La sinistra non sa memare (1): l’ombrello dell’euro

I sinistroidi guardano ai meme come a un oscuro oggetto del desiderio: vorrebbero in qualche modo possedere la sapienza da essi emanata, ma non sanno come. Il motivo di tale inettitudine è contemporaneamente semplice e complesso: i meme funzionano solo a “destra” (intesa in senso lato, quindi al di sopra e al di sotto del politico) perché in realtà ciò che attualmente viene chiamato “meme” non rappresenta che una componente piuttosto specifica della più ampia definizione di “elemento culturale autopropagante”.

Quindi anche filmacci, canzonette e ideologie politiche tecnicamente sarebbero meme: il fatto è che, per ragioni che non si possono qui approfondire, nel dopoguerra la cultura di massa dell’intera sfera occidentale è stata sistematicamente adulterata con massicce dosi di progressismo sinistroide e moralismo liberal. Ecco perché i meme, nel momento in cui il frangente storico li obbliga a manifestarsi come “controcultura”, non possono che risultare di “destra”.

Facciamo esempi concreti: ci sono dei casi in cui a sinistra utilizzano i meme come forma di gergo zoomer ma senza intuirne nemmeno lontanamente la natura. Cito, solo per chiarezza, la 22enne della Pennsylvania K.C. Miller, una delle tante ragazze americane convinte a “diventare uomo” a suon di ormoni e mutilazioni, che nell’ottobre 2022 aveva pubblicato su Twitter un lungo resoconto delle delusioni e sofferenze incontrate nella sua “transizione” (adesso cancellato, ma trovate un riassunto alla fine di questo post), affermando di non essersi mai illusa sul fatto che le “terapie” l’avrebbero “trasformata in Gigachad”, ma al contempo di non aver ricevuto alcun ammonimento sui risultati più che deludenti raggiunti col cambio di sesso. Per una ragazza che vuole diventare uomo, Gigachad è solo un mero simbolo del classico macho o belloccio, mentre al contrario, per chi non soffre di disforia di genere, il metafisico Übermensch è chiara rappresentazione dell’intrinseca moralità legata all’idea di kalokagathìa, la quale obbliga, tra le altre cose, a non deturpare il proprio fisico seguendo gli abbagli di una chimerica “metamorfosi sessuale”.

Per fare un altro esempio di strumentalizzazione “senza anima” del lessico memetico, su TikTok c’è una d-parola (“d-parola” è di per sé un meme, che si utilizza per evitare di nominare certe creature ctonie in grado di distruggere l’umanità anche se solo evocate), sì, insomma, una vaginomunita di orientamento parapiddino che giustappone dei meme alle sue insipide “critiche al capitalismo” sperando di risultare in qualche modo interessante. Per esempio, questa femoide in uno dei suoi video ha scomodato il meme dell’NPC (non-playable character), cioè il Wojak grigio che rappresenta il sinistroide schiavo del mainstream e incapace di pensare da sé (come i personaggi di sfondo dei videogiochi controllati per mezzo di algoritmi, da cui prende il nome), facendone una metafora dell’essere umano vittima del capitalismo, che passerebbe la vita a lavorare, fare figli e consumare.

Dimostrazione lampante di come un certo orientamento politico-ideologico renda incapaci di afferrare l’essenza dei meme e di apprezzarli se non in forma di immaginette ormai private di qualsiasi significato (al pari dell’a cerchiata o della falce-e-martello): perché il meme dell’NPC non ha proprio nulla a che fare con la squallida concezione che i comunistelli hanno della “vita borghese”, essendo al contrario una rappresentazione plastica del nuovo “anticonformista di massa”, convinto che sposarsi e far figli, piuttosto che allevare cani o gatti, sia un modo di “ingrigirsi”.

Ultimo esempio (perché ci si annoia far da insegnante da sostegno ai “piddini non giocanti”) riguarda Slengo.it, dizionario dei neologismi “curato dal popolo di Internet”. Vediamo cosa riporta come definizione di “basato:

«Dicesi di cosa, persona, situazione meritevole di condivisione, con cui ci si trova d’accordo o di cui si condividono posizioni e/o valori. Anche dicesi di persona che esterna una posizione, seppur impopolare, coraggiosa e in linea col proprio essere e pensiero, non condizionata dalla massa e dal bias sociale».

Ci potrebbe anche stare, sempre però tenendo per implicito che al giorno d’oggi la “popolarità” è tutta orientata al rosso-verde-rosa-arcobaleno; fattore di cui gli estensori della voce non sembrano aver alcuna contezza, se come esempi riportano i seguenti:

«Colpo di fulmine e fuggono per sposarsi: lui va in bagno in aeroporto e lei basatissima scappa con i soldi».

«Il finale di quel film? Dopo infinite peripezie i due innamorati riescono finalmente a ritrovarsi, bacio appassionato e poi il posto in cui si trovano improvvisamente esplode. Veramente basato!»

Nel primo caso, oltre a osservare come sia di per sé problematico definire una donna “basata”, è semplicemente ripugnante l’idea che una zoccola del genere possa in qualche modo ricevere non dico plausi, ma anche solo un minimo di umana comprensione: “basatissima” sarebbe solo la mano pronta a scagliare la prima pietra per lapidarla. Il secondo esempio è ancora più patetico, perché in esso si descrive un ipotetico film che obiettivamente solo un boomer addormentatosi con la tv sintonizzata su Rai2 o Rete4 o qualche canale regionale potrebbe al limite “guardare”, ma che mai nella vita arriverebbe a descrivere come “veramente basato”. Basato su cosa? Su una storia vera?

Questi casi mi pare offrano la misura dell’incapacità da parte della “sinistra” non solo di saper utilizzare un meme, ma appunto di comprenderne il significato. In effetti la maggior parte dei parapiddini di fronte all’affacciarsi di un meme nel “mondo reale” (cioè la loro camera dell’eco in forma di gulag collettivo) piuttosto che cercare di capire, preferiscono censurare e basta (di seguito un esempio: una bambina disegna dei Pepe e l’npc di turno incita il fratello a picchiarla perché sta “normalizzando il nazismo”).

La forza con cui gli npc possono snobbare totalmente la cultura memetica, ricacciandola metodicamente nel “ghetto” o censurarla, deriva dalla -più o meno- inconscia consapevolezza di detenere l’assoluta egemonia del cosiddetto “discorso pubblico”. Se infatti adottassimo la definizione originaria di meme, dovremmo dedurre sia che la sinistra sa memare benissimo sia che i suoi meme sembrano gli unici a possedere un’aura di legittimità (almeno politica) nell’immaginario collettivo.

Anche qui, mi piace portare un esempio concreto: se dovessi nominare un meme di sinistra, sicuramente non penserei a un Gigachad che applaude a una rappresentazione dei Monologhi della Vagina né a una settantenne femminista che viene definita “basata” per aver partecipato alla centesima manifestazione pro-aborto. Penserei più che altro a un qualcosa che nessuno è mai riuscito a concepire in qualità di meme, nonostante lo sia a tutti gli effetti. Potrei riferirmi, giusto per citare, al cosiddetto “ombrello dell’euro”.

“Ombrello dell’euro” è un espressione che per una ventina d’anni ha regolato i rapporti dell’opinione pubblica italiana nei confronti della moneta unica. Questo sì, quindi, un meme di sinistra, casualmente divenuto strumento per l’ipnosi di massa e la soppressione del pensiero critico. Probabilmente è la stessa moneta unica a rappresentare di per sé un meme di sinistra: stupisce, a ben vedere, la completa impunità di cui gode l’europecunia rispetto alla demonizzazione del dollaro che da tempo immemore fa da ingrediente principale a tanti discorsi, libri, canzonette e film di gusto middlebrow.

La sacralità del soldo europeo, paradossalmente dovuta alla totale assenza in esso di un qualche riferimento a Dio, è ancora garantita dal monopolio sinistroide sui meme “che contano”: grandi mematori di sinistra, da tale prospettiva, potrebbero essere considerati il nobel Franco Modigliani (probabilmente padrino dell’espressione di cui sopra, in quanto a suo tempo definì l’unione monetaria un “ombrello di ferro”), nonché  l’ex presidente della BCE Jean-Claude Trichet, che in un indimenticabile intervento paragonò la cultura al denaro e le poesie alle monete. Non sfugga inoltre il diffondersi della metafore in quei Paesi, come Italia, Spagna o Grecia (ομπρέλα του ευρώ), che tutto sommato non sono stati “protetti” granché da tale ombrello (la cui natura rimane comunque oscura, se di volta in volta dovrebbe salvare i popoli dell’Unione dalla crisi, dalla globalizzazione, dal nazionalismo, dal populismo, dagli USA, dalla Russia, dalla Cina, dall’India….).

Altro che Gigachad o Wojak, dunque: l’Unione Europea è uno dei meme più efficaci realizzati negli ultimi anni. Che sia anche un forced meme è ormai lampante, come dimostra (per portare il caso più recente) il ridicolo tentativo delle agenzie internazionali di spacciare le immagini di una donna georgiana che manifesta sventolando lo straccetto blustellato come “un meme dei tempi” (cit. Corriere della Sera, che inserisce l’icona “forzata” tra “le ucraine infangate nella trincea, le iraniane che scendono in strada a tagliarsi i capelli, il ragazzino con le sporte di fronte ai tank della Tienanmen”, tutte cose che non sono mai divenute un meme nel senso che ha acquisito il termine nel corso di questi anni).

In seguito si è scoperto che la signora scesa in piazza a Tbilisi contro la “russofilia” dell’attuale governo georgiano (rigorosamente con la mascherina, ma più per gli assembramenti che per i lacrimogeni), è una 44enne senza figli che come lavoro fa la statale e che considera l’euro (pardon, l’Europa) non tanto un “ombrello”, quanto uno “scudo” («Quella sera, gli altri mi hanno fatto scudo contro gl’idranti. Ma il nostro scudo è l’Ue. Non possiamo difendere da soli la nostra indipendenza. E per proteggere la nostra identità, abbiamo bisogno di voi europei»). Il tentativo di farne un’icona “contro” qualcosa si è naturalmente inverato nel suo contrario, segno che talune dinamiche si stanno consolidando ormai in modo indipendente rispetto ai rapporti di forza del “mondo reale”, facendo dunque della memetica la forma elettiva di propaganda della controrivoluzione.

Sembra  del resto che la stessa Unione Europea percepisca, a un livello sottile, una rivalità mimetica-memetica con Wojak e gli altri supereroi, tanto da aver recentemente proposto (nel solito inglese raccapricciante) una guida informativa all’umorismo “di estrema destra” ad uso dei propri burocrati (It’s not funny anymore. Far-right extremists’ use of humour, Publications Office of the European Union, Lussemburgo, 2021), del quale citiamo una pagina:

(1) L’utilizzo originario del meme Wojak esprimeva emozioni come malinconia, rammarico o solitudine. È stato gradualmente adattato e sviluppato dalla cultura dei meme di estrema destra per ritrarre i liberal con espressioni vacue. Lo scopo è mostrare che i normies non mettono in discussione le informazioni che provengono dalla stampa e dalla politica mainstream.

(2) Il meme del Doge è uno dei meme più famosi di Internet, adattato in vari modi per irridere all’umorismo e allo stile obsoleti di taluni individui e politici. Nei circoli di estrema destra, è spesso corredato con cimeli nazisti per banalizzare la violenza delle SS e della Wehrmacht.

(3) Il meme Pepe the Frog è stato fatto proprio dagli attivisti online di estrema destra. Simboleggia “una sorta di superiore nonchalance verso gli altri, contribuendo a normalizzare atteggiamenti ostili verso le minoranze e gli avversari politici”, così come “una sorta di arroganza e condiscendenza anti-élite”. È diventata l’icona dell’alt-right.

Tutto ciò sarebbe ridicolo, se non fosse sintomo di un reale timore che un forced meme possa essere soppiantato da uno autentico, cioè “basato” (sulla verità).

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