Deboomerizzare l’Italia per evitare altre tragedie?

In una periferia di Roma sud, Casal Palocco, degli youtuber poco più che ventenni per organizzare una “sfida” (challenge) in cui avrebbero dovuto passare 50 ore su un Suv Lamborghini Urus (noleggiato per l’occasione), hanno causato un incidente in cui è morto un bambino di cinque anni. La Lamborghini ha travolto una Smart alla cui guida c’era una giovane madre ventinovenne, che stava riportando a casa i suoi due bambini da scuola, Aurora di quattro anni e Manuel di cinque, il quale purtroppo non è sopravvissuto allo scontro.

Secondo le ricostruzioni dei giornali, l’auto in pieno pomeriggio avrebbe sorpassato a 110 chilometri orari, a 150 metri da un asilo e su via stretta a doppio senso, una macchina che si era fermata per lasciar svoltare proprio la CityCar. A detta dei presenti, le cui testimonianze stanno emergendo in questi giorni, gli youtuber sarebbero scesi dalla macchina  con fare “strafottente” e avrebbero cominciato a girare video sghignazzando (“Ridevano senza ritegno e filmavano le auto distrutte“), suscitando la riprovazione di uno dei padri lì presenti, che reagendo a tale disumanità si è pure beccato  una denuncia per aggressione. Secondo un altro genitore di un bambino che frequentava lo stesso asilo del piccolo Manuel, uno dei ragazzi si sarebbe avvicinato a lui intimandogli di darsi una calmata “perché tanto daremo un sacco di soldi alla famiglia e sistemeremo tutto”.

La strafottenza deriva probabilmente anche dal fatto che alla guida della Lamborghini ci fosse un vero e proprio “figlio di papà”, rampollo di un dipendente del Quirinale (peraltro finito a processo, ma poi prosciolto, nell’ambito di un’inchiesta sulla sottrazione di milioni di euro dalle casse dello Stato), il quale aveva partecipato a un video di questi youtuber guidando una Ferrari a Roma (rigorosamente senza cinture).

Il canale Youtube gestito da questi ventenni complici, in varia misura, di un omicidio, è in verità una srl che nel 2022 ha fatturato 191mila euro (con utili per 46 mila euro) e che può contare su un codazzo di studi legali, commerciali e pubblicitari, oltre che su importanti sponsorizzazioni come quella di Sony Italia (che, prima di cancellare maldestramente le tracce del proprio patrocinio, promuomeva le loro “imprese” con lo slogan “questi ragazzi creano contenuti da pazzi”).

Bisogna ammettere che la stampa nostrana, di solito così disgustosamente “perdonista”, questa volta non ha dato il peggio di sé, e oltre a non insabbiare l’importante parentela del responsabile diretto della morte di Manuel, non si è nemmeno fatta prendere da quella smania “quirinalista” che, soprattutto negli ultimi anni, genera nella maggior parte degli opinionisti l’impulso di difendere d’ufficio qualsiasi cosa emani dalla augusta figura del Presidente della Repubblica: almeno in tal caso, non c’è stata quella sorta di “innocenza per associazione” conferita a chiunque lavori per il Palazzo, senza voler contare i timidi tentativi di ridurre il tutto a una “bravata/ragazzata” o provare a insinuare che chiunque osi giudicare tale “bravata/ragazzata” sicuramente ha fatto cose simili passandola sempre liscia. Tale giustificazionismo, a parte appartenere ai soliti guitti (che comunque, ragionando con un cervello collettivo, risentono di quell’istinto di cui sopra), sembra far presa anche su una delle categorie demografiche più disgraziate apparse nella storia recente, quella dei cosiddetti boomer, che hanno fatto dell’irresponsabilità un mito sociale, obbligato le generazioni successive a rendere tributo a tale mito.

