La tendenza fondamentale del nostro tempo è quella di catalogare tutto ciò che esiste per conservarlo in eterno. Lo Svalbard Global Seed Vault e Jurassic Park di Steven Spielberg, Facebook e La Société du Spectacle di Guy Debord, rispondono tutti alla necessità di ribaltare l’anatema faustiano Alles, was entsteht, Ist wert, daß es zugrunde geht («Tutto ciò che esiste merita di essere distrutto») per affermare la sclerotizzazione del vissuto, la temporalità artefatta dell’eterno presente, la falsa coscienza del tempo come paralisi della storia e della memoria (così lo “spettacolo” secondo il filosofo francese).
Anche la Laudato si’ di Papa Francesco risentì di tale clima intellettuale, tanto che questa ansia di catalogazione emerge immediatamente dai primi capitoli:
«Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto» (n. 33);
«Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi» (n. 34);
«Ogni territorio […] dovrebbe fare un accurato inventario delle specie che ospita, in vista di sviluppare programmi e strategie di protezione, curando con particolare attenzione le specie in via di estinzione» (n. 42).
Da una prospettiva generale, è scontato -o si spera sia tale!- osservare che con la formula “casa comune” il Papa intendesse ribadire le meditazioni cattoliche sul concetto di “creato” che negli ultimi decenni hanno permesso di conciliare una sorta di “ecologismo sacro” con la teologia e l’antropologia tradizionale. L’andazzo è riuscito indirettamente a influenzare non solo il pensiero, ma anche lo stesso gergo degli ambientalisti: non è forse vero che gli appelli a “difendere la natura” e a “salvare il pianeta” hanno come messaggio implicito che “nature” e “pianeti” non potrebbero esistere senza un soggetto in grado di contemplarle?
La Natura Matrigna, in fondo, riuscirebbe a sopravvivere anche fiaccata dall’inquinamento, e il paradosso della filosofia green sta tutto in questo: se l’uomo fa parte della natura, allora anche i suoi atteggiamenti sono altrettanto naturali; e se non ne fa parte, perché dovrebbe preoccuparsi di salvaguardare un habitat che non è suo? Per risolvere l’aporia, gli ideologi hanno deciso di adottare una sorta di antropocentrismo inconscio, proclamando di volta in volta la creatura umana come parte del problema o della soluzione.
Quasi per provocazione Francesco rivolse quindi il Silete theologi proprio contro i propugnatori di dottrine anti- o post-umane, ribadendo l’apertura alla trascendenza della concezione cristiana della natura. Tuttavia egli stesso, nel tentare di proporre una sintesi tra le tendenze più disparate, rischiò di adottare la mentalità dei suoi bersagli polemici.
Non è un caso che dopo aver ribadito l’invito a una conversione ecologica (nn. 5, 217-220) anche in termini decisamente “rustici” («Se una persona […] abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente» [n. 211]), il Pontefice concludesse rievocando il nostro comune cammino «verso il sabato dell’eternità, verso la nuova Gerusalemme, verso la casa comune del cielo», ricordando ai fedeli come «la vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (n. 243).
Se al di sopra di tutti i grandi e piccoli sacrifici quotidiani a cui la Laudato si’ esorta non ci fosse una escatologia, allora si correrebbe il rischio, più volte paventato dallo stesso Pontefice, di trasformare la Chiesa in una ONG: è per questo che alla fine il registro religioso prevale sull’eterogeneità delle argomentazioni e dello stile; ma se ciò riuscì ad acquietare (almeno temporaneamente) i cattolici, resta da vedere quanto gli “uomini di buona volontà” (a cui Francesco si rivolgeva seguendo le orme della Pacem in terris di Giovanni XXIII) abbiano recepito del messaggio.
Dal momento che Papa Bergoglio si è sempre occupato, anche a livello retorico, più dell’aldiquà che dell’aldilà, credo sia consentito sintetizzare le questioni che nella Laudato si’ non trovano risposta in una domanda provocatoria: È più “cattolico” salvare il panda o lasciarlo estinguere?
