Zoomer: frocetti o kameraden? Una generazione comunque destinata al bunker

Un articolo dell’Australian Financial Review riapre per l’ennesima volta il dibattito sull’orientamento politico della cosiddetta Gen Z, alzando il tiro della polemica con una tesi provocatoria: che essa potrebbe essere la generazione più conservatrice di tutti i tempi.

L’Autrice (Pravina Rudra, una millennial britannica di origine indiana) parte dall’osservazione che i cosidett zoomer (i nati -orientativamente- tra il 1996 e il 2012) andrebbero per locali una sola volta a settimana, comportamento che a quanto pare li renderebbe automaticamente di “destra” a chi è abituato allo sballo perpetuo come unica ragione di vita.

Un altro sintomo di tale visione distorta (che però non inficia del tutto il valore dell’articolo) si evidenzia nel fatto che sempre la Rudra considera “conservatore” anche il consumo di sostanze non a scopo esclusivamente “ricreativo” come anabolizzanti o farmaci contro l’insonnia (tra le varie testimonianze riportate, quella di una studentessa del London College of Fashion che racconta il biasimo del genitore boomerone per il suo stile di vita “morigerato”: lui, all’età sua, ai suoi tempi, quante ne combinava…).

Tuttavia, subito la giornalista fa notare come i membri della Gen Z siano decisamente “più progressisti di qualsiasi generazione prima di loro”, con una mentalità sex-positive (espressione con la quale ormai s’intende sostanzialmente la venerazione di qualsiasi “minoranza sessuale” e non la vecchia favola boomer della “sana e consapevole libidine”), antirazzista e liberal.

D’altro canto gli zoomer sembrano anche maggiormente inclini all’astinenza sessuale, una tendenza che l’Autrice riconduce d’emblée ad un conservatorismo sociale di ispirazione cristiana, trasformando chi esce solo una volta alla settimana e in quella serata nemmmeno si accoppia alla rinfusa nei cessi di qualche discoteca in un elettore in pectore dei Tories (il Partito Conservatore inglese), dato che in tal modo potrebbe esprimere la sua nostalgia per le “buone cose di pessimo gusto” che non ha mai conosciuto, come il matrimonio, la religione o l’amor di patria.

Naturalmente, dietro certi atteggiamento si cela dell’altro: alcuni studenti da lei intervistati affermando di provarci con le ragazze solo alla luce dei “seminari sul consenso” che hanno dovuto obbligatoriamente frequentare per poter entrare all’università. Inoltre molti di essi cianciano di poliamore e aberrazioni sessuali varie come sadomasochismo o feticismo (che gli angloperversi classificano sotto l’egida del kinky), ma in verità non scopano mai. Ecco il vero peccato mortale per l’intero schieramento boomer-millennial:

«Le statistiche dagli Stati Uniti indicano che la percentuale di giovani tra i 18 e i 29 anni che non ha fatto sesso nell’ultimo anno è più che raddoppiata tra il 2008 e il 2018, raggiungendo il 23%. Quelli della Generazione Z, [quando fanno sesso] perdono comunque la verginità più tardi. Una ricerca condotta dall’University College di Londra nel 2019 ha rilevato che meno di un quattordicenne su 30 ha fatto sesso, rispetto al 30% dei minori di 16 anni negli anni ’80 e ’90».

In un suo recente volume (Generations, giugno 2023), la psicologa americana Jean Twenge basandosi su una ricerca su 39 milioni di persone (?!), sostiene che gli adolescenti della Gen Z si ubriacano di meno e sono meno propensi alla violenza fisica o agli incidenti stradali rispetto alle generazioni precedenti: il timore del male fisico si estende a trarre gratificazione a ciò che la ricercatrice definisce emotional safety (sicurezza emotiva/affettiva), atteggiamento che li portrebbe a rischiare maggiormente la vita attraverso l’autolesionismo, il suicidio o le conseguenze derivanti da un’eccessiva trascuratezza fisica.

Pravina Rudra intervista anche la scrittrice Mary Harrington (della quale qui sul blog trovate qualche pezzo tradotto), che prima di divenire agguerrita polemista anti-moderna (o della cloaca di perversioni che la definizione di “modernità” attualmente rappresenta), ancora alla soglia dei trent’anni praticava il “poliamore” e si identificava come “Sebastian”. La Harrington, osservando en passant come non esista più una divisione netta fra “vita reale” e “vita virtuale” (il semplice “uscire di casa” a suo parere è divenuto ormai un’attività molto più “connessa” che non stare davanti allo schermo di un computer) e che dunque taluni comportamenti sono enormemente influenzati dalle comunità online, propone un’analisi più sottile: gli zoomer non sarebbero dei semplici conservatori, ma dei reazionari tout court (e cita addirittura Gómez Dávila: “Il reazionario non diventa conservatore che nelle epoche che mantengono qualcosa di degno di essere conservato“).

Infatti, alla Gen Z non importerebbe granché del “conservatorismo” attuale, specialmente quello di stampo albionico, tutto incentrato sulla libertà economica e le fatidiche “eccezionalità culturali”, preferendo invece proposte più radicali che promettano un lavoro sopportabile, un alloggio decente, una relazione stabile e il sostegno di un tessuto sociale degno di questo nome.

Kara Kennedy, ex editorialista dello Spectator (rivista di centro-destra), che si appena sposata all’età di 25 anni, pur rifiutando il femminismo (“Per anni a noi donne è stato detto che possiamo congelare i nostri ovuli e avere figli in qualsiasi momento, ma abbiamo scoperto che non è vero”), sostiene che il “conservatorismo sociale” sia una moda passeggera dettata dal classico sentimento di ribellione dei giovani: “Una volta questi ragazzi diventavano punk; al giorno d’oggi, dopo anni di ultraliberalismo, diventano conservatori“.

La sociologa Jessica Ringrose suggerisce invece che l’ispirazione conservatrice possa essere un inganno ottico: per esempio, l’astinenza sessuale potrebbe rispecchiare una “interiorizzazione di alcune tesi femministe” che avrebbe generato un approccio critico al libertinismo.

L’intervistatrice tuttavia è convinta che la tensione verso la “reazione” sia più forte rispetto ai mezzi attraverso i quali i giovani la esprimono, traendo forse eccessive certezze dalle sue osservazioni social, come i video su TikTok taggati #bodycount (il conteggio degli uomini con cui una donna è stata prima di intraprendere una “relazione seria”), dove alcune ragazze dichiarano con orgoglio di essere vergini, e gli uomini commentano che non uscirebbero con loro se non lo fossero, oppure quelli in cui le trad wives si conciano come il meme omonimo, movimento che anche Kara Kennedy ora considera mainstream.

Lo psicoterapeuta Mark Vahrmeyer osserva infine che la Generazione Z è conservatrice soprattutto a causa della “cultura della crisi” che gli è stata imposta (crisi climatica, crisi economica, crisi dello stupro ecc…), culminata nell’era dei lockdown, la quale ha privato gran parte dei suoi appartenenti di esperienze da egli considerate formative come “la prima sigaretta o il primo bacio”, instillando una sensazione assoluta di prudenza e timore:

«C’era questo atteggiamento del tipo: “Finché obbedisco alle regole, finché rimango a casa, allora starò bene”. Sono stati rinchiusi per il 10% della loro vita. E poi all’improvviso tutto si apre e ci si aspetta che scappino fuori spensierati e contenti».

In un modo o nell’altro, conclude l’articolo, la Gen Z è comunque “destinata al bunker”. E concludo anch’io con dei meme, perché tanto voi giovani di merda siete capaci solo di capire quelli.

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