Gianluigi Paragone invoca la censura: sono d’accordo, ma cominciamo da noi stessi

Intravedo su “Libero” (8 settembre 2023) un pezzo in cui Gianluigi Paragone invoca come antidoto alla delinquenza minorile la censura di quelle serie televisive che fanno da “cassa di risonanza di una cultura criminale come fosse un esempio sociale” e “dove il criminale è protagonista attrattivo”, citando come esempi Gomorra, Mare Fuori, Romanzo Criminale, Suburra, La Casa di Carta, Breaking Bad e Peaky Blinders.

Ammetto, senza alcun imbarazzo, non solo di non aver visto un solo episodio di queste serie ma, per alcune di esse, di non averle nemmeno mai sentite nominare. Conosco Gomorra per aver letto diverse critiche (tutte sacrosante) sui giornali, che mi hanno fatto ipotizzare una morale piuttosto ambigua (“sabbatiana”) da parte dell’uomo che dietro a questo strano fenomeno di “inversione” della classica sceneggiata napoletana.

Secondo quanto apprendo da Wikipedia, di tale filone farebbero parte, oltre ai due insignificanti sceneggiati sulla Banda della Magliana citati da Paragone (comunque anch’essi emanazione del milieu parapiddino che controlla l’industria culturale italiana) anche Mare Fuori, fiction Rai ambientata in un carcere minorile che non esiterei a ribatezzare Junior Gomorra.

Riguardo a Breaking Bad, il motivo per cui mi sono sempre rifiutato anche solo di entrarci in contatto non riguarda solamente lo snobismo (che comunque c’è, soprattutto considerando quanta tutta questa montagna di merda piaccia ai sinistroidi assortiti), ma più che altro la tendenza dell’intellettuale medio a farne un manuale di riferimento per improvvisate analisi pseudosociologiche sugli Stati Uniti: persino da destra a volte ho adocchiato qualche esaltazione della rappresentazione del “genocidio della classe media”, nella quale però non si pensava minimamente di considerare che tale opera stesse a tale presunto genocidio come Der ewige Jude o Jud Süß stavano al genocidio ebraico (non presunto, sia chiaro).

Peaky Blinders è roba albionica quindi salto a piè pari. Su La casa di carta invece avrei qualcosa da dire: posto che mi accontento di sapere che la trama è incentrata su un gruppo di disagiati sociali (sic) che si uniscono per rapinare la Zecca di Madrid, durante la mia esperienza di docente (poi abbandonata a causa del Green Pass, o forse proprio per il motivo di cui sto per parlare, non ricordo) ho visto la diffusione a livelli di fanatismo di prodotti legati a tale brand, specialmente per quanto concerne zaini, astucci, diari e felpe degli studenti più giovani.

In aggiunta a ciò, ricordo che per un periodo veramente lungo della nostra storia recente, tra il 2017 e il 2019 circa (poi per fortuna è venuto il covid), è circolata all’impazzata nelle discoteche di mezzo mondo, da Singapore a Istanbul, la versione remixata di Bella Ciao. Solo ora scopro che dietro al surreale tormentone c’era questa serie maldita, che a quanto pare ha utilizzato il canto partigiano italiano per raffigurare una presunta “resistenza” dei rapinatori contro le banche, i padroni, il sistema ecc…

Pensandoci ancora meglio, mi torna in mente un’altra circostanza: sempre in un certo punto della disgraziata storia nostra contemporanea (ma quante cose ha spazzato via la pandemia, perché non ne fanno un’altra?) ho notato che una certa area politica aveva rimpiazzato le ormai tradizionali maschere imposte dal delirante pastone anarco-libertario V per Vendetta con una versione in cui al posto del volto stilizzato di Guy Fawkes compariva quello di Salvador Dalì. Ai tempi non avevo neppure provato ad abbozzare una spiegazione (mi era solo venuto in mente che dell’artista spagnolo ormai si parla solo come amante di Amanda Lear, dunque ho creduto fosse un tentativo di propagandare il transessualismo in settori ancora inesplorati), mentre sarebbe bastato cercare su Google La Casa de Papiel (purtroppo quando una cosa me hincha las pelotas mi rifiuto di averci a che fare in qualsiasi modo).

E sapete chi apparteneva, o sarebbe meglio dire appartiene, a quell’area ? Esatto, Gianluigi Paragone. Che per un periodo (2020 circa) adottò come immagine del suo profilo Facebook un’icona ispirata proprio alla serie televisiva spagnola.

Questo, ovviamente non significa nulla, né può rappresentare in qualche modo una critica al personaggio di Paragone, del quale condivido qualche battaglia di principio nonostante non riesca mai a convincermi più nella “forma” (anche espressiva) che nei contenuti. Tuttavia penso si debba riflettere in maniera incessante sul rapporto che, indipendentemente dalle proprie idee, si intrattiene con la cultura pop e mainstream, sia per evitare di cadere in iconolatrie di stampo adolescenziale sia per superare quell’approccio, che non posso che definire “da boomer, il quale porta a scoprire la propria ragion d’essere in creazioni di dubbio gusto dell’industria dello spettacolo.

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