Una volta i piccioni erano i nostri migliori amici

Da X un messaggio commovente di un bravo cristiano in difesa dei piccioni:

«Un mio amico è cresciuto nel New England, dove è pieno di piccioni. A quanto pare anche laggiù li odiano. Una volta esprimeva sempre giudizi perfidi sui piccioni, finché non gli ho fatto notare una cosa a cui non aveva mai pensato prima: siamo stati noi ad aver addomesticato i piccioni. Si trovano quasi dappertutto perché SONO STATI GLI UMANI A PORTARCELI. Ed essi erano più che animali domestici. Servivano per portare messaggi. Le persone li facevano gareggiare tra loro. Per secoli li abbiamo “viziati” come nostri onorevoli compagni.
Poi sono arrivati i telefoni e li abbiamo gettati come spazzatura. Letteralmente, li abbiamo buttati via. La specie era già stata completamente addomesticata e non poteva sopravvivere allo stato brado; hanno perso ogni istinto di sopravvivenza nei secoli in cui hanno vissuto in gabbia.
Ecco perché vivono in città invece che in una foresta sperduta. È colpa NOSTRA. E non solo li abbiamo gettati via, ma ora li malediciamo definendoli “topi con le ali” e considerandoli parassiti.
Essi però non sanno vivere senza gli umani e il loro istinto gli induce ancora a fidarsi di noi. Quindi continuano ad avvicinarsi agli umani e a chiedere cibo, perché è l’unica tecnica di sopravvivenza rimasta nei loro geni.
Ci amano perché sono stati allevati da noi per essere così, eppure li odiamo».

Provo tanta vergogna a leggere queste parole. Quante volte li ho scacciati, da fighetto milanese coglione, quante volte ho rifiutato loro una briciola di pane auspicando che morissero di fame. La maggior parte dei turisti, invece, sembra continuare ad apprezzarli anche se purtroppo è da almeno trent’anni che non vedo più in Piazza Duomo i caratteristici venditori di mangime. Leggo invece che c’è anche chi si vanta di avvelenarli iniettando antigelo nei bocconi (lo ha scritto nero su bianco un per altri motivi apprezzabile autore italiano, che non nomino).

In effetti, nonostante fossi al corrente del loro utilizzo a livello militare, non mi ero mai reso conto di quanto fossero diffusi questi ermeti della natura anche nella vita di tutti i giorni, come fedeli trasmettitori di messaggi di guerra o d’amore.

Tempo fa avevo discusso delle imprese eroiche dei piccioni nella Grande Guerra: mi sembra il caso di riproporre di seguito quelle considerazioni.

(da “Fotografare”, novembre 1987)

In un servizio del 1987 sullo spionaggio fotografico, la rivista Fotografare scrisse che la Doppel-Sport-Panoramakamera impedirebbero al piccione di volare e che dunque le testimonianze di un suo utilizzo durante la Prima guerra mondiale sarebbero tutte inventate.

Non so da quali fonti gli autori trassero tale convinzione, ma in realtà questo tipo di tecnologia venne realmente utilizzata sia nella Prima che nella Seconda guerra mondiale. L’invenzione si deve a Julius Neubronner (1852–1932), uno speziale tedesco che riuscì dopo tanti sforzi e debiti a unire le sue più grandi passioni: i piccioni e la fotografia.

Nel 1907 Neubronner presentò la richiesta di brevetto per la sua invenzione (che gli fu concessa un anno dopo). La Doppel-Sport-Panoramakamera, che utilizzava una macchina montata sul petto del volatile dotata di timer ritardato e obiettivo oscillante, venne presentata alle esposizioni internazionali di Dresda, Francoforte e Parigi degli anni successivi e garantì al suo ideatore un successo mondiale. Altro che fole! Abbiamo decine di testimonianze fotografiche, anche di immagini scattate direttamente dai nostri angeli in grigio.

Nella Seconda guerra mondiale, i tedeschi proseguirono nello sviluppo della tecnologia, arrivando a dotare i piccioni di macchine in grado di realizzare 200 esposizioni per volo. Nel 1942 i sovietici scoprirono camion abbandonati dai nazisti con macchine fotografiche per piccioni che potevano scattare foto a intervalli di cinque minuti, così come cani addestrati a trasportare gli uccelli nelle ceste. Risalgono all’epoca numerose raffigurazioni di soldatini intenti a utilizzare i Brieftauben mit Fotoapparat.

Alla fine del conflitto, gli americani tentarono di proseguire in tale nobile tradizione, ma i loro esperimenti a tal proposito si rivelarono il solito fiasco. Nel museo della CIA a Langley si può ancora ammirare la macchina a batteria realizzata dai servizi segreti negli anni ’70 del secolo scorso, anche se i dettagli sul suo impiego sono ancora secretati.

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