1925-1929: La Marcia su New York dei fascisti italo-americani

Nonostante nei suoi primi anni di esistenza il governo Mussolini avesse tenuto un atteggiamento di indolenza nei confronti degli Stati Uniti, ereditando dai precedenti esecutivi alcune irrisolte magagne diplomatiche (in cima alle quali i debiti bellici e le questioni riguardanti l’emigrazione), tra le comunità italo-americane sorsero in modo spontaneo (in specie su impulso dei veterani della Grande Guerra) decine di organizzazioni filofasciste, delle quali, una volta consolidato il regime, Roma dovette provvedere alla gestione.

Il principe Gelasio Caetani, primo ambasciatore di Mussolini oltreoceano, consapevole che il regime volesse mantenere rapporti pacifici con Washington, non vedeva di buon occhio tutto quell’attivismo, a suo parere guidato dagli “elementi meno degni delle nostre colonie”. Caetani preferiva che i fascisti statunitensi si limitassero ad attività filantropiche e non venissero coinvolti in iniziative che potessero apparire come una minaccia per la sicurezza nazionale americana. Inoltre era personalmente convinto che gli italo-americani dovessero impegnarsi in primo luogo a diventare bravi cittadini della nazione in cui vivevano e non confondere questioni americane e italiane.

Al fine di mettere un minimo di ordine, il Principe dovette patrocinare a New York (naturalmente con l’avallo del Duce) la nascita di un movimento ufficiale denominato Fascio Centrale, capeggiato da Umberto Menicucci (pisano emigrato a Philadelphia e Ardito nella Grande Guerra, dunque utile nella gestione dei veterani) e il professore Dino Bigongiari della Columbia University, (che invece poteva fungere da apripista nell’establishment culturale nordamericano).

La comparsa di numerosi articoli critici sui giornali, come la prima pagina del New York Herald Tribune che strillava Fascisti (sic) Invade United States, uniti alle bellicose intenzioni dei fasci italo-americani (che invocavano scontri diretti con gli avversari politici), Caetani consigliò a Mussolini di chiudere tutto, col consenso dell’ambasciatore americano a Roma Richard Washburn Child, peraltro fervente sostenitore del regime.

Finito nel mirino dei fascisti americani, il principe Caetani si dimise dall’incarico e alla gestione del movimento subentrò il conte Paolo Ignazio Maria Thaon di Revel, inviato appositamente oltreoceano per riunire infine i vari gruppi sotto l’egida della Fascist League of North America. Il Conte, abile nel muoversi in ogni tipo di ambiente (non disdegnava nemmeno Wall Street, essendo anche responsabile del dipartimento obbligazionario di una società di intermediazione) organizzò diverse manifestazioni e raduni nelle città e nei quartieri a maggior presenza di italo-americani.

Durante uno di questi ritrovi, a Newark nel New Jersey, in un giorno d’estate del 1925 i militanti della Lega si ritrovarono accerchiati all’interno della sala in cui si teneva la conferenza da decine di italoamericani liberali, socialisti, comunisti e anarchici (riuniti anch’essi da un paio d’anni sotto una Anti-Fascist Alliance), armati e pronti ad aggredire i partecipanti. Come avrebbe riportato il New York Herald Tribune, i fascisti si gettarono nella mischia e combatterono contro gli avversari a colpi di stilettos, bastoni, fucili e pistole: “Le urla dei litiganti, intervallate da spari, si udivano a distanza di diversi quartieri. Il Conte se la cavò senza un graffio perché i suoi uomini gli avevano fatto scudo con i loro corpi”.

Il vero “battesimo del fuoco” fu però il 4 luglio 1925, Giorno dell’Indipendenza americana, quando le camicie nere si scontrarono con le camicie rosse nei pressi del Garibaldi Memorial a Rosebank, Staten Island. La polizia aveva autorizzato qualche centinaio di fascisti a marciare davanti al monumento senza sostare nei suoi pressi, ma quando una donna si avventò contro di loro, cominciarono a volare bottiglie e sassi, e gli agenti dovettero “fare un uso vigoroso dei loro manganelli”, come riportò il New York Times il giorno dopo.

Il New York Herald Tribune invece accusò gli antifascisti di aver dato inizio ai disordini: “Il coraggio morale mostrato da un piccolo gruppo di fascisti in camicia nera, che sono rimasti pacifici nonostante un manifesto desiderio di combattere, è stato il fattore decisivo affinché trionfassero la legge e l’ordine”. Più tardi, quello quello stesso giorno, i fascisti se la presero con un anziano garibaldino che riuscì a rifugiarsi nella redazione della rivista “Il Martello” dell’anarchico Carlo Tresca.

