultima Messa di Paolo VI” (Edizioni il Carro di San Giovanni). L’Ost-Politik del Vaticano ha superato Mosca ed ha preso contatti direttamente con Pechino. È organizzato un viaggio del pontefice in Cina. Sull’aereo è l’unico in talare, tutta la corte vaticana è in borghese. L’aereo precipita in una zona impervia del Tibet. I passeggeri sono condotti in salvo da alcuni indigeni cattolici, che vedendo un prete, li portano dal loro vecchio missionario che è scampato alle persecuzioni prima dei lama e dopo dei maoisti. Causa ed effetto di tale salvezza, è stato l’isolamento totale in cui si trova, tanto che ignora la morte di Pio XII. Ricevuto dal missionario, il papa chiede di celebrare, ovviamente la Messa Tridentina. Il missionario gli fa da chierichetto e, quindi, ha modo di ascoltare una variante del Canone che non credeva avrebbe mai sentito “Una cum me, indigne”. Alla fine della celebrazione, Paolo VI redige una Costituzione Apostolica, con la quale abolisce tutte le riforme liturgiche da lui precedentemente approvate e di li a poco muore.
    e) Paolo VII. Sorvoliamo sul Paolo VII tedesco, pessimo conoscitore dell’italiano, non ultimo responsabile della crisi della DC cui si accenna nel best-seller fanta-politico-comico “Berlinguer e il Professore” (Rizzoli Editore, di Anonimo, che in seguito si seppe essere l’editorialista del “Giornale” Gianfranco Piazzesi), e che in qualche modo ha “profetizzato” l’elezione del tedesco Joseph Ratzinger. Invece, dopo tante atmosfere cupe, passiamo ad un intermezzo comico:
    f) Leone XIV. L’autore borbonico Bruno Broccoli, sull’onda del successo del testo precedente, scrive un romanzo dichiaratamente comico: “Leone XIV, successore di Paolo VI” (Trevi Editore). Paolo VI, compiuti gli ottanta, si dimette. Un giovane vescovo giapponese ne spezza l’anello Piscatorio con un colpo di Karatè, quindi, tornato don Montini, in elegante clergyman, prende la valigia e se ne va in Val Gardena. Inizia un estenuante Conclave che si trascina per un paio d’anni, ormai nel disinteresse generale. Fin quando qualcuno, non si saprà mai esattamente chi, ispirato dallo Spirito Santo, o forse dal diavolo, ha l’idea di chiedere in prestito il computer (mai andato in funzione) dell’anagrafe tributaria. Ci si mettono dentro i nomi di tutti i papabili, da incrociarsi con l’elenco degli attributi che sono richiesti per occupare il Soglio. Però, forse non sono prima cancellati i nomi degli evasori fiscali e la macchina fa un po’ di confusione. Il nome del Papa Perfetto, che è indicato dal cervellone è AMINTORE FANFANI (rieccolo). Al che non manca chi commenta che per l’Aretino, essere fatto Pontefice è degradante: lui si era sempre creduto un Padreterno! Fanfani accetta e sale al Soglio, prendendo il nome di Leone XIV. Ben presto si fa vivo Pasquino, con sonetti del tipo: “Cento anni fa, dal Soglio, scendeva un Pio Nono; oggi nulla di strano, che vi salga un Pio NANO”. Sonetti accolti da Sua Santità, con preci per le anime degli avi dell’Autore. Dopo tutta una serie di schermaglie con il vecchio rivale di partito Giovanni Leone, a base di chi arruola tra le guardie le reclute più alte (dopo che Papa Fanfani ha ripristinato le Guardie Nobili, arruolandole tra i giocatori di basket, per superare l’altezza dei Corazzieri, il Presidente arruola nuovi Corazzieri tra i Watussi) ed aver creato cardinali alcuni vecchi amici, come il capo comunista Enrico Berlinguer, si passa a cose serie. Il Vaticano denuncia unilateralmente il Concordato ed esige i territori promessi all’epoca delle Guarentigie. In pratica il territorio vaticano si moltiplica per sette. Grazie all’appoggio sovietico, garantito dal Cardinale Berlinguer, è subito accontentato. Ma è solo il primo passo. Il meteorologo Colonnello Bernacca è promosso “motu proprio” generale, non appena, nel suo programma televisivo inquadra il cartello “TEMPORALE”. Ormai tutto è pronto per la gran mossa. Lo stato Vaticano lancia l’ultimatum: rivendica il diritto all’autodeterminazione per tutti i territori dell’ex Stato Pontificio. Il rifiuto italiano porta alla dichiarazione di guerra. Sampietrini e comunisti si sollevano ovunque. In breve l’Italia è conquistata. Giovanni Leone chiede asilo politico in Svizzera. È buttato giù il monumento al Bersagliere a Porta Pia, sostituito da un monumento al novello Giulio II, il Papa Guerriero. Il solito Pasquino commenta: “Dove prima c’era un bronzo, adesso c’è uno…”. :-)) Il campo spirituale pure riceve la sua orma. Apre in pompa magna il Concilio Aretino I, che sancisce il “Compromesso Biblico” con gli Ebrei e, quindi, proclama Leone XIV santo, mentre è ancora in vita.
    g) Pio XIV e Pio XV. Mons. Giuseppe Pace Salesiano (13-XII-1911 / 02-XI-2000), con lo pseudonimo di Walter Martin, è stato l’autore di un bellissimo romanzo: “PIO XIV” (Edizioni Sancti Michaelis, 1979). Con questa Ucronia assistiamo ad un salto di qualità rispetto alle precedenti. Tale romanzo (che nel 1983 ebbe una nuova edizione riveduta ed ampliata, al punto che comprende due volumi, con il nuovo titolo “Dopo Paolo VI”) conferma l’immensa erudizione, le capacità divulgative e l’arguta “verve” umoristica dell’Autore.

