La storia è ripartita e non si sa come fermarla

Per i cosiddetti millennials la storia non è stata altro che una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla; oppure, ancor peggio, un faticoso apprendimento in vista del nulla.

Essendo nato nel 1985 (e già per questo chiedo scusa a tutti), il primo evento “storico”, cioè non-storico o post-storico o anti-storico, a cui ho avuto la ventura di assistere è stata la caduta del Muro di Berlino (purtroppo ho mancato di qualche settimana la mitica Nevicata dell’85). Ero davvero piccolo, ma ho ancora qualche chiaro ricordo dell’euforia che aveva catturato praticamente chiunque: persino gli stalinisti più duri e puri sembravano essersi trasformati in vigliacchi trotzkisti. Rattrista pensare che persino nel feudo comunista meneghino in cui sono nato e cresciuto non c’era stato alcun segno, tangibile o meno, di rivolta verso la “storia giustiziera”, concetto peraltro assimilato da decenni di ipoteca crociana trasfusa nella militanza (ma chi se ne sbatte più del sinistrume, basta solo conoscere il minimo indispensabile per debellare la peste rossa).

La storia (anche con la maiuscola), in ogni caso, era già finita e il mondo intero si indirizzava verso lo Stato Universale e Omogeneo, regolato (o semplicemente gestito) dalla tecnocrazia, dal libero mercato e dalla neutralizzazione completa del politico. “Mani Pulite”, altra stagione “storica” a cui sono stato costretto ad assistere, sembrava strettamente collegata a tale visione, sia nel senso esoterico della fine-della-storia in sé e dell’appiattimento di qualsiasi “differenza” nel sistema globale, sia nel senso essoterico di un rinnovamento “primaverile” della politica italiana successivo alla riorganizzazione delle relazioni internazionali.

Eppure gli italiani riuscirono nell’impresa di interpretare il golpe bianco da nessuna di tale angolazioni, abbracciando la Via Crucis giudiziaria con un fervore inedito per un popolo che si è sempre dipinto come furbo e poco credulo. La mia famiglia fu esente dal clima gioachimitico per il solo motivo che mio padre stava a Craxi come il Mullah Omar stava a Bin Laden (sto cercando di usare esempi pseudo-boomer tratti dalla mia esperienza di osservatore storico): per questo, tra le altre cose, alle elementari venni ripreso aspramente dalla maestra quando assieme a un compagno mi misi a fare l’imitazione di Di Pietro (non in quanto terrone, visto che nella mia classe ero l’unico pseudo-milanese, ma in quanto nemico politico), poiché a suo dire stavo insultando un “eroe” che aveva “salvato l’Italia”.

Gli anni ’90 sono poi scivolati nella palude teleofila (nel senso di “amante della compiutezza”), con un unico picco rappresentato dalle paranoie sul millennium bug (secondo i media il 1° gennaio 2000 l’umanità sarebbe stata annientata da un’esplosione nucleare unita alla caduta di satelliti e aerei prodotti dall’impossibilità di aggiornare i calendari dei computer), fino al fatidico 11 settembre 2001, che come gran parte della specie anch’io ho vissuto come un brutto film d’azione americano.

Ricordo, è vero, che da sedicenne provai per un istante un vago timore nel momento in cui un conflitto mondiale, delineato nei modi più vaghi possibile dalla televisione, mi avrebbe impedito di perdere la verginità (non aveva infatti ancora mollato la presa sull’immaginario collettivo il disgustoso diktat sessantottino del “fate l’amore, non fate la guerra”). Tuttavia al liceo il professore di storia ci fece vedere Il nemico alle porte, discreta pellicola sulla Seconda guerra mondiale dalla prospettiva di un cecchino dell’Armata Rossa (Jude Law) che passa la maggior parte del tempo a scopare. Almeno su quel punto mi misi il cuore in pace, salvo dopo anni di astinenza imposta dalla ginecocrazia convincermi, all’opposto, che fosse proprio l’assenza di guerra ad avermi imposto una tanto lunga quanto indecente illibatezza.

Ad ogni modo, gli anni ’00 del XXI secolo passarono senza troppe emozioni, come d’altronde il decennio successivo, nonostante l’illusoria cesura rappresentata dal “combinato disposto” (cito un’espressione della stampa mainstream) della vittoria della Brexit e dell’elezione di Trump (non accenno nemmeno agli esperimenti italioti riguardo una fantasmagorica “Terza Repubblica”, perché in tal caso il processo di normalizzazione si è espresso nella forma tragicamente ridicola dell’autosabotaggio). Anche il fatto che gli americani non fossero riusciti nell’impresa di scalzare l’ennesimo “nuovo Hitler” (Assad) non aveva in nulla scalfito la necessità di un “cestino della (non)-storia” in cui gettare ogni Endesfeind (sic).

La claustrofobia rappresentata dal vicolo cieco della non-storia mi ha portato a sperare, in maniera kierkegaardiana (ma bastava dire “risibile”), che un qualcosa, o una qualsiasi Cosa, potesse sovvertire la Weltnacht: ironia della sorte, il giorno del mio trentacinquesimo compleanno (24 febbraio 2020) iniziò una politica dei lockdown quale risposta inedita, almeno da qualche secolo, a un’influenza proveniente dall’Asia. Per un millennial bollito, già passato per suine e sars senza aver visto fermare un solo cinese all’entrata di un canile, l’idea che la chiusura delle scuole lombarde per una settimana (o al massimo due per appiattire la curva) potesse in qualche modo dare il via a quanto accaduto nei mesi e negli anni successivi non mi aveva minimamente sfiorato.

Dopo una pausa di un anno in cui le ripercussioni di quella prima picconata al “muro della fine” sono maturate in nuovi dispositivi di controllo sociale che, nel bene e nel male, hanno archiviato cinquant’anni e passa di sessantottismo, accelerando il crollo di equilibri che parevano calcificati per l’eternità, il 24 febbraio 2022 il cingolo si è rimesso in moto con l’exploit di Putin, che già di primo acchito era caratterizzato da una natura completamente differente dalle precedenti sortite russe in Georgia, Siria o nella stessa Ucraina.

Anche in tal caso, il 2023 è servito a solidificare le conseguenze di una nuova spallata alla global homogenization, che da una parte ha soppiantato i paradigmi improvvisati di un’ulteriore fine-della-storia declinata in senso terapeutico, e dall’altra ha portato a rimescolamenti inediti nello spazio angusto dell’immaginario collettivo (come, per fare giusto un esempio, l’estinguersi del filosemitismo congenito nelle masse nel momento in cui Israele ha reagito come sempre).

Fino al 2020, il 24 febbraio non era un giorno importante per l’umanità: tutt’al più si sarebbe potuta celebrare la nascita di Pico della Mirandola o di Bettino Craxi (sulla quale per anni non si è potuto fare una battuta per il clima infame che avevano creato). Oggi invece il 24 febbraio 2024 segna già due anniversari importanti per la Storia, e chissà che il futuro non ci riservi tante altre sorprese, da Teheran a Tel Aviv fino a Taipei.

4 thoughts on “La storia è ripartita e non si sa come fermarla

  1. Se si considera pure il tuo compleanno, direi che oggi ricorrono ben 3 anniversari importanti per la Storia! Tanti auguri Mister!

  2. Beh, visto che in questo articolo hai svelato il tuo genetliaco (se l’avevi già fatto in passato pardon, ancora non leggevo il tuo blog) direi che c’è un solo commento da fare.

    Auguri, mister Totalitarismo!

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