Ho trovato a dir poco stucchevole la recente polemica di Gilbert & George (“artisti” sui quali condivido il giudizio di Vittorio Sgarbi, che li definì “cacatori di merda” in una diatriba col MAXXI di Roma) contro la cosiddetta “ideologia woke“: a detta delle “sculture viventi” britanniche, simbolo della vacuità del contemporaneo, i musei li snobberebbero perché ormai solo interessati all’arte di “donne o neri”, la quale godrebbe di “un privilegio che si avvicina al monopolio”.
I due “performer”, assieme anche sentimentalmente da una cinquantina d’anni, pur avendo sempre espresso opinioni conservatrici (dalla Thatcher, alla monarchia, fino alla Brexit), hanno però anche affermato di esser sempre stati woke “prima che i musei decidessero di esserlo”, in particolare prendendosela con la Tate di Londra che non esporrebbe mai le loro opere e li porrebbe in secondo piano rispetto, appunto, a Black & Women.
Al di là delle invettive estemporanee, il tema andrà prima o poi preso sul serio, specialmente nell’ambito dell’anglosfera in cui le ideologie post-moderne e l’identitarismo razziale-sessuale stanno portando a una nuova iconoclastia espressa non solo dall’abbattimento o imbrattamento di statue e palazzi, ma pericolosamente sempre più accettata a livello istituzionale.
Dalla Perfida Albione giungono in effetti notizie trascurate dai media internazionali, come la chiusura da ormai tre anni della casa del filosofo scozzese Thomas Carlyle a Chelsea (museo dal 1895), per imprecisati legami del pensatore con “il colonialismo e il suprematismo bianco”, una motivazione che solo nell’ultimo periodo è stata coperta col velo pietoso delle “ristrutturazioni”.
Un’altra news non riportata praticamente da nessun organo di stampa (se non quelli locali), è la recente revisione delle targhette della Burrell Collection di Glasgow (collezione d’arte di proprietà pubblica) in senso politicamente corretto, con particolare attenzione all’ultima moda in tema di minoranze sessuali, il transgenderismo.
Per esempio, la divinità buddhista cinese Guanyin è divenuta una Transgender Icon rappresentante “i basilari valori umani di compassione e gentilezza”, quelli che spettano alle persone trans: “Trans rights are human rights. Be more Guanyin“ (non è una bufala).
Nonostante solo questa “rivisitazione” (non) abbia fatto notizia, i responsabili del museo (che annovera importanti raccolte di arte antica cinese e islamica, gotico medievale e francese moderno, per esempio la più importante collezione di Degas al mondo) hanno provveduto ad aggiornare altre targhette.
Un busto cinquecentesco della Maddalena è diventato espressione di un messaggio pseudo-femminista (“A volte possiamo dire come si sente qualcuno guardando da vicino il suo volto. Maria Maddalena china la testa e ha gli occhi bassi. Come pensate che possa sentirsi?”); mentre alcune copie di busti romani vengono ora esibite con questi improponibili caveat:
“Gli artisti romani copiarono gli scultori greci, che usavano formule matematiche per elaborare quelle che pensavano fossero le proporzioni perfette delle persone. Tutto ciò è stato erroneamente utilizzato per promuovere idee razziste sulle proporzioni ideali dei volti“.
“Le statue romane hanno perso i loro colori originali. Le copie successive di queste statue di marmo bianche non mostrano mai i veri colori del variegato Impero romano, che si estendeva dal Nord Africa alla Scozia meridionale”.
Ovviamente non bisogna fare il solito allarmismo “destrorso”. Riparleremo della questione quando si comincerà a proibire la presenza nei musei di tutti i “maschi bianchi etero” (e delle loro opere).