Chiedo scusa ai lettori per non aver rivolto loro i tradizionali auguri di Natale ma mi ha preso una brutta influenza (cento volte peggio del covid) e sono ancora convalescente. In questo periodo inoltre non sono molto ispirato, ma sento comunque il dovere di segnalarvi un grande libro appena uscito per i tipi de Il Timone: I segreti dell’ultima Cena. Gesù e le radici ebraiche dell’eucaristia del professor Brant Pitre.
Non fatevi ingannare dal titolo: non si tratta del solito temino copiato sul fatidico “dialogo giudaico-cristiano”, che sfortunatamente negli ultimi decenni ha ispirato volumi più all’insegna della giudaizzazione del cristianesimo che non viceversa. Qui la direzione è per certi versi opposta e segue le orme, seppur da una prospettiva strettamente accademica, di “maestri segreti” come il rabbino convertito David Paul Drach o il teologo argentino Julio Meinvielle (che uno come Pitre in ogni caso non citerebbe mai!).
I “segreti” di cui parla l’Autore nel sottotitolo riguardano le testimonianze del canone tradizionale ebraico (Torah, Talmud Babilonese, Mishnah, Targumim…) in controtendenza rispetto all’interpretazione dell’escatologia degli antichi ebrei incentrata sulla figura di un “Messia Militante” in grado di limitarsi alla restaurazione “materiale” di Israele; testimonianze che al contrario corroborano l’idea che le caratteristiche del vero Māšīāḥ atteso dal popolo ebraico corrispondessero più a un Gesù Cristo che non a un Barabba.
Pitre è cresciuto all’ombra di grandi studiosi ebrei neotestamentari come la dottoressa Amy-Jill Levine e dunque ha acquisito una qualche destrezza nel muoversi tra le fonti: ciò gli consente di essere piuttosto generoso nei riferimenti talmudici e proto-talmudici atti a confermare la sua interpretazione (peraltro è corretto l’assumere, da parte sua, la cosiddetta Torah orale come nucleo di tradizioni e insegnamenti preesistenti la codificazione scritta dopo l’avvento di Cristo). Laddove poi il Pitre si perda nelle “citazioni delle citazioni” (alla fin fine, è soltanto un buon studioso americano), interviene con acribia (ma non pedanteria) il curatore, mite talmudista cristiano che ha saputo salvaguardare l’apparato di note da eventuali traballamenti storico-filologici (un esempio su tutti, la chiosa a pag. 76 sull’espressione nekuvah).
I segreti dell’ultima Cena è un volume che può andar bene davvero per chiunque: per i fedeli, gli studiosi e per coloro i quali vogliono “saperne di più”. Questi ultimi possono farsi un’idea dello stato dell’arte attraverso una bibliografia ricchissima e uno stile di argomentazione comprensibile anche a chi non ha mai affrontato il tema in vita sua; chi invece conosce già alla perfezione la questione, può ugualmente trovare spunti inediti o anche recuperare fonti che in ambito italiano sono cadute in disuso (talvolta solo per ingiustificata noncuranza); last but not least, i “semplici” possono trovare numerose conferme della propria fede, in particolare sulla Presenza reale del Cristo nell’Eucarestia (non a caso il professor Pitre si fregia spesso del titolo di apologist).
L’argomento appena citato è per giunta cruciale nel capire il senso “evenemenziale” (per così dire) nel volume, che si inserisce nel vivace scontro prima intellettuale che teologico in atto in quelle nazioni dove tradizionalmente è il protestantesimo ad assumere i connotati di religio civitatis. Si ricorda qui, in particolare, la tendenza dell’apologetica d’oltreoceano a trasformare la saggistica in testimonianza personale di conversione e anche evangelizzazione: penso ai numerosi ed eccellenti volumi pubblicati dalla Ignatius Press di San Francisco (fondata nel 1978 dal padre gesuita Joseph Fessio) oppure dalla Doubleday di New York (di stampo più laico e popolare, ma che annovera importanti studiosi cattolici quali Raymond Edward Brown, Joseph Augustine Fitzmyer, John Paul Meier), per non dire dell’opera molto simile (eppure totalmente diversa) recensita mesi fa da queste parti, Il quarto calice di Scott Hahn (che firma la prefazione del volume di cui stiamo trattando).
Anche lo stile di Pitre non è avaro di suggestivi aneddoti personali, vezzo che sicuramente arricchisce l’esperienza di lettura e rinnova da diverse prospettive il senso della fede in cui crediamo o in cui siamo cresciuti. Un libro dunque caldamente consigliato, se non per Natale, che ormai è passato, allora per Pasqua. O, se proprio volete, per Hanukkah, festività nella quale Gesù espresse “sconvolgenti dichiarazioni” (così le definisce Pitre, che richiama la citazione evangelica trattando il mistero dell’identità divina del Messia), sulle quali vale ancora la pena meditare (cfr. Io 10,22-33):
«Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: “Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”. Gesù rispose loro: “Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola».
I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”» (Gv 10,22-33).
Colgo l’occasione per augurarti di passare un anno migliore degli ultimi due.