Emilia-Romagna: i demoni del fango

Sulla tragica alluvione occorsa in Emilia Romagna c’è poco da scherzare, anche se è scontato che qualora la stessa catastrofe si fosse verificata in qualche regione tradizionalmente di centro-destra sarebbe stato un fiorire di vignette e battutine. Sì lo so, questa è la solita cantilena del normie destrorso, ma vivere in una nazione la cui unica ragione di sopravvivenza dipende dallo sbrogliare il quotidiano rosario di stronzate dei sinistroidi è una condizione che trascinerebbe in basso chiunque.

Ad ogni modo, in queste ore i riflettori sono puntati, più che sulle vittime dell’incuria degli amministratori “più bravi del mondo” (che hanno l’inscalfibile alibi, da essi stesso inventato, del “surriscaldamento globale”, anzi, no, scusate, del “cambiamento climatico” perché deve valere anche quando fa freddo) o sulle eventuali soluzioni da apportare per allievare nell’immediato le sofferenze delle popolazioni colpite (non solo da una prospettiva tributaria), sui cosiddetti “angeli del fango”, figure mitologiche del giornalismo italiano, che corrisponderebbero a ragazzi e ragazze da tutta Italia giunti a spalare un po’ di melma per aiutare gli indigeni.

Si può polemizzare anche su questo? Beh, sì. E non mi riferisco al fatto che i Mud Angels si siano messi a ballare come delle fottutissime infermiere durante il picco di morti da/per covid nei loro ospedali. Non vorrei nemmeno discutere della necessità, da parte del sinistro apparato, di imbastire spettacolini buonisti per consentire alla commozione e all’empatia di sovrastare altri sentimenti e facoltà. Ma del semplice fatto che, essendo l’Emilia Romagna la regione italiana in cui la popolazione straniera incide di più a livello statistico, si nota comunque una disdicevole mancanza di multietnicità tra i soccorritori. Cos’è questa carovana di visi pallidi, dove sono i mulattini e le “seconde generazioni”?

Non vorrei raccontare la solita favola razzista, ma a quanto pare i “nuovi italiani” sembrano più impegnati a saccheggiare le case dei “vecchi italiani” piuttosto che a spalare la merda. Vi serve la rassegna stampa o riuscite a imbastirvela da soli? Un uomo, una donna di un minorenne “originari dell’est europeo”, piuttosto aggressivi, beccati da un alluvionato a svaligiargli con nonchalance la casa; “un 48enne e una 31enne, rumeni”, sorpresi a “rubare monetine dalla cassetta delle elemosine di una chiesa alluvionata”; “due coniugi di origine albanese” accusati di “aver rubato 5.500 euro a una coppia di anziani ultrasettantenni alluvionati”. Si registrano anche episodi più tragicomici, come finti centralinisti della protezione civile che cercano di convincere i romagnoli ad abbandonare le loro case “da tal ora a tal ora” con marcato accento afro-qualcosa-balcanico.

Questa è la morale della favola sull’immigrazione. Con il solito corollario: “Lo fanno anche gli italiani”. Ragione in più per importare feccia da tutto il mondo, touché. Nello scontro tra angeli e demoni ci vorrebbe forse più laicità: basta baracconate e italianate, cerchiamo invece di ragionare su quali soluzioni da adottare per salvare la nostra società come è realmente, e non come dovrebbe essere, incastonata in un immaginario di cinquant’anni fa.

Un proverbio terrone (probabilmente “inventato” dal Verga) dice: L’acqua cheta rovina i ponti. Una cosa di cui dovremmo renderci conto non solo in caso di alluvioni concrete, ma anche per tutte le “alluvioni simboliche” che una civiltà decadente dovrà affrontare prima dell’inevitabile estinzione, oggi assurta a emblema nelle parole dell’emiliano disperato che, con involontaria eco al Tristano leopardiano, di fronte allo sfacelo della sua industria e del suo focolare sibila un “invidio i morti”

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