Paideia. Le mazzate vengono dal paradiso

In cima alla lista delle punizioni corporali utilizzate come strumento pedagogico in Grecia dall’antichità preclassica fino agli anni ’60 del secolo scorso c’era la verga, definita dai greci “santa” [αγία], grazie alle sue meravigliose proprietà e capacità, seguita da una moltitudine di altre misure, il cui ruolo era alternativo o complementare alla battitura.

Non c’era scuola in cui non si picchiassero gli studenti con la motivazione che “Uomo non battuto non si educa” [ο μή δαρείς παίς ού παιδεύεται] o che “Le mazzate vengono dal paradiso” [το ξύλο βγήκε από το παράδεισο]. La fustigazione era così strettamente associata al processo di apprendimento che il verbo “educare” [παιδεύω] in greco mantiene ancora oggi il significato di “castigare” o “torturare”.

La maggior parte delle testimonianze confermano che nell’antichità i bambini venivano malmenati. Accenniamo ad alcuni esempi: nel miniambo di Eroda Il maestro di scuola (Διδάσκαλος), la madre Metrotima conduce il figlio Cottalo tirandolo per l’orecchio dal suo insegnante, pregandolo di “colpirlo sulla schiena, finché l’animaccia malvagia non gli giunga fino alle labbra”; il Crisostomo riporta che i maestri “terrorizzano i bambini, li picchiano e li mandano a piangere dalle loro madri”.

La situazione è migliorata nel XIX secolo? Diamo la parola a Christos Christovasilis (1861–1937) che nella seconda metà dell’Ottocento ha raccolto diversi aneddoti “dalla montagna e dalle valli”: lo scrittore riporta che un genitore portò a scuola il figlio “con le mani legate dietro la schiena perché non voleva venire con le buone”, oppure che il suo maestro Papa-Andrias, per instillare il terrore negli alunni li rinchiudeva nell’ossario della chiesa:

«Il maestro prese Giorgios per l’orecchio e si diresse verso l’ossario della chiesa, dove erano deposte le ossa di tutti i defunti dalla fondazione del villaggio. Giorgios non disse nulla fino alla porta dell’ossario, forse non credendo che avrebbe assaporato anche lui quest’ultima punizione scolastica. Ma quando vide aprirsi la porta dell’ossario e si sentì spinto dentro senza pietà, lanciò delle urla disperate, che ci spezzavano il cuore, e mentre il maestro chiudeva dentro, lo sentivamo gridare forte: “Salvatemi fratelli, i morti mi vogliono mangiare!”» (Διηγήματα του Μικρού Σκολειού, Racconti della piccola scuola)

Fino agli anni ’60 del secolo scorso lo studente discolo poteva essere condotto in una stanza buia, oppure lasciato solo e a digiuno a scuola dopo la fine delle lezioni: non era tanto la privazione del cibo a causare le sofferenze maggiori, quanto la paura dell’isolamento e lo stigma che seguiva alla punizione.

Non sono tuttavia molte le testimonianze sul digiuno scolastico nella letteratura antica. È noto però che neppure la pedagogia spartana lo rigettasse: se un bambino veniva “sorpreso a rubare veniva punito con percosse e digiuno”. Gregorio di Nissa racconta che ai suoi tempi non era raro che uno studente, avendo trascurato i suoi doveri, “venisse condannato alla fame per la propria pigrizia e a rimanere solo a scuola quando gli altri se e andavano”.

Sappiamo che in epoca ellenistica, quando il materiale su cui scrivere -come conchiglie e papiri- divenne più accessibili, gli studenti erano obbligati a copiare più volte gli insegnamenti che non avevano sufficientemente consolidato. Questo potrebbe non essere stato un mezzo di punizione ma un metodo comune, come nel recente passato e anche oggi, di apprendere, poiché la ripetizione è essenziale al fine di acquisire una conoscenza.

Talvolta veniva però usata anche per punire l’alunno: a testimonianza di ciò, una tavoletta di legno risalente al III secolo a.C. (conservata all’Ägyptisches Museum di Berlino) nella quale compare la frase “Lavora duro, ragazzo, così non verrai sculacciato” [Φιλοπονεὶ ὦ παῖ μὴ δαρῇς], che il maestro aveva fatto riscrivere allo studente quattro volte.

(Un estratto, riveduto e aggiornato, dagli atti del convegno Διαχρονική παρουσία της ελληνικής αρχαιότητας στις επιστήμες της αγωγής [Presenza senza tempo dell’antichità greca nelle scienze dell’educazione], tenutosi ad Alessandropoli il 15-17 novembre 1991).

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