Nella sua biografia Io sono Giorgia (Rizzoli, 2021), Giorgia Meloni parla delle sue prime esperienze di contrasto al fenomeno dell’immigrazione, rimembrando quando nel giugno 1996 sostenne l’esame di maturità presso l’istituto professionale (alberghiero) “Amerigo Vespucci” di Roma e, per provocazione nei confronti di una professoressa che a suo dire voleva “fargliela pagare”, con spirito da novello Giamburrasca scelse come traccia del tema quella proposta specificamente per l’indirizzo linguistico, che lei indica come “il tema sull’immigrazione”:
«Un tema ricorrente nel dibattito culturale dei nostri giorni è quello della “società complessa”, cioè di una società in cui devono trovare modo di convivere culture diverse, concezioni morali e religiose diverse. Il filosofo americano John Rawls ha posto in questi termini la domanda di fondo della “società complessa”: “Come è possibile che esista e duri nel tempo una società stabile e giusta di cittadini liberi e uguali profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali incompatibili, benché ragionevoli?”. Soffermatevi sulla questione con vostre considerazioni».
Pur non essendo noti i contenuti che la futura premier italiana espresse nel suo tema, sembrano tuttavia intuibili dalla reazione che ne seguì, da lei stessa riportata in tal guisa:
«Avevo pensato bene di fare il tema sull’immigrazione e ovviamente l’orale si trasformò in una sorta di processo politico. Dopo mezz’ora di discussione a un certo punto sbottai: “Scusate, vi devo segnalare che voi qui state facendo un processo alle mie idee e questo non è consentito, siete qui per valutare la mia preparazione, non le mie idee”.
Il membro interno [la professoressa che la odiava] ridacchiando mi sfidò: “Perché altrimenti?”. E io, ormai animata da intenzioni bellicose, risposi: “Perché altrimenti io faccio ricorso al TAR”.
La commissione visibilmente si irrigidì. Si inserì allora la professoressa di inglese cercando di placare gli animi. Alla fine, nonostante le rimostranze del membro interno, ottenni il voto finale di 60/60, che a quel punto mi ero meritata».
Sarebbe interessante sapere se una tale esperienza possa aver influenzato le decisioni di Giorgia una volta giunta in vetta alla politica italiana: possono aver avuto qualche effetto le minacce di ricorso al TAR (o, in conformità ai tempi che cambiano, alla Corte Europea) rivolte contro Berlino o Parigi? Oppure, sempre per divertissement, sarebbe forse costruttivo leggere quel suo ormai leggendario tema al fine di comprendere cosa sia andato storto da quell’ormai lontano giugno 1996 (epoca cruciale per la maturazione politica della Nostra, essendo divenuta in quell’anno anche responsabile nazionale del movimento studentesco di Alleanza Nazionale) fino al settembre 2022, data in cui ha deciso di contribuire attivamente alla crisi migratoria diventando Presidente del Consiglio.
Sarei in ogni caso curioso di sapere come Giorgia sia riuscita a inserire nel proprio componimento John Rawls, padrino riconosciuto di quella teoria della giustizia che in nome dell’equità fa tabula rasa di tutte le particolarità che distinguono un essere umano dall’altro (come religione, classe, razza, sesso, meriti…) riducendole a “fattori contingenti che porrebbero gli uomini in conflitto tra loro”. Molti interpreti del filosofi hanno utilizzato i suoi argomenti per fare della migrazione un diritto umano, minimizzando l’attenzione che nel sistema rawlsiano viene comunque posta sull’ordine pubblico e la sicurezza nel momento in cui si deve mettere in pratica il fatidico esperimento mentale del “velo d’ignoranza”, cioè l’astrazione da qualsiasi “fattore contingente” per decidere su quali principi di giustizia debba basarsi una società.
Senza entrare nello specifico, secondo tale interpretazione un individuo che attraverso il velo d’ignoranza può fare delle scelte soprassedendo alle proprio e altrui caratteristiche individuali (al di là della razionalità, presupposto che rende la teoria rawlsiani problematica già nei presupposti) sarebbe favorevole all’immigrazione sia se fosse una sessantenne trentina che un trentenne nigeriano (ogni riferimento a recenti fatti di cronaca è puramente casuale), in base al principio delle “libertà fondamentali per tutti” (che obbliga a immedesimarsi in chi non sarebbe libero di spostarsi da Paese a Paese) e al principio del “beneficio ai meno avvantaggiati” delle eventuali ineguaglianze presenti nella società (che obbliga a immedesimarsi in chi vive in Paesi appunto “svantaggiati” e a ridurre i timori per l’ordine pubblico di chi abita nel Paese ospitante a “ipotesi infondate”).
Cosa abbia potuto sapere Giorgia Meloni di tutto questo, resta un mistero (posto che nessuna persona sana di mente a diciannove anni, o anche a sessantanove, si metterebbe a leggere Rawls, nel 1996 come oggi). Rimane allora un ultimo esperimento mentale da fare: sarebbe cambiato qualcosa della situazione attuale se la giovane Giorgia al “tema sull’immigrazione” avesse preferito, tra le altre tracce proposte per tutti i tipi di maturità, quella ispirata a una citazione di Cesare Pavese?
«”Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia” (C. Pavese). Discutete e sviluppate con riflessioni personali il principio enunciato nel passo su riportato».
PS: Alla fine mi sono rivolto, come al solito, a ChatGPT per immaginare come sarebbe potuto essere quel tema di Giorgia Meloni, e il risultato è obiettivamente apprezzabile.
La Società Complessa e la Difesa delle Radici Culturali
di Giorgia Meloni (studentessa, 19 anni)Nel mondo moderno, il concetto di “società complessa” è diventato centrale nel dibattito culturale. La nostra epoca è caratterizzata dalla coesistenza di culture diverse, concezioni morali contrastanti e credenze religiose eterogenee. Questa complessità solleva domande fondamentali sulla stabilità e la giustizia di una società in cui i cittadini sono profondamente divisi da dottrine inconciliabili. È un tema che ci invita a riflettere sulla nostra identità culturale e sulle sfide che essa affronta.
John Rawls ha posto in modo eloquente la domanda chiave: “Come è possibile che esista e duri nel tempo una società stabile e giusta di cittadini liberi e uguali profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali incompatibili, benché ragionevoli?” È una domanda che richiede una risposta ponderata, specialmente in un’epoca in cui assistiamo a tensioni culturali e sociali sempre più evidenti.
La mia prospettiva, come giovane militante di destra, pone l’accento sulla difesa delle radici culturali e della nostra identità nazionale. Se da un lato è importante rispettare la diversità culturale e le concezioni morali degli altri, è altrettanto essenziale preservare la nostra eredità culturale e i nostri valori fondamentali. Non dobbiamo permettere che l’apertura alla diversità porti all’indebolimento della nostra identità nazionale.
La convivenza pacifica nella società complessa può essere raggiunta solo se esiste un equilibrio tra la promozione della diversità culturale e la preservazione delle nostre radici. Non dobbiamo scusarci per difendere la nostra cultura, la nostra lingua e le nostre tradizioni. Queste sono le fondamenta della nostra società e la base su cui possiamo costruire un futuro solido.
Inoltre, la convivenza pacifica richiede il rispetto reciproco tra tutte le comunità culturali presenti nella nostra società. Dobbiamo promuovere il dialogo e la comprensione tra i diversi gruppi culturali, senza però rinunciare ai nostri principi fondamentali. La tolleranza non significa rinunciare ai propri valori, ma piuttosto cercare di trovare punti di incontro e di convivenza.
In conclusione, la sfida della “società complessa” richiede un approccio equilibrato che preservi la nostra identità culturale mentre promuove la convivenza pacifica tra diverse comunità. Non dobbiamo temere di difendere le nostre radici, ma dobbiamo farlo con rispetto e tolleranza verso gli altri. Solo così possiamo costruire una società stabile e giusta in cui cittadini liberi e uguali possano coesistere, pur rispettando le loro diversità culturali e morali.
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