  3. Io spero e prego che il Papa Benedetto XVI sia in Paradiso.
    Penso anche che lo sia, ma quello che penso io non ha importanza.
    Poi, che le sue dimissioni abbiano “accelerato” un processo di degrado su tutti i livelli del mondo Occidentale (per non dire del mondo tutto), su questo possiamo anche essere d’accordo.
    Non incolperei però l’uomo, il pastore, se non nella misura in cui dovremmo allora incolpare l’ignavia di tutto il gregge…

    Mea culpa… miserere mei Domine….

    Rèquiem aetèrnam, dona ei, Domine,
    et lux perpètua lùceat ei.
    Requiéscat in pace.
    Amen.

    1. https://www.radiospada.org/2019/11/lettera-aperta-a-joseph-ratzinger-per-il-bene-di-tutti/
      Caro Joseph,

      è tanto che voglio scriverti e ho deciso di farlo con una lettera aperta. Non so se ti giungerà mai questo messaggio ma sento di doverti dire alcune cose, anzi tante, che però si riassumono in una, ovvero: sei ancora in tempo per aiutarci!

      No, non mi dire che non puoi. Non mi dire che da quando sei “Emerito” non puoi più. Puoi eccome! Hai fatto tanti interventi pubblici, hai scritto e commentato. Hai pure benedetto, alle porte del Sinodo amazzonico, i neocardinali bergogliani. Quindi sì: puoi farlo, senza contraddirti.

      Che ti chiedo? Ti chiedo di dire qualcosa sulla situazione della Chiesa, sulla disastrosa crisi che l’attraversa. Ti chiedo di dirlo per il bene di tutti. Insomma: diciamo le cose come stanno. Se lo facessi, molti capirebbero. Forse anche Francesco aprirebbe gli occhi.

      Ecco Joseph, è il momento di parlare. A 92 anni non è tempo di rimandare.[…]

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