Essere “basato”, cosa significa? Mi ricordo che mi imbattei per la prima volta nell’espressione, ovviamente in inglese, nel novembre 2016, a ridosso della storica elezione di Trump, quando un mematore dell’alt-right (o presunto tale), Earl of Grey (perennemente censurato da Facebook), commentò la notizia che la Chiesa polacca aveva incoronato Gesù Cristo come “Re della Nazione” con la frase “Thank You Based Poland”. L’aggettivo mi risultò lì per lì poco comprensibile, finché non mi venne in soccorso il solito Urban Dictionary, la cui definizione dell’epoca non ricordo esattamente ma sono convinto si possa riassumere con “sono d’accordo con una opinione che potrebbe suonare nazista”.
Ora, anche il mio blog è stato definito “molto basato” e i lettori stessi mi ricordano, seppur sempre più raramente, che sono rimasti pochi “basati” come me, tuttavia è da tempo che anelerei alla qualifica di “estremamente basato”, anche nella misura in cui la definizione potrebbe essere semplicemente considerata una antitesi al cringe (in Italia riproposta spesso nell’ormai classica forma della dicotomia pirandelliana, dove la “basatezza” talvolta arride al boomer, quando fa commenti razzisti o omofobi sui social oppure va in gita a Predappio, talvolta allo zoomer, quando denuncia la propaganda trans su TikTok o riprende le z1ng4r3 che rubano).
Una cosa che ho compreso è che per essere “basati” bisogna comunque “stare al passo coi tempi” (giusto per non usare frasi fatte). O, per meglio dire, far sembrare il proprio “stare al passo coi tempi” un qualcosa di naturale e spontaneo, non una rincorsa artefatta di stampo filoneista (cringe, cringe, cringe). Certo, anche smettere di usare le virgolette quando si scrive “basato” sarebbe già un buon inizio, ma la questione dello “stare al passo coi tempi” è essenziale.
E sfortunatamente sembra che uno dei modi con cui mettere in pratica il proposito sia quello di passare un numero spropositato di ore sui social (peraltro preferendo Twitter a Facebook, TikTok a Instragram e i gruppi Telegram a quelli di Whatsapp), che in effetti sono gli unici “luoghi” nei quali parlare di basatezza avrebbe un senso. Il mio problema è che non credo più nei social -nemmeno come strumento di “promozione”- non per mere ragioni di visibilità (comunque è un fatto che appena si arriva al ridosso del mainstream conservando la basatezza si viene censurati o nel migliore dei casi “normalizzati”), ma principalmente perché tutti questi mezzi tendono a diventare delle “bolle” (le famigerate echo-chamber).
Me ne sono reso conto in particolare durante la tiritera del covid: all’epoca sembrava si fosse instaurato, almeno dalla mia prospettiva, un rapporto chiasmatico tra social e “vita vera”, per cui a un 99% di “leoni” nel virtuale corrispondeva un 99% di “pecore” nel reale. Dopo un po’ le contraddizioni e i paradossi sono esplosi, costringendomi a lasciare alle spalle l’universo parallelo dove il popolo italiano rifiuta la dittatura sanitaria, scelta che ha inevitabilmente riguardato anche le piccole e grandi comunità -non solo virtuali (il clan, la scuola pubblica, amici d’infanzia e d’adultezza)- di cui facevo parte.
D’altro canto, mi domando pure se l’età che avanza non mi spinga -persino a un livello puramente “biologico”- verso un destino di non-basatezza, dove costringo me stesso a far parte del sistema accettando di relegare tutte le mie opinioni basate sulle donne, il nazismo, l’omosessualità e l’ebraismo nell’ambito del “folklore”, come questi boomeroni che non riescono a esprimere un cazzo di pensiero compiuto indipendentemente dalla questione di cui si discuta.
Secondo me, uno per diventare basato estremo dovrebbe rigettare la cybertecnologia e darsi al romitaggio. Dacchè consegnare pizzini ai pellegrini, tipo biscotti della fortuna… ma poi si finirebbe per diventare un clichè tipo oracolo di matrix.