È colpa di Toni Negri se siamo pieni di negri

Figuriamoci se mi metto a commemorare Toni Negri… quanti mesi sono passati dalla scomparsa? Non fatemi parlare, come direbbe un intellettuale molto più profondo del de cuius… Visto che però è trascorso abbastanza tempo da consentire a queste annotazioni di non assomigliare a un necrologio, mi permetto di dire un paio di cose sul venerato, seppur cattivo (o proprio in quanto cattivo), maestro.

Avendo scritto un centinaio di autobiografie (tutte in media di 500 pagine) sappiamo davvero troppo di Antonio Negri detto Toni a livello personale. Per quanto riguarda il versante intellettuale, ponendo un velo sui patetici libelli degli anni formidabili, i medio-acculturali hanno trovato modo di ripescare (senza, ovviamente, averne letto una pagina) la pesantissima trilogia firmata assieme a Michael Hardt (un altro tontolone, pure ebreo), iniziata con Impero e proseguita con MoltitudineCommonwealth.

Partiamo quindi da Antonio come persona (si chiamava così non perché terrone ma probabilmente in onore del patrono di Padova, anche se etnicamente era un tipico miscuglio lombardo-emiliano): leggendo la Storia di un comunista (2015), dopo aver appreso infiniti aneddoti sulla sua vita di “attivista” (tutti rievocati con la “lingua di legno” anni ’70), dalla militanza in Azione Cattolica alle simpatie per il Movimento Federalista Europeo, dall’anno passato nel kibbutz (forza Palestina e fanculo alla tua ennesima rivoluzione fallita) alla partecipazione alla creazione delle Brigate Rossonere (sì, quelle milaniste), si percepisce la frustrante sensazione che tutte queste celebrazioni egocentriche non abbiano davvero nulla da dire sull’ora presente.

Dunque, per l’ultimo Negri, è obbligatorio ipotizzare che siano state ancora valida la fole del ControImpero, della globalizzazione come occasione di rivoluzione: Deleuze che rimpiazza Marcuse che ha rimpiazzato Marx, il proletariato trasformato in “moltitudine” e il capitalismo in “Impero”, nuovo catalizzatore del pieno sviluppo delle forze produttive (questa volta indirizzato in interiore homine, come una sorta di “borghesizzazione spirituale”). Il tutto aggiornato all’endorsement più recente di cui si è a conoscenza, quello per Bernie Sanders, rivelatosi infine uno specchietto delle allodole per la prosecuzione del piano clintoniano con altri mezzi: per certi versi, una conferma indiretta del fatto che la globalizzazione in Negri rimane ancora un momento necessario all’ultima rivoluzione dell’umanità.

Se le cose stanno davvero così, allora si apprezzi il paradosso di una nuova destra che è più anti-capitalista di tutta la compagnia cantante di post-operaisti, lottacontinuisti e rivoluzionari al caviale. Parlavamo infatti di “favola” dell’Impero parallelo: al di là dei messianismi rivoluzionari assortiti (come lo stucchevole -ma col senno di poi anche inquietante, se pensiamo dalla degenerazione bergogliana- riferimento a San Francesco come “modello di militanza comunista” nelle pagine conclusive della “Bibbia no-global”) e di tutto il condimento di banditismo romantico, culto del ribelle, sentimentalismo brigatista ecc…, è doveroso osservare che la proposta politica di Negri alla fin fine si riduce solo al reddito di cittadinanza universale.

Per farla breve, l’Impero è bello perché impone la “religione materiale del senso”, quindi porta la gioventù a interessarsi solo di droga, discoteche, piercing e tatuaggi (sic! sic! sic!), oltre che naturalmente alla “sessualità alternativa” (qualsiasi cosa significhi) e, in ultima analisi, al puro e semplice fancazzismo (sì, questo è quel che c’è scritto in Impero, anche se forse qualcuno non ha ancora capito).

Da tale prospettiva, l’operaismo è perciò diventato controrivoluzionario (perché ovviamente subordinato all’appartenenza nazionale), mentre la “moltitudine desiderante”, l’allegra carovana di spiantati dei centri sociali che apprezza la recessione e la disoccupazione come tappe verso lo svaccamento universale rappresenta invece l’autentica forza rivoluzionaria della nostra epoca.

In verità, stando alla “verità effettuale della cosa”, al giorno d’oggi fermare un solo immigrato al confine è forse l’unica mossa anti-capitalista che la politica occidentale possa permettersi, nella misura in cui il capitale adesso è “imperiale” in senso per l’appunto negriano, cioè globale, finanziario, anonimo, sovra-nazionale (=anti-nazionale), nonché “svaccato”.

Probabilmente pensatori come Toni Negri, che pure si sono sentiti tanto engagé rispetto al ridicolo “movimentismo” contemporaneo, ignorano l’identità politicamente surreale della base dell’estrema sinistra: per esempio, i sanderisti che hanno boicottato la Clinton fino ad arrendersi alla sua poco gioiosa macchina da guerra politico-mediatica, in materia di immigrazione non sanno davvero che pesci pigliare. Il canuto leader infatti inserisce nella sua fantasmagorica idea di “socialismo” una schietta avversione all’ideologia no border (caricatura terminale e contraddittoria della galassia no-global), tanto che durante le primarie democratiche Hillary lo accusò di condividere in materia le stesse opinioni di Trump.

È singolare, a pensarci bene, il connubio tra squatter tatuati e attempati barricadieri come Sanders e Corbyn, il cui incontro lo stesso Negri celebra come momento fondativo di una “nuova sinistra”: «Persone che hanno fatto il Sessantotto e le lotte degli anni Settanta oggi sono trascinati dall’entusiasmo dei giovani che hanno fatto le lotte alter-mondialiste e quelle di Occupy».

Non si capisce in che modo, al di là di una photo opportunity, si possa conciliare il mondo del “meticciato” (sempre da intendersi come espressione dello “svaccamento universale”, perché l’africano che vuole un lavoro retribuito in modo decente è già un po’ populista e sovranista) con il vetero-laburismo di chi sa benissimo -anche quando finge di non saperlo- che ormai “globalizzazione” è solo un altro nome della guerra del capitale contro il lavoro.

Tutte le altre baggianate stile “fine della storia”, dal genere non-binario al guevarismo postpunk, dai pirati somali ai gay latino-americani fino a Black Lives Matter (è questa la “moltitudine” di Negri, non invento nulla), non sono che i vestiti nuovi dell’imperatore, visto che con questi quattro scalzacani non ci si fa non dico una rivoluzione, ma manco un torneo di calcetto (che peraltro è anche razzista sessista machista e pure cisessuale).

One thought on “È colpa di Toni Negri se siamo pieni di negri

  1. È importante però che oltre al surrealismo pseudopolitico e all’estetismo utopico di Toni Negri si sottolineino anche i difetti.

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