Talvolta si leggono notizie di ladri morti in fuga dalle forze dell’ordine a folle velocità su un’auto rubata (mettendo a repentaglio la vita di qualche poveraccio incappato nella loro scia), oppure che cadono mentre si arrampicano verso la finestra dell’appartamento che vogliono svaligiare, o ancora morti folgorati nel tentativo di rubare del rame.
Mi domando perché nel nostro sistema, così solerte nel difendere i criminali a qualsiasi costo, non venga almeno indagata qualche divinità quando si verificano casi del genere. A questo punto si fa quasi obbligata la scelta di inserire nel diritto penale italiano un principio, almeno formale, modellato su quel famigerato Act of God contemplato dal settore assicurativo d’oltreoceano: per il bene del regime anarco-tirannico in cui ci troviamo non deve infatti passare l’idea che la morte di un delinquente possa rimanere impunita.
Negli Stati Uniti esiste del resto una lunga tradizione di “processi contro Dio”: per esempio, nel 1969 un avvocato dell’Arizona intentò una causa contro l’Altissimo perché un fulmine gli aveva colpito la casa, basandosi sul fatto che lì vicino un cantante aveva fondato una comune dichiarandone Dio il proprietario (ma il Signore ne uscì indenne perché venne stabilito che non fosse in grado di prendere possesso della proprietà).
In un altro episodio più recente (2008), un senatore afroamericano del Nebraska partendo dal presupposto che la giustizia statunitense riconoscesse l’esistenza di Dio lo citò in giudizio per tutte le cose negative accadute nel mondo, ma in tal caso il giudice stabilì che non era possibile fare alcunché in quanto “l’imputato non possiede un domicilio fisso e dunque non può essergli notificato il procedimento”. Alla fin fine l’argomento non è nemmeno interessante, dal momento che l’intera nazione americana in se stessa appare come un colossale “processo contro Dio”.
Tutto questo era per introdurre una nuova puntata della rubrica La Posta dei Lettori (abbiate pazienza, prima o poi risponderò a tutti, anche a chi mi ha scritto dieci anni fa).
Cominciamo ordunque. Commenta così il CEO della Fondazione Elia Spallanzani a margine della mia solita polemica contro l’immigrazione:
«Considerando che il 5-10 della popolazione dei paesi occidentali è costituita da immigrati, e che il loro tasso di riproduzione è di norma ben più alto di quello degli altri gruppi, è probabile che anche se domani si chiudessero totalmente le frontiere (il che è ritenuto da tutti impossibile), nel giro di venti-trent’anni al massimo le popolazioni immigrate diventerebbero comunque politicamente determinanti. La domanda quindi è: ha senso porsi il problema delle frontiere?».
La risposta è sì, perché la questione non riguarda la società multietnica in sé, ma il “caos controllato” come metodo di dominio: infatti l’obiettivo di chi propone l’immigrazione di massa non è l’irenica utopia di un mondo senza frontiere dove ci si integrare a vicenda nel “villaggio globale”, ma un orizzonte di instabilità perpetua in cui gli esseri umani vengono obbligati allo sradicamento e al nomadismo come stile di vita.
Forse nel pezzo non mi sono spiegato bene, ma ciò che intendevo dire non è che il voto delle popolazioni immigrate rappresenti di per sé una minaccia per chi è contrario alle politiche progressiste, anche perché generalmente costoro votano tutti a destra, ma la possibilità di “importare” nuove forze in prospettiva di un “esercito elettorale di riserva” è sempre più carezzata dai democratici d’oltreoceano, che per mettere in piedi questo “schema Ponzi” alle urne hanno bisogno di un ricambio costante di votanti, pena il “radicamento” degli allogeni e il conseguente disamoramento da parte loro dello status di “migrante ontologico”.
Passando alla questione NATO, condivido entrambi i commenti in questo botta e risposta tra Alfredo Natale e Stefanov:
«La NATO non è altro che una forma di sottomissione al mondo anglosassone. Cediamo sovranità agli Stati Uniti ammettendo basi e truppe americane sul nostro territorio e in cambio otteniamo guerre attorno ai nostri confini (Libia, Siria e ultimamente Ucraina), aumenti delle tariffe e delle materie prime oltre al peggioramento delle relazioni diplomatiche con Cina e Russia. Sicuramente è un pessimo affare».
«Questo è chiaro, ma l’articolo mostra un fatto ulteriore mai considerato, ovvero la persistente pregiudiziale antifranchista all’epoca della Guerra Fredda, apparentemente insensata, se ci basiamo sul realismo politico».
Vediamo di essere intellettualmente onesti: non si può negare alla NATO una certa “liberalità” insita nella sua forma, ma al contempo viene il sospetto che anche tale lassismo (pensiamo a quando la Grecia durante la guerra dei Balcani spifferava tutto ai serbi, nonché al ruolo “pseudo-neutrale” di Paesi come l’Italia nell’ambito dello scontro tra il blocco atlantico e quello sovietico), sia espressione di quei valori talassocratici che ora si impongono come dogmi nel momento in cui per entrare a far parte di un’alleanza militare i motivi geopolitici passano in secondo piano rispetto a quelli politici, culturali o “morali” per così dire (dai matrimoni omosessuali all’insostenibile “indipendenza della magistratura”).
Ad ogni modo, sulla breve distanza, nell’Alleanza si può comunque apprezzare una qualche forma di dialettica: per esempio, per parlare del caso più attuale, delle polemiche sulla candidatura dell’ex premier olandese (di centro-destra) Mark Rutte a Segretario generale, osteggiato da tutto il cordone sanitario euro-orientale, dai Paesi baltici e soprattutto dall’Ungheria.
Il discorso è lungo, ma voglio anche allargarlo al governo Meloni, che è obiettivamente il più filo-atlantico che il Bel Paese abbia mai avuto. Il motivo è che il partito di maggioranza è erede di quel Movimento Sociale Italiano che fece del totale asservimento alla NATO la sua linea di azione essenziale, nonostante al suo interno non mancassero voci dissonanti: pensiamo a un insospettabile come Maur1z10 Ga5parr1 che in Senato durante uno dei governi Berlusconi citò addirittura il saggio Vodka Cola di Charles Levinson del 1978 (ora ristampato meritoriamente da Iduna) a suo dire utile in tempi non sospetti per far capire ai giovani militanti missini come “russi e americani si spartivano il mondo”.
Ora, allo stato dell’arte bisogna osservare una distinzione forse inedita rispetto allo scenario da Guerra fredda: la progressiva divergenza tra filo-americanismo e filo-atlantismo. Non voglio improvvisarmi analista geopolitico, perciò dico solo due cose: a tutti quei lettori che alla mia “profezia” sul fatto che una vittoria di Donald Trump porterà a un cambio di governo dalle nostre parti, faccio notare che io non ho mai pensato per un istante a un ritorno di “Giuseppi” magari accompagnato da Elly, semmai a un rimpasto interno con la presenza di Sua Eccellenza Antonio Tajani a premier finto-tecnico e le fazioni “putiniane” pronte a prendersi qualche ministero chiave.
Vedremo come andrà. Visto che stiamo parlando dei dannati yankee, dico la mia che sull’affaire Michelle “Big Mike” Obama, che è ritornato in auge negli ultimi giorni in seguito al polverone riguardante la vera sessualità di Brigitte Macron: personalmente ho sempre creduto che la “teoria del complotto” sul cambio di sesso della moglie del primo Presidente nero fosse sorta a causa della sua presenza ingombrante, obbligata dal fatto che Obama non fosse realmente un “afro-americano” ma un “americano di origine africana“, mentre Michelle era effettivamente “discendenti di schiavi” e dunque spendibile con la comunità nera che, nonostante tutta la propaganda, è comunque molto fiera della sua particolare “etnia”.
In seguito tuttavia, quando il moglio di Obama ha confermato almeno in parte una delle voci sul suo conto nella sua autobiografia del 2018, ovvero di essersi servita della fecondazione in vitro per far nascere le due figlie presidenziali Malia e Sasha, ha cominciato a sorgermi più di un sospetto. La teoria del complotto al riguardo è che la fanciulle sarebbero in realtà figlie di una coppia di amici degli Obamas, Martin e Anita Nesbitt, e a conferma di ciò varrebbe l’innegabile somiglianza tra costoro e l’assenza di caratteri riferibili ai genitori putativi (andatevi a cercare altre immagini perché i tratti somatici sono praticamente sovrapponibili).
La chiudiamo qua? Ma sì dai, tanto nessuno leggerà. Tuttavia vorrei consegnare a chi fosse giunto coraggiosamente a questo punto un messaggio patetico: il crimine non paga più. Nel senso che a un effettivo aumento di visite Google Adsense sta rispondendo non tanto con una drastica riduzione dei guadagni, ma addirittura con un SALDO NEGATIVO???!?!?!?!
Cioè non ho capito, adesso sono io che devo pagare questi miliardari bavosi per farmi riempire il blog di pubblicità? Quanto sono stronzi non potete capirlo. Perciò chiedo ai miei lettori casanonnisti: Mister Totalitarismo sta esaurendo tutta la sua creatività per mancanza di stimoli (il cash, sì, quello stesso cash con cui gli industriali americani consentirono a un certo Piero Itle di compiere le sue straordinarie imprese) e ha bisogno di ossigeno. Donate tutto quello che potete, e Gerusalemme finalmente tornerà cristiana.