Gli agricoltori europei si ribellano alle politiche UE

La mattina di giovedì 1 febbraio migliaia di agricoltori provenienti da tutta l’Europa hanno condotto i loro trattori per le strade di Bruxelles per esprimere il malcontento nei confronti delle politiche dell’Unione Europea.

Mentre gli eurocrati si incontravano per discutere degli aiuti all’Ucraina, i manifestanti hanno bloccato diverse arterie principali intorno al quartiere delle istituzioni europee, lanciando bottiglie e uova contro il Parlamento Europeo. La polizia è dovuta intervenire con gli idranti per proteggere il Parlamento.

Alcuni manifestanti hanno occupato Place de Luxembourg abbattendo una statua facente parte di un complesso dedicato all’industriale inglese John Cockerill (1790–1840), che fu pioniere dell’industria siderurgica e ferroviaria belga, costringendo immediatamente la stampa mainstream a cambiare idea riguardo all’abbattimento di statue (non più cancel culture ma puro e semplice vandalismo).

I motivi che hanno ispirato la rivolta riguardano in particolare la concorrenza da importazioni a basso costo da Paesi con minori controlli (in termini di igiene, qualità e rispetto dell’ambiente), il peso della burocrazia eccessiva, il problema dei bassi redditi e delle rigide normative prospettate dal cosiddetto Green Deal, oltre che la mancanza di assistenza materiale contro l’inflazione e l’aumento del costo dei carburanti.

Il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, che ha partecipato alla proteste, ha invocato il blocco delle importazioni di prodotti fuori dei confini Ue che non rispettano gli standard europei, definendola “concorrenza sleale” (in particolare contro l’accordo commerciale con i Paesi del Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), auspicando un aumento degli investimenti nel settore, garantendo più sostegni ai giovani per il ricambio generazionale.

La Coldiretti ha protestato anche contro l’obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni destinati a seminativi imposto dalla PAC, definendola l’ennesima “follia dell’UE”, in quanto impedirebbe agli agricoltori europei di coltivare la propria terra per importare prodotti da Paesi extracomunitari.

Prandini ha aggiunto che “non ci può essere più spazio per politiche ideologiche che hanno penalizzato gli agricoltori“, invitando l’Unione a raggiungere una “autosufficienza alimentare” e a “respingere modelli omologanti come quelli del cibo artificiale”.

Nel corso della giornata la rivolta degli agricoltori, ribattezzati “gilet verdi”, ha investito grandi e piccole città della Francia, della Germania, della Grecia, della Spagna e naturalmente dell’Italia. Ogni associazione nazionale ha portato le proprie istanze di fronte al Parlamento europeo: i francesi, per esempio, lamentano l’impennata di importazione di pomodori dal Marocco degli ultimi cinque anni, cresciuta del 40%; gli spagnoli invece chiedono un rinnovamento delle infrastrutture idriche del Paese, il cui degrado impedisce letteralmente all’acqua di giungere alle campagne; i greci protestano contro l’aumento dei costi dei fertilizzanti e del gasolio.

Il primo politico ad esser sceso in strada per incontrare gli agricoltori sembra sia stato Viktor Orbán, mentre in seguito altri leader europei si sono resi disponibili a mediare.

Pedro Sanchez ha invece ribadito il sostegno del suo governo all’accordo commerciale tra Ue e Mercosur, mettendosi direttamente contro i propri agricoltori in rivolta.

Lega e Forza Italia al Parlamento europeo hanno alzato la voce più di Giorgia Meloni: “Di fronte a queste proteste, Bruxelles dovrebbe iniziare a fare autocritica. Quanto sta accadendo è il risultato di anni di scelte politiche sbagliate da parte dell’Ue, che con la sua agenda vuole sacrificare l’agricoltura e interi settori produttivi fondamentali sull’altare dell’ideologia green“.

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