Non si tratta, naturalmente, di una questione soltanto anagrafica, dal momento che le narrazioni, i modelli, le utopie e gli ideali della generazione del baby boom permeano ancora la cultura di massa (se non l’inconscio collettivo), senza possibilità di demitizzazione o almeno contestualizzazione storica. Ci dovrà pur essere un motivo se un’intera società sembra quasi obbligata alla deficienza e ogni tentativo di comportarsi in modo decente (per dire: avere dei figli non in età da pensione o andare a prenderli a scuola in auto guidando con criterio) viene frustrato e ridicolizzato come espressione di un comportamento innaturale e anacronistico.

Praticamente chiunque tenti di vivere un’esistenza normale e discreta viene dipinto dai media alla stregua di un “cattivo” di Easy Rider, una delle tante opere di propaganda che hanno imposto all’intero Occidente uno stile di vita assurdo e insostenibile (nei confronti del quale la serie Fast & Furious, citata ossessivamente dagli youtuber di cui sopra, non è che la continuazione con altri mezzi, così come gli anni ’80 sono la continuazione con altri mezzi del Sessantotto).

Dunque prima di incolpare collettivamente qualsiasi “nuova generazione”, è necessario fare i conti con chi abbia allevato tali mostri: è probabile che anche l’attenzione, forse a tratti morbosa, verso i dettagli della biografia personale dei giovani assassini abbia a che fare con un oscuro senso di colpa covato rappresentanti della generazione irresponsabile (definibile come tale anche nella misura in cui non riesce ad assumersi una responsabilità nemmeno quando viene raffigurata in maniera plastica il tipo di rapporto genitori/figli che hanno intrattenuto negli ultimi trenta-quarant’anni).

È tale generazione ad aver ridotto l’unico “rito di passaggio” valido per essere considerati a pieno titolo membro della nostra società alla “bravata/ragazzata”: un concetto che nondimeno ormai racchiude pacificamente -per restare in tema- non solo le gare in moto o in auto, ma anche tutte le condotte antisociali fomentate da un individualismo ai limiti del narcisismo, le quali si estendono dai comportamenti sessuali illeciti (un insieme che non può contemplare soltanto la sodomia o il transessualismo, ma deve doverosamente allargarsi, tra le altre cose, al consumo di pornografia, al sesso prematrimoniale e al divorzio) all’obbligo dello “sballo” tramite divertimenti estremi o consumo “iniziatico” di droghe assortite.

A fronte di tale catastrofe epocale, ridurre la polemica anti-boomer a questioni materiali, come le pensioni, la digitalizzazione o la “difesa dell’ambiente”, rappresenta una soluzione sbagliata a un problema reale che evidentemente le nuove generazioni percepiscono ma non sono in grado di esprimere senza essere tacciati di “sfiga”. Pensiamo a quanto accaduto durante la pandemia, quando le reazioni alle misure prese per contrastarla hanno espresso la dicotomia boomer/zoomer nella maniera più deleteria, con i primi che, ispirati a un impalpabile “libertarismo”, cercavano di difendere il gigante dai piedi d’argilla della loro Weltanschauung fondata sulla cosiddetta “etica del loisir (il consumismo, la ludicità e il “tempo libero” come fattori indispensabili, se non esclusivi, alla formazione della propria identità); mentre i secondi, quasi traumatizzi dal primo scampolo di “Legge” offerto dalle società occidentali da decenni a quella parte, si rifacevano con spirito da zeloti al culto del lockdown, del distanziamento sociale e delle mascherine.

Due errori contrapposti la cui gravità, tuttavia, non può essere comparata se interpretata da una prospettiva cronologica, che resta valida a anche quando i boomer hanno tentato di estirpare persino il senso del tempo, annullando la storia in un eterno presente che capire non sanno. Tuttavia, la società non può ridursi a un livello per cui la deresponsabilizzazione di massa imponga persino il divieto, in nome del “vietato vietare”, di non identificare le cause, additare i colpevoli e impartire condanne.

(Continua…)

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