Non fu il primo episodio in cui dovettero intervenire le forze dell’ordine per sedare i tumulti. La sera dell’11 marzo 1928, fascisti e antifascisti si riunirono al Selwyn Theatre a Manhattan per ascoltare due illustri oratori confrontarsi sul fascismo. Il dottor Vincenzo Nitti (figlio di Francesco Saverio), aprì il dibattito accusando Mussolini di aver abolito ogni libertà politica in Italia, e il pubblico, composto per la maggior parte di fascisti, lo fischiò.

Venne poi il turno del giornalista Samuel S. McClure a sostenere la causa del dittatore: appena tornato da un viaggio di un anno e mezzo in Italia, era rimasto colpito da come Mussolini avesse “sviluppato il metodo più miracoloso da un secolo a questa parte per realizzare la vera democrazia” e di come finalmente nel Bel Paese “i treni arrivassero in orario” (sic).

Tali affermazioni suscitarono fragorose risate da parte degli antifascisti seduti in platea, ai quali i fascisti risposero urlando loro contro Patria!” (in italiano). Quando Nitti tornò a parlare, gli spettatori cominciarono a prendersi a pugni e una volta rimessi a bada gli antifascisti, i sostenitori del Duce si issarono sulle spalle McClure e lo portarono in trionfo sulla 42esima strada intonando gli inni delle camicie nere.

L’atteggiamento delle autorità americane nei confronti della Lega Fascista fu ambivalente, e solo quando gli scontri per le città si fecero più intensi furono presi provvedimenti, anche diplomatici, per sciogliere l’organizzazione.

L’episodio le cui ripercussioni “mediatiche” portarono alla soppressione della Fascist League si verificò il 30 maggio 1927 (per gli americani la festa nazionale del Memorial Day, in cui ricordano i soldati caduti in tutte le loro guerre), una ventina di camicie nere si riunì vicino alle scale di una stazione della ferrovia sopraelevata nel Bronx. Uno di loro, Joseph Carisi, 39 anni, veterano di guerra e sarto di professione, fermatosi a comprare un giornale italiano, venne colpito con sei pugnalate da due uomini che indossavano cravatte rosse sbucati fuori da un ristorante italoamericano.

Gli altri camerati cercarono di inseguirli ma li persero di vista. Un attimo dopo videro Nicholas Amoroso (talvolta indicato anche come “Amorroso”), tipografo ventiduenne, ucciso dalle revolverate di un altro antifascista. La polizia sospettò che i sicari volessero colpire Giacomo Caldora, presidente dell’organizzazione fascista del Bronx, che pur trovandosi accanto ad Amoroso rimase illeso. Nel pomeriggio della stessa giornata si verificarono altri scontri per le strade di New York: una camicia nera venne aggredita mentre fumava una sigaretta fuori dal quartier generale della Lega da tre socialisti in cravatta rossa, che vennero inseguiti per la città da circa duecento fascisti.

Thaon di Revel cercò di mettere a sopire le polemiche affermando che l’uccisione di Carisi e Amoroso non faceva parte di un scontro tra fascisti e antifascisti ma fosse un “semplice omicidio”. La sua fredda reazione indignò anche i fascisti in patria e persino Mussolini telegrafò all’ambasciatore chiedendo che fossero adottate misure per contenere gli antifascisti. Del duplice omicidio furono accusati due anarchici, ma il solito Carlo Tresca organizzò la loro difesa in modo efficace, contando anche sul fatto che le autorità americane volessero evitare di ripetere quanto accaduto con Sacco e Vanzetti.

In seguito all’agguato, la polizia di New York vietò le manifestazioni delle camicie nere insieme a quelle del Ku Klux Klan. Mussolini era profondamente irritato da tutta la pubblicità negativa che quel processo aveva apportato alle relazioni tra Roma e Washington, e quando l'”Harper’s Magazine” del novembre 1929 pubblicò un articolo sensazionalistico (Mussolini’s American empire) in cui veniva accusato di voler aizzare i fasci americani contro la democrazia americana, il Duce incaricò l’ambasciatore a Washington Giacomo de Martino di sciogliere la Fascist League of North America all’antivigilia di Natale di quello stesso anno.

Fonti: Blackshirts in Little Italy di Philip V. Cannistraro (1999) e The Mafia at War di Tim Newark (2012).

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