Sul pensiero di Attilio Mordini (1923-1966), una delle “teologie politiche” più violente e affascinanti del dopoguerra, si è abbattuta per anni la benevola censura dei seguaci (gli unici peraltro realmente interessati a un recupero della sua opera); ora tuttavia i tempi sembrano maturi per metterne in evidenza gli aspetti più controversi e rivelare la tragica originalità dell’Autore nei confronti sia del pensiero cattolico, sia di tutto quello che generalmente si intende come “tradizionalista”. Ho tentato di adempiere a questo compito raggruppando in un breve dizionario le tematiche più ricorrenti nell’opera dello scrittore fiorentino.
Tra i volumi citati più frequentemente Il Tempio del Cristianesimo (nel testo abbreviato come TdC – corsivi e maiuscole nell’originale) del 1963, ristampato da Settecolori (1979, l’edizione di riferimento) e Il Cerchio nel 2006; e la raccolta di articoli Il cattolico ghibellino (Settimo Sigillo, Roma, 1989).
Aristocrazia
Il credito illimitato che Mordini offre all’aristocrazia nera è motivo di perplessità anche per l’aedo Carlo Fabrizio Carli, curatore dell’antologia Il cattolico ghibellino (Settimo Sigillo, Roma, 1989); tuttavia non si tratta di semplice piaggeria, ma di una vera e propria apologia dell’immoralità patrizia, che il Mordini avrà modo di esaltare recensendo La dolce vita per una rivista tradizionalista (il passaggio si commenta da sé):
«È recentissima l’accusa che il cinema ha rivolto all’aristocrazia in generale e all’aristocrazia italiana e romana in particolare. […] Quanto all’accusa la accogliamo con tutta la serenità propria agli uomini del nostro rango, e interpretiamo quell’orgia dei giovani nobili romani nel senso più profondo e doloroso, più essenziale e addirittura più reale di tanto neo-realismo. È quello un inconsapevole bisogno urgente quanto disperato; è il bisogno di vera agape d’unità, d’un’unione gaudiosa ove la morte sia vinta, l’eternità riconquistata, l’amore sinceramente efficace e fraterno, la gioia e l’entusiasmo ritrovati. Quel vegliare e quell’assopirsi nell’alcool, quel cercare l’uno il corpo dell’altra come se da una serie d’abbandoni, di impensate carezze o nel contatto di carni potesse trovarsi unione e unità, quella cena lunga di noia senza nulla sapere d’eterno, è il bisogno angoscioso della cena come koiné, della tavola rotonda degli uomini liberi a frangere il pane della Reggia per ogni casa del mondo!» (Azione Aristocratica, “Il Ghibellino” 1961, n. 6; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., pp. 87-88).
Cristo
Chi è Gesù Cristo, per il cattolico Mordini? Essendo i miti antichi “prefigurazioni provvidenziali” del cristianesimo, Cristo non può che essere solamente uno dei rappresentanti del cosiddetto “Uomo Universale”, che «per gli ebrei è l’Adam Kadmon cabalistico e per i musulmani el Insanul Kamil» (TdC, p. 64). L’Autore ribadisce il concetto in numerosi passi della sua opera:
«Questo uomo universale, tutto il medioevo lo conobbe e lo venerò. I Cristiani lo conobbero come Homo Christus Jesus, come Adam Kadmon gli ebrei, come el Insanul-Kâmil i musulmani, gli indù come Krishna presenza di Brahma nell’intero universo manifestato» (“Significato tradizionale dell’uomo e della persona umana”, in Problemi della scuola italiana. Atti del II Convegno Nazionale dell’INSPE, Cappelli, Bologna, 1960, pp. 113-116).
A coronamento di questa “Tradizione Sacra” che ha eletto come veicolo primario la Parola (una Parola qualsiasi, verrebbe da dire) e «che dai miti più antichi si trasmise al canto nell’inno vedico e nel carme romano, nel salmo ebraico, nell’Edda nordica e nelle saghe» (ivi), Mordini in un crescendo sincretistico aggiunge che Cristo è stato crocifisso nel Kalì-juga, l’era in cui viviamo, «l’età nera in cui Dio stesso si è incarnato per farsi crocifiggere; dopo di questa la storia sarà finita» (Tradizione e Rivelazione, “Il Ghibellino”, 1961, n. 6; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 59) e che il suo sacrificio per la salvezza dell’umanità vale come quello di Wotan per i Germani, Krishna per gli induisti e Dioniso per i greci.
Ebrei
Il giudizio di Mordini sugli ebrei è ambiguo; in molti passaggi li definisce la punta di diamante della sovversione moderna, colori i quali hanno ha preso in mano le redini del mondo dopo aver contribuito a distruggere l’ordine tradizionale:
«Solo attraverso l’economia anonima dell’industrialismo moderno, gli Ebrei potevano conseguire quella forza, quel peso politico, che nel tradizionale sistema della proprietà fondiaria, così come dall’antico feudalesimo sopravviveva ancora in Europa, rimaneva loro impossibile» (TdC, p. 164).
Gli ebrei, sempre secondo Mordini, hanno altresì promosso la nascita di un’Italia sovversiva e liberale, «un’organizzazione burocratica priva d’ogni valore tradizionale e d’ogni autentico significato civile» (TdC, p. 167), ostile alla venerata Casa d’Austria.
Parlando di Eichmann, l’Autore giunge a paragonare gli ebrei che lo hanno fatto impiccare a quelli che hanno crocifisso Cristo:
«Ancora una volta gli Ebrei sono stati sacerdoti nel mondo e per il mondo: essi crocifissero Gesù sul Calvario, ed hanno sacrificato l’uomo moderno che aveva ubbidito allo stato» (TdC, p. 200).
Tuttavia egli ha parole d’elogio per lo Stato sionista, che al pari degli Stati Uniti è disponibile a considerare un prezioso alleato nella crociata anti-bolscevica, a patto che si allinei alla “Tradizione autentica”:
«Auspichiamo che il popolo d’Israele, in Palestina, possa presto ritrovare la strada della Tradizione autentica dell’Ebraismo, lasciando per sempre la poco chiara posizione socialisteggiante che sembra mantenere a tutt’oggi» (TdC, p. 201n).
Golpe
Il curatore dell’antologia Il cattolico ghibellino (Settimo Sigillo, Roma, 1989) Carlo Fabrizio Carli nella prefazione tenta di far passare l’immagine di un Mordini avverso alla “trappola del tradizionalismo” e immune dalla tentazione di «idoleggia[re] l’ordine dei colonnelli», citando un passaggio indebitamente estrapolato dal contesto (che ora vedremo) e imbastendo su di esso il solito sermone del né di destra né di sinistra:
«[Il falso tradizionalismo] appoggia sempre e comunque “uomini forti” di qualsivoglia ebetudine e squallore, spesso nulla di più di feroci mazzieri dell’imperialismo economico americano, da Marcos, magari, ai Duvalier, da Somoza ai latifondisti brasiliani, che concionano saccenti sul significato sociale e cristiano della proprietà, e tengono assoggettato il Nordeste con la frusta e la miseria» (C.F. Carli, “Prefazione”, p. 11).
Non si capisce, in realtà, da cosa Carli deduca una antipatia del Mordini nei confronti di tali personaggi: il Nostro in realtà fu sempre fieramente anti-democratico (la democrazia è “piattume” e “bastardume” [TdC, p. 181]; persino il fascismo era ai suoi occhi colpevole di eccessiva propensione alle manifestazioni di massa [TdC, p. 175]) e raramente dimostrò una particolare avversione nei confronti dell’imperialismo yankee (l’importante è che si mantenesse “britannico”, “europeo”); leggendo per intero il passaggio sulla “trappola del tradizionalismo” mutilato dal Carli si scopre come l’Autore stia affermando esattamente il contrario delle idee attribuitegli dal suo interprete:
«Lo stile di procedere del mondo moderno nel suo progredire è per continua antitesi […]. Il tradizionalista di oggi deve essere perciò particolarmente accorto, all’atto stesso in cui si pone contro il mondo moderno, di non inserirsi proprio nel ritmo della moderna dialettica come semplice momento antidemocratico a tutto servizio della fase successiva. […] Attenzione a non lasciarsi illudere, attenzione a non lasciarsi giuocare. Già in molti ambienti vicinissimi al social-comunismo si parla un po’ troppo di Tradizione… uomini come La Pira si dicono tradizionalisti… […]. I tradizionalisti dovranno egregiamente servirsi anche del momento anti-democratico, senza però lasciarsene contaminare; e soprattutto senza che i falsi tradizionalisti di tipo La Pira possano riuscire a farsi valere essi stessi come tradizionalisti quando il democratismo crollerà nella sua tragica risