Quando le “Feste dell’Unità” inquinavano troppo

La rivista ambientalista “Silva” nel suo primo numero del 1987 riportava una singolare polemica che all’epoca aveva contornato una delle tante “storiche” Feste dell’Unità, quella di pochi mesi prima svoltasi dal 28 agosto al 14 settembre 1986 al Parco Sempione di Milano, ad onta, per l’appunto, delle “pretestuose polemiche dei verdi”.

Il giornale comunista aveva combattuto per settimane con zelo militante il Kulturkampf con gli “amici della natura”, che attraverso l’associazione Città Verde si erano visti respinti dal pretore il loro esposto e infine avevano assaggiato l’intera opposizione della giunta Tognoli, che aveva comunque posto alcune condizioni, tra le quali:

«che le strutture vengano rapidamente smontate alla conclusione della Festa, che l’erba venga di nuovo seminata e coltivata, che infine alcuni stand vengano modificati, per evitare il rischio di danni alle piante, che i fili della corrente elettrica non corrano tra i rami degli alberi, che vengano rispettate alcune indicazioni per lo scarico e il carico delle merci, ecc. ecc.».

Tali precauzioni, per quanto potessero apparire cavillose, si rendevano necessarie a causa dell’ambizioso programma che gli organizzatori avevano in mente: più che una “Festa”, un festino glorificatore della “scienza” attraverso una “Tecnocity” (sic), cioè in parola povere “luci verdi del laser che “rincorrono, colpiscono, disegnano sprazzi di segmenti per aria, accendono rami e foglie”. E ancora:

«A due passi, il parco della scienza emette suoni frenetici, poi morbidi, ancora frenetici. Si attraversa il largo corridoio e nascosti nel pannelli bianchi e neri i sensori reagiscono a seconda della dimensione, del calore, della velocità del corpi. Due manichini recitano testi di Calvino tratti da Palomar, ponte fra cultura, idee e scienza».

A sostenere economicamente questi trionfi avveniristici niente di meno che Pirelli, Montedison e… Fininvest!

«La presenza di Silvio Berlusconi, sotto i tubi Innocenti e a un dibattito sull’informazione, ha fatto scalpore e qualche giornale ha preteso di trovare la conferma di un Pci che sarebbe subalterno solo perché interloquisce con pubblicitari e imprenditori-finanzieri rampanti. La finanziaria del Cavaliere espone alcune sue offerte. “Programma Italia” invita il pubblico a “usarla” per “diventare professionisti di prestigio”; Milano 3, centro di edilizia residenziale, ammicca, è come stare al parco di Yellowstone, occasione “per pochi, come il successo”. Piaccia o non piaccia lo spazio privato è privato» (l’Unità, 2 settembre 1986).

Oltre a Berlusconi, tra le grandi star presenti si ricordano Rod Stewart (a “cantare il rock”), Renzo Arbore, Gino Paoli e Carla Fracci. Non sembra tuttavia che la lista degli ospiti d’onore avesse impressionato le associazioni ambientaliste, le quali al contrario si listarono letteralmente a lutto dopo la concessione del patrocinio da parte delle autorità meneghine.

Come scriveva “Silva”, portavoce anche di “Città Verde”, la Festa dell’Unità del 1986 avrebbe causato al Parco Sempione danni ingenti, alcuni dei quali ormai di carattere permanente”:

«Nel giugno del 1986, in questa scheggia di natura cittadina, cominciano i primi lavori di sistemazione della Festa nazionale dell’Unità, da sempre il più grande meeting politico italiano. È previsto un afflusso di tre milioni di visitatori, poi ci sono 40.000 metri quadrati di padiglioni, 11.000 posti a sedere e via calcolando. Comunque, un intervento massiccio su una porzione tutto sommato non immensa di verde. I frequentatori abituali del parco non fanno in tempo a chiedersi cosa stia succedendo, che scoppia la polemica. La città, un po’, si sente scippata. Le associazioni ambientaliste chiedono che la Festa non si tenga o che almeno venga spostata. Il Partito Comunista, appoggiato dalla giunta comunale che ha concesso l’autorizzazione allo svolgimento dell’incontro, tiene duro e la manifestazione si svolge dalla fine di agosto alla metà di settembre, come previsto. Alla fine, si smontano gli stand e subentrano gli operai che procedono al promesso recupero ambientale del parco. Ma, si chiedono gli ambientalisti, è possibile restaurare dove sono passati sei o sette milioni di piedi? E gli alberi danneggiati, il terreno compattato?».

Alberto Ferruzzi, presidente della sezione milanese Italia nostra, era inferocito: «Lo scempio c’è stato ed era inevitabile». I danni al parco consentirono agli ambientalisti di allargare la polemica: secondo i dati portati da Giulio Crespi, architetto paesaggista, “il 30 per cento degli alberi del Parco Sempione sono morti tra gli anni ’70 e ’80” per la trascuratezza di chi gestiva la città, identificata soprattutto nella mancanza di addetti al verde pubblico (qualcuno ha detto “forestali?”):

«In un rapporto al Consiglio comunale fatto lo scorso anno dall’allora assessore all’Ambiente, ai parchi e giardini Giuliano Banfi, si denunciano le carenze di organico: 17 addetti alla cura dei giardini cittadini ogni 100 ettari, una delle medie percentuali più basse dell’Italia del nord. In numeri assoluti, 203 lavoratori per 1.200 ettari di verde. Pochi, troppo pochi».

E allora, perché proprio il Parco Sempione?, si domanda ancora la rivista. «E dove, se no?», rispondeva Alberto Malinghero, responsabile della Commissione ambiente del Pci milanese, che così proseguiva: «Avevamo chiesto, nel novembre 1985, il [parco] Montestella. Per lavori stradali, previsti e mai attuati, c’è stato risposto dal Consiglio comunale che era impossibile. Allora è cominciata la ricerca di un altro sito. Li abbiamo considerati tutti: il Parco Lambro ha problemi igienici, ci sono topi grossi come gatti; l’uso del Parco Forlanini rischia di bloccare la viabilità per l’aeroporto. Abbiamo anche i locali della Fiera, ma non vengono concessi a organizzazioni politiche e comunque era in corso un’altra iniziativa. Per farla breve, abbiamo vagliato tutte le alternative».

Nonostante le garanzie del Pci, con tanto di spese di bilancio a favore del paesaggio («Abbiamo lasciato il parco in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato», affermava lapidario Daniele Benecchi, responsabile stampa del Partito), la polemica ambientalista proseguì incessantemente: «Il prato non ha preso acqua per mesi, l’aratura doveva essere fatta a mano e non a macchina», incalzava ancora Ferruzzi di Italia nostra. «E soprattutto, bisogna pensare che ogni danno fatto all’ambiente è difficile da calcolare: come per gli uomini un graffio può significare epatite, per gli alberi un’incisione può aprire la strada a tutte le malattie».

Infine Carlo Monguzzi, della Lega ambiente milanese, rincarava la dose:

«Per quanto ci riguarda l’unica richiesta seria è quella di una moratoria di 3 anni per tutti gli spazi verdi cittadini. Perché il Parco Sempione è solo un esempio: l’uso del Parco di Monza come sfogo dell’autodromo è una vergogna nazionale. Ma di salvaguardia di ambiente urbano le istituzioni non vogliono sentir parlare e l’amministrazione comunale di Milano, che non fa certo eccezione, se la cava con un “bisogna fare”».

Beh, poi sapete com’è andata a finire la querelle e come il rosso si è repentinamente mutato in verde. Però è comunque divertente ricapitolare lo spirito di un’epoca che in tema di ridicolo non ha assolutamente nulla da invidiare all’odierna.

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