In un suo scritto sul sionismo, David Ben Gurion afferma che nel 1904 il padre fondatore di tale ideologia politica, Theodor Herzl, «fu ricevuto in udienza da Vittorio Emanuele III, il quale gli espresse la sua simpatia per la causa sionista, [… e] da Pio X, che non si dimostrò però eccessivamente amichevole».
Rispettivamente i due incontri si tennero il 23 e 25 gennaio e in verità vennero riportati in maniera tutt’altro che scettica da quella parte della stampa ebraica favorevole al progetto di Herzl. Come ha osservato il Direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano in occasione di una mostra del 2021 dedicata proprio al viaggio di Herzl in Italia:
«La stampa ebraica italiana del tempo ci fornisce una preziosa fonte, mettendo in luce l’impatto che ebbe sulle comunità ebraiche l’arrivo di Herzl. Il suo viaggio può considerarsi un momento di svolta ed ebbe una influenza consistente. Portò alcuni a non avere più dubbi sul decollo concreto e ormai definitivo del progetto politico sionista. Altri (in quel momento ancora la maggioranza degli ebrei italiani) continuarono a rimanere scettici, o perché permeati fino al midollo da idee di emancipazione che rasentavano l’assimilazione, o perché interpreti di un ebraismo che si accontentava a tratti di un’osservanza ‘all’antica’ che rinviava il ritorno a Sion ai tempi messianici. Basta gettare un occhio alle principali riviste ebraiche dell’epoca. Sul triestino “Corriere Israelitico” Dante Lattes scrisse un articolo nel quale rilevava gioiosamente che il movimento sionista era noto ormai anche al papa e al re Vittorio Emanuele III; mentre “L’Idea Sionista”, rivista mensile del movimento sionista fondata tre anni prima, riporta una cronaca dettagliata del viaggio».
Secondo appunto l’opinione di Dante Lattes sul “Corriere Israelitico” (nel quale era subentrato da poco alla direzione),
«il Papa parve grandemente interessarsi alla questione e fece molte domande concernenti lo stato degli Ebrei in Russia e negli altri paesi d’Oriente ed espresse la sua cordiale simpatia per gli sforzi e le aspirazioni del Dott. Herzl».
Il foglio, di chiara ispirazione sionista, presentava il Grand Tour di Herzl nel Bel Paese come un’esperienza inedita nelle relazioni tra l’ebraismo e i “grandi della terra”:
«Finora avevamo assistito all’allegro spettacolo delle Comunità israelitiche che incaricavano il Rabbino od il Presidente di ripetere dinanzi al Capo dello Stato la solita bugia idiota della nostra felicità universale e della nostra eterna gratitudine: una menzogna convenzionale tutta propria dell’Ebraismo dell’assimilazione.
Il Dott. Herzl invece rappresenta non i rinnegati parvenus dell’emancipazione, ma la nazione ebraica nel culto e nella pienezza dei suoi diritti e delle sue energie storiche. Ai due personaggi [Vittorio Emanuele III e Pio X] che l’accoglievano cortesemente nella sua qualità di rappresentante del popolo d’Israele, egli avrà detto tutta la nostra volontà di vivere liberi nella terra nostra, secondo il genio della nostra civiltà rinnovata. Forse la voce di questo desiderio li avrà meravigliati appunto per il contrasto colle solite proteste giudaiche piene di remissione e di rinunzia».
Lattes istituisce poi un parallelo tra Risorgimento italiano e giudaico, affermando dunque che per Re Vittorio fosse «quasi atto di coerenza accoglier con simpatia questo rifiorire dello spirito nazionale ebraico» e arruolandolo direttamente alla causa sionista:
«Il Re s’è mostrato informatissimo del nostro movimento per il quale espresse la maggior simpatia. Disse di amare e di ammirare gli Ebrei perché hanno resistito e resistono a secolari persecuzioni, conservando intatta la loro fisonomia morale e le loro tradizioni storiche. Soggiune però di aver constatato con dispiacere che parecchi ebrei desiderano di far dimenticare la loro origine e preferiscono di non parlare di quanto sa di Israelitico. La critica è acuta e colpisce vigorosamente, come un’accusa di viltà, i nostri timidi fratelli, ed ha tanto maggior valore, in quanto che essa viene non solo da un Re, ma da un uomo che sta a capo d’un popolo giovane e che ha inteso nell’anima generosa palpitare tutti i sentimenti e tutte le idee della modernità. E dopo le parole del Re gli Ebrei d’Italia se sono veramente italiani come dicono, devono schierarsi sotto la bandiera del risorgimento giudaico».
Per Pio X, invece, il Direttore avanza argomenti più attinenti alla fede che alla diplomazia:
«Il Papa avrà pensato che in ogni modo lo spettacolo è bello e che il Dio pietoso della Bibbia non può che benedire gli sforzi di coloro che ebbero da Lui una missione civile ed umana nel mondo. […] Il Papa deve pensare che il ritorno degli Ebrei nella terra dei loro padri è voluto dalla Bibbia, e, se si effettuasse, sarebbe il più gran segno della verità delle Profezie che ce lo promisero».
Inevitabilmente il discorso scivola infine nella teologia politica:
«Se insomma la politica non ci mette il suo bastone, rendendo vana tutta la simpatia che il nostro movimento desta nelle menti moderne, Re Vittorio Emanuele e Papa Pio X, erede l’uno del principato di Tito che ci distrusse la patria, e l’altro depositario d’una parte degli ideali sacri al popolo della Bibbia, saranno fra i sostenitori non meno augusti del nostro risorgimento».
Al di là dei toni trionfalistici, le testimonianze riportano uno scenario ben diverso per quanto riguarda l’incontro tra l’ideologo sionista e il Papa antimodernista.
Di tale storica udienza parla anche Sergio Romano nel suo ultimo libro, citando come fonte un saggio di Sergio Minerbi (Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, Bompiani, 1988):
«Il fondatore del movimento sionista, Theodor Herzl, credette possibile, alla fine del secolo scorso, di aggirare l’opposizione della Chiesa di Roma. Avrebbe chiesto udienza al Papa e gli avrebbe detto: “Aiutateci contro l’antisemitismo e io guiderò un grande movimento per la libera e onorevole conversione degli ebrei al cristianesimo“. Immaginava la cerimonia nella cattedrale viennese di Santo Stefano “con una processione festosa, in un gran concerto di campane”. Quando riuscì a farsi ricevere da Pio X nel gennaio 1904, non parlò di conversione, ma assicurò il suo interlocutore che gli ebrei avrebbero garantito ai luoghi santi il privilegio della extraterritorialità. Si scontrò contro un non possumus.
“La fede ebraica” gli disse il Papa “è stata il fondamento della nostra, ma è stata sostituita dall’insegnamento di Cristo e noi non possiamo più riconoscerle alcuna esistenza”. Quando la conversazione cadde sullo status di Gerusalemme, il Papa replicò, con disarmante franchezza: “So che è spiacevole vedere i nostri luoghi Santi in possesso dei turchi. Siamo costretti a tollerare. Ma favorire gli ebrei nel possesso dei luoghi Santi, questo proprio non possiamo farlo“».
Lo stesso Herzl ricapitola l’incontro nei suoi diari, pubblicati per la prima volta in tedesco nel 1922:
«Ieri ero con il Papa. Il percorso mi era già noto visto che avevo incontrato De Lippay [l’aristocratico che ha fatto da tramite tra Herzl e il Papa] più volte. Ho passato i lacchè svizzeri, che sembravano chierici, e religiosi che sembravano lacchè, i funzionari papali e i ciambellani.
Sono arrivato dieci minuti prima del tempo e non ho nemmeno avuto bisogno di aspettare. Sono stato condotto dal Pontefice attraverso numerose piccole sale di ricevimento.
Mi ha ricevuto in piedi e mi ha teso la mano, che io non ho baciato. Lippay mi aveva detto che dovevo farlo, ma non l’ho fatto. Credo di avergli causato un dispiacere, poiché tutti coloro che lo incontrano si inginocchiano e quanto meno gli baciano la mano.
[…] Si è seduto su una poltrona, usata per le udienze minori. Poi mi ha invitato a sedermi accanto a lui e mi ha sorriso amichevolmente
Ho esordito: “Ringrazio Vostra Santità per il favore d’avermi accordato questa udienza”.
“È un piacere”, ha risposto.
Mi sono scusato per il mio italiano misero, ma il Papa mi ha risposto: “No, invece lei parla molto bene, signor Commendatore”. Poiché avevo indossato per la prima volta, su consiglio di Lippay, la medaglia dell’Ordine di Mejīdiyye [onorificenza militare dell’Impero Ottomano], di conseguenza, il Papa si rivolgeva a me sempre come Commendatore.
Il Papa è un buon parroco di paese, grezzo, per il quale il cristianesimo è rimasto una cosa viva anche in Vaticano.
Gli ho presentato brevemente la mia proposta. Egli, tuttavia, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, ha risposto in tono severo e risoluto:
“Noi non possiamo favorire il vostro movimento. Non possiamo impedire agli ebrei di recarsi a Gerusalemme, ma non potremo mai favorirlo. La terra di Gerusalemme se non è stata sempre santa, è stata santificata per la vita di Gesù Cristo. Come capo della Chiesa non potrei dirle altro. Gli ebrei non hanno riconosciuto Nostro Signore, perciò noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico“.
Quindi il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, è cominciato un’altra volta.
All’inizio, per sicurezza, ho cercato di essere conciliante. Ho parlato dei mie appunti sull’extra-territorialità, res sacrae extra commercium [“le cose sacre stanno fuori dal commercio”], ma non ho fatto una grande impressione. Gerusalemme, ha detto, non deve finire nelle mani degli ebrei.
“E la sua opinione sulla situazione attuale, Santo Padre?”
“Sono consapevole che non sia piacevole vedere i turchi in possesso dei luoghi santi. Dobbiamo semplicemente farcene una ragione. Aiutare tuttavia gli ebrei a impossessarsene, questo non possiamo assolutamente“.
Gli ho riferito che il nostro scopo era fermare la sofferenza degli ebrei e che volevamo evitare i problemi religiosi.
“Sì, ma noi, e io come Capo della Chiesa, non possiamo fare questo. Ci sono due possibilità. O gli ebrei si rivolgono alla loro fede e continuano ad attendere il Messia che, per noi, è già venuto, ma in questo caso essi non faranno che negare la divinità di Gesù e noi non li possiamo aiutare. Oppure potrebbero recarsi in Terra Santa senza alcuna fede, e allora potremo essere ancora meno favorevoli a questo. Perché la religione ebraica è il fondamento della nostra, ma gli insegnamenti di Cristo l’hanno superata, e non possiamo concederle ulteriore validità. Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, non l’hanno fatto fino ad ora”.
Avevo sulla punta della lingua: “Questo è ciò che accade in ogni famiglia. Nessuno crede nei propri genitori”. Ma ho detto invece: “Terrore e persecuzione potrebbero non essere i mezzi giusti per aprire gli occhi agli ebrei”.
Il Papa ha replicato, questa volta impressionante nella sua semplicità:
“Il nostro Signore è venuto senza potere. Era povero. È venuto in pace. Non ha perseguitato nessuno. È stato perseguitato. È stato abbandonato anche dai suoi discepoli. Solo più tardi è diventato re. Ci sono voluti tre secoli alla Chiesa per evolvere. Gli ebrei hanno avuto quindi il tempo di riconoscere la sua divinità, senza alcuna pressione. Ma non l’hanno fatto fino a oggi”.
“Santo Padre, gli ebrei si trovano in una situazione terribile. Non so se Vostra Santità è informato della piena portata di questo. Abbiamo bisogno di una terra per queste persone perseguitate”.
“Deve per forza essere Gerusalemme?“
“Non stiamo chiedendo Gerusalemme, ma la Palestina, solo la terra laica”.
“Non possiamo essere a favore di ciò”.
“Vostra Santità conosce la situazione degli ebrei?”
“Sì, fin dai miei giorni a Mantova. Lì vivono degli ebrei e sono sempre stato in buoni rapporti con loro. Solo l’altra sera due ebrei sono venuti qui a trovarmi. Dopo tutto, ci sono altri legami rispetto a quelli religiosi: cortesia e filantropia. Non neghiamo queste cose agli ebrei. In effetti, preghiamo anche per loro: che le loro menti siano illuminate. Oggi stesso la Chiesa celebra la festa di un non credente che, sulla via di Damasco, si convertì miracolosamente alla vera fede. E così, se insediate in Palestina la vostra gente, dovremo avere chiese e sacerdoti pronti a battezzarvi tutti“.
[…] Il Papa ha infine ripetuto quello che aveva già detto: Non possumus!».
PS: Nel maggio 2014, durante il suo viaggio in Israele, l’attuale Pontefice (Bergoglio) è andato a rendere omaggio alla tomba di Herzl accompagnato da Benjamin Netanyahu.