La Giornata della Memoria sta per concludersi e chiudiamo anche noi con qualche considerazione marginale.
La prima deriva da un’impressione personale: sbaglio o quest’anno la celebrazione è trascorsa un po’ sottotono? Lasciando da parte le polemiche su Israele, che hanno impedito almeno in questo 2024 di assistere alla gogna contro il cattivone di turno (storico revisionista, antisemita internettiano, attivista anti-sionista) o alla sovraesposizione mediatica dei rappresentati della comunità ebraica, va affrontata la questione fatidica della Memoria (ipostatizzando il tutto con la maiuscola, così è più semplice).
La Memoria al giorno d’oggi è considerata una forza regolatrice della Storia, mentre al contrario è risaputo essere l’Oblio a soprassiedere a ogni dinamica. Si tratta di una considerazione tragica, anche se non saprei dire di quale tipo di tragicità (Hegel avrebbe detto quella greca, visto che nel suo antisemitismo negava alle tragedie ebraiche ogni consistenza). Cade a proposito una riflessione di Romano Amerio da Iota Unum (§330):
«L’oblio è il gran motore della storia e configura lo spirito del secolo. […] Lo spirito umano è incapace di contenere simultaneamente più valori, e l’oblio è quello grazie al quale il mondo d’antico si fa sempre nuovo. La storia, che per sé è sostanziata di memoria, versa incessantemente nel vaso, come la Manaide, eventi sopra eventi, ma non riempie mai il vaso e gli eventi trapassano e si sperdono fuor del vaso della memoria che è futile e permeabile. Lo stato del mondo è, di momento in momento, un composto di memoria e di oblio. […] Per la memoria ciascuna generazione ricapitolerebbe il mondo; per l’oblio ciascuna lo ricomincia. […] Né vale l’industria di una generazione per fissare la memoria e abolire l’oblio. I Greci dopo le guerre persiane lasciarono in piedi i templi incendiati, per perpetuare alle menti la crudeltà empia dei barbari. Gli Americani dopo il 1945 ventilarono di non riedificare le città tedesche, affinché non subentrasse nel popolo germanico l’oblio della propria colpa e della sventura seguitane. Ma contendere contro l’oblio è “nelle fata dar di cozzo”, perché l’oblio è la legge della storia, anzi è il costitutivo della storia, la quale è vicissitudine di morti e di vite, cioè di comparazioni e disperazioni delle cose allo spirito. L’oblio è poi così benefico nella vita del tempo che viene perfino istituzionalizzato nel giure mediante la prescrizione, l’usucapione, la perenzione contemplate in tutte le legislazioni. E non mi addentro nell’atto morale del perdono, che è una sorta di volontario oblio, che non può disfare il fatto preferito, ma lo annienta nella memoria del perdonante».
Con le cerimonie pubbliche a cui si assiste da oltre vent’anni a questa parte si vorrebbe fare della Shoah un evento metastorico, al di qua e al di là della Storia; ma si tratta un tentativo disperato, destinato a fallire, quello di procrastinare l’inevitabile esclusione dell’olocausto ebraico della supremazia nella Memoria.
Tuttavia, una volta che anche i riti collettivi avranno esaurito la loro energia, si dovrà per forza passare alle “maniere forti”. Finora ne abbiamo avuto un assaggio, nei tentativi di reintrodurre il reato d’opinione attraverso i provvedimenti anti-negazionismo. Nonostante non sia così ingenuo da credere al mito della “libertà assoluta”, la considero comunque una pericolosa distorsione di taluni principi che, bene o male, abbiamo dovuto tutti accettare.
Per essere più chiari possibile: se io volessi scrivere un libro per dimostrare che Gesù Cristo è un fungo allucinogeno, come fece John Marco Allegro nel 1970, potrei farlo senza essere indagato, processato, arrestato. Se volessi invece affrontare una tematica come la Shoah con gli stessi metodi (quindi descrivendola come una allucinazione collettiva), finirebbe malissimo.
Forse il paragone può sembrare surreale, ma con le leggi anti-revisionismo vigenti oggi in Paesi come Francia e in Germania, da quelle parti rischierebbe la galera anche chi compilasse uno studio sull’olocausto escludendo dalle fonti le testimonianze dei sopravvissuti. Potrebbe essere interpretata come una manipolazione? Certamente; ma ad ogni modo non sarebbe lecito rispondere con un paio di manette.
Non è insomma accettabile (e mai lo sarà) considerare il revisionismo come un crimine, dato che, tra le altre cose, persino la stessa ricerca sulla Shoah ha potuto trarne un indiretto giovamento (almeno fin quando era lecito), depurandosi di quelle incrostazioni mitiche effettivamente germinate dalla propaganda di guerra (come, per esempio, la leggenda dei cadaveri degli ebrei utilizzati per fabbricare saponette, bottoni, carne in scatola e paralumi, che tuttavia viene ancora ripetuta in alcune opere di divulgazione).
Il rischio più grande è che, associando continuamente alla “Giornata della Memoria” la necessità di repressione, si finirà prima o poi per resuscitare quelle liturgie novecentesche contro le quali tali iniziative vorrebbero invece rappresentare un’antitesi o addirittura una “cura”. Potrebbe crearsi un cortocircuito con la frastornante propaganda a favore di Israele, che viene sempre propinata invalidando la potenziale universalità della “Memoria”, perché –è sgradevole ricordarlo– un “culto dei martiri” peculiare alla propria natura è sempre stato una delle condizioni di possibilità del “fascismo” come finora lo abbiamo conosciuto.