Jacob Falk: tre secoli di filosemitismo in una citazione settecentesca

Hayyim Samuel Jacob Falk, anche noto come “Dottor Falk” (o con decine di altri pseudonimi), fu uno dei più importanti mistici ebraici dell’Europa del XVIII (qui una breve biografia) e, nonostante fosse osteggiato dai rabbini ortodossi come ciarlatano e truffatore, nonché presunto seguace della dottrina antinomica di Sabbatai Zevi, e perseguitato dai gesuiti tedeschi (che volevano metterlo al rogo, ché all’epoca non erano così concilianti come oggi), riscosse un incredibile successo in ambienti cabalistici ebraico-cristiani e tra diverse logge massoniche del Vecchio Continente. La sua fama si estendeva da Londra ad Algeri, dalla Germania alla Svezia, dalla Polonia all’Olanda.

Propri in seguito alla denuncia dei gesuiti per magia nera, che ne causò l’espulsione dal Ducato di Vestfalia, il conte Alexander Leopold Anton von Rantzau divenne suo protettore segreto e nel 1736 lo ospitò nel suo castello. In quel periodo Falk, alla presenza di diversi notabili tedeschi, diede qualche dimostrazione delle sue doti magiche e in particolare intrattenne dei memorabili scambi di battute con figlio di Alexander, Georg Ludwig Albrecht von Rantzau (1714-1786), che pochi anni dopo avrebbe riportato le conversazioni nelle sue Mémoires du comte de Rantzow (1741), pensate proprio per presentare certe idee à l’usage de la noblesse de l’Europe (come recita il “sottititolo”).

Un passaggio di questi dialoghi è assolutamente degno di nota non solo perché rispecchia in nuce ogni sfaccettatura del filosemitisimo dei secoli successivi (da Léon Bloy alla Nostra aetate), ma anche perché introduce l’antinomismo in diversi contesti, sia religiosi che laici, o presunti tali (pensiamo alla strumentalizzazione in teologia del concetto di kenosis, che in ultima analisi porta alla convinzione che il non-cristiano -o l’anti-cristiano- sia il “vero cristiano”, pensiero dal quale non è avulso il “precetto” della separazione tra Stato e Chiesa).

Lo riporto qua tradotto per la prima volta in italiano dall’originale francese (esiste una traduzione in Raphael Patai, The Jewish Alchemists, Princeton, 1994, pp. 457-58, tradotto come Gli alchimisti ebrei. Storia e fonti nel 1997 da ECIG che si rifà tuttavia al testo inglese e non all’originale, accogliendo anche qualche svista di troppo, come la resa del “falso amico” rejeton con “reietto” invece che “rampollo”).

Il contesto è quello di una conversazione tra il Conte e il Cabalista, dove quest’ultimo riesce a “leggere l’anima” del suo giovane ospite, percependone l’incredulità, e con un paio di citazioni evangeliche lo convince di essere incredulo e perverso “come i nostri antichi ebrei”, i quali avevano bisogno di vedere segni e prodigi per credere. Al che Rantzau si domanda perché Falk, pur conoscendo il Vangelo forse più di un cristiano, voglia ancora persistere nell’errore. Ed ecco la risposta che riceve:

«Sono così poco nell’errore e lo amo così poco, che mi adopero per liberare tutti i miei fratelli da esso. Costoro attendono che qualcuno li liberi dall’oppressione e dalla schiavitù in cui si trovano: il tempo è vicino, ma non posso dire di più. La vostra Legge presuppone che noi dovremmo essere i rampolli del popolo eletto di Dio. Bisognerebbe però dimostrarmi come Dio, il quale è immutabile, potrebbe cambiare i propri Decreti. È evidente che non li ha mai cambiati rispetto al nostro popolo, e che noi siamo effettivamente sotto la Sua mano, che ci batte sulla testa come la mano di un padre che punisce i suoi figli. I cristiani si crogiolano nella gloria del mondo, gli ebrei sono nell’ignominia, così che essi sono gli unici cristiani nel vero senso della parola. La morte di Gesù Cristo è avvenuta per annunciarci una condizione umiliante, dopo della quale dovremo riempire la terra, fino ai confini dell’universo, del grido della magnificenza di Dio e della gloria della Nazione Ebraica. Questa nazione ha resistito alle ingiurie di tutti i tempi, ha conservato il suo nome e la sua unità, nonostante i tentativi [di cancellarla] delle potenze della terra. Inadatti a macchinare imposture, e indifferenti alla politica del secolo, non contiamo se non nel tuono del Cielo che scaturirà dai Ministri della Sua vendetta. Di noi non si può dire che siamo ciechi. Vediamo sempre il dito di Dio sopra le nostre teste. Voi potreste, Monsieur, respingere vostro padre perché l’ha punita? Non è il castigo il segno più bello del vero affetto di un padre? Quando tutti gli Ebrei umilieranno i loro cuori, vestiranno di sacco e si cospargeranno il capo di cenere, saranno degni della liberazione».

One thought on “Jacob Falk: tre secoli di filosemitismo in una citazione settecentesca

  1. Il Nuovo Israele è la Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica.
    Il Signore non è venuto meno alle sue promesse, semplicemente il suo popolo non l’ha voluto riconoscere quando si è manifestato.
    “Dai loro frutti li riconoscerete”.

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