Non si tratta, in realtà, di una semplice provocazione, poiché dare una risposta la più chiara possibile vorrebbe dire anche esprimere la propria opinione sulla contraddizione che innerva tutta l’enciclica, quella tra la concezione dell’aldiquà come sistema aperto alla trascendenza e quella invece che lo considera uno spazio limitato, un hortus conclusus dove l’ingresso alla Provvidenza è impedito.
Insomma, il cattolicesimo può permettersi di essere “entropico”? Papa Francesco, per scansare i numerosi paradossi che minacciano l’integrità del suo messaggio, si servì spesso di espedienti “oratori” (a volte superando persino i limiti consentiti dal protocollo di un documento ufficiale, come quando sottolinea che «nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne» [n. 114]) e, seppur evidenziando continuamente i “limiti dell’antropocentrismo”, finì poi per riproporlo nelle forme della tradizionale antropologia cristiana:
«L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. […] Una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico» (n. 81).
Da qui ne consegue che il cattolico deve prendersi la responsabilità di salvare il panda, ovvero fuor di metafora di provvedere a conservare tutto ciò che Dio gli ha donato. È una strana riformulazione in senso cattolico del Leitmotiv del nostro tempo (“Tutto ciò che esiste merita di essere conservato”) quella che Papa Francesco espresse sottolineando con prosa veemente la tragicità sia «la perdita di alcune specie o di gruppi animali o vegetali» (n. 35) che concorrerebbero alla fatidica biodiversità (con particolare attenzione per le barriere coralline, che «ospitano approssimativamente un milione di specie, compresi pesci, granchi, molluschi, spugne, alghe», [n. 41]) sia stigmatizzando ogni minaccia possibile al «patrimonio storico, artistico e culturale» (n. 143) che contribuisce anch’esso a formare il “libro della natura” assieme a «l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti» (n. 6). La Laudato si’ torna incessantemente sulla necessità di salvare tutte le cose prima di “farle nuove”: «La scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale» (n. 145).
Lo scopo finale di tutto questo sarebbe un “grande balzo in avanti” (chiaramente il Papa non utilizza questa formula) «verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto» (n. 83). Se questo sarebbe il compito imposto all’uomo, è veramente difficile credere che egli non vorrà portarlo a termine sfruttando fino all’estremo le possibilità offerte dalla tecnica. Francesco affrontò il problema da varie prospettive: parlando del consumo energetico, per esempio, egli rilevò il bisogno di «adottare un modello circolare di produzione» (n. 22) e «sviluppare tecnologie adeguate di accumulazione» (n. 26), ma è sottinteso che per fare questo sarà necessario altresì emancipare la “strumentazione” dal «paradigma tecnocratico imperante» (n. 112).
Nonostante la vaghezza degli esempi proposti dal Papa (che si entusiasma per le «comunità di piccoli produttori» e il loro «modello di convivialità non consumistico») non è indebito dedurre che egli volesse indicare una vera e propria cattolicizzazione della tecnica, in modo da farle perdere il carattere di “neutralità” (vera o fittizia) che l’ha resa fino ad ora il “centro di riferimento epocale” (per usare un’espressione schmittiana). Da questo punto di vista, il “dominio impressionante” della tecnica (n. 104) che, lo ricordiamo, per Francesco non è neutrale, una volta tuttavia ordinato al bene, si auto-annullerebbe facendo emergere «l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo», che è «quella di intenderlo come amministratore responsabile» (n. 116).
Tale amministratore responsabile non dovrebbe limitarsi a «ricondurre tutte le creature al loro Creatore» (n. 83) tramite «una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale» (n. 47), ma dovrà in un certo senso “trasfigurarsi” nella sua stessa funzione: stiamo qui forse parlando di una apocatastasi?
Se così non fosse, dovremmo allora rassegnarci all’idea che la tecnica segua un artefatto “percorso obbligato” (magari dettato da culti antichi e nuovi che, a differenza del pensiero ebraico-cristiano, non intendono «demitizza[re] la natura» [n. 78]), e accettare che si avverino gli scenari da incubo rappresentati nei film di fantascienza (nei quali, di norma, un’élite detiene ciò che Francesco identifica come «dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero» [n. 104]).
Prima o poi queste cose si realizzeranno, indipendentemente dalla volontà umana: anche qualora l’insieme di società che definiamo occidentali decidessero di “de-neutralizzare” la tecnica utilizzandola allo scopo di distruggere se stessa, ci saranno altre potenze che invece la sfrutteranno incuranti di qualsiasi “bioetica”.
Volendo anche immaginare uno sviluppo positivo degli eventi, non si può dimenticare che il famigerato “principio antropico” (accettato anche dal pensiero cattolico) nella sua forma “finale” (così come è espressa da Barrow e Tipler) attesta che Intelligent information-processing must come into existence in the universe, and, once it comes into existence, it will never die out (“Sistemi intelligenti che elaborano informazione devono apparire nell’universo e, una volta che lo abbiano fatto, non moriranno più”).
I tempi decisamente non sono ancora maturi per fare della Laudato si’ il manifesto di un transumanesimo cattolico, tuttavia è difficile credere che le generazioni a venire resisteranno alla tentazione, per parafrasare René Girard, di “portare Bergoglio all’estremo”, almeno affinché il gemito della creazione non rimanga in eterno il sospiro della specie.
Forse è esagerato ascrivere la volontà di evitare l’estinzione di molte specie animali e vegetali alla tendenza del nostro tempo alla ‘paralisi della storia e della memoria’? Penso sia difficile (non impossibile) che esista una matrice comune per tutte le espressioni culturali di un epoca, soprattutto la nostra. Evitare l’estinzione non vuol dire imbalsamare, non è paralisi ma (suona malissimo) continuazione del divenire.
E poi ambientalismo può anche essere solo la valutazione egoistica che per vivere abbiamo bisogno di una natura (non mi impegno in definzione filosofica impegnativa: semplicemente l’insieme degli enti dai quali dipende la nostra esistenza materiale) che sia regolare e per lo più mite. Ma anche se fosse contraddittorio, aporetico e non filosoficamente coerente, l’ambientalismo pone dei temi con cui dovremmo comunque fare i conti e magari il modo di superarare certi problemi: donde trarre l’energia, quali mezzi di produzione, come gestire il calo della popolazione e il suo invecchiamento ecc… ?
Trovo contestabile anche l’idea di un ‘percorso obbligato’ della tecnica, ma capisco che si possa pensare a qualcosa di simile se si rifiuta l’idea di una tecnica neutrale. Perché dovrebbe avere una soggettività autonoma? Non si tratta di ridimensionare la potenza della tecnica, ma discutere della tesi per cui se ne possa descrivere lo svolgimento come
Capisco che l’enciclica non ti piaccia dal punto di vista teologico, ma forse perché non ti piace Francesco e basta? Non era doctor angelicus quando scriveva ma è apprezzabile lo sforzo di avvicinare la Chiesa a questi temi.
Saluti.
Dissento!
Lo zeitgeist è la divina mania di cedere completamente il controllo dell’utile alle macchine per vivere scemi solo d’orrifico dilettevole.
Nolentibus nulla salus.
Cazzos loros!
C’è qualche figa qui?
Mi sarebbe molto utile.
La cosa divertente è che tutto ciò vale solo per piante e animali, mai per l’uomo. Insomma l’estinzione avviene principalmente per via “dell’incontro” tra 2 specie (le api africane più aggressive mettono a rischio quelle europee; il granchio blu mette a rischio quello rosso; i cani mettono a rischio i lupi; determinate varietà di coltivazioni vengono abbandonate per l’arrivo di altre più redditizie ecc.), per tale ragione occorre mobilitare ogni strumentazione tecnica per impedirlo. Ma l’estinzione delle “varietà” umane (si può dire così o ricevo ugualmente una visita della dingos alle 6 del mattino) derivante dell’incontro/incrocio è invece una cosa positiva che va alimentata con ogni mezzo tecnico possibile.
Vabbè Laudato Sì è un prodotto collettivo di Padre Spadaro, Luca Fantini della Cattolica e docenti vari di Lateranense e Gregoriana a cui Bergoglio da un certo sabor di cochinillo y buon senso. Alla fine confermi che è tutto sommato equilibrato, niente agenda gnostico-mondialista, élite globali luciferiane, ecolatria e cultori della Grande Gea, ma solo grandi chiacchiere accademiche tra professori e padri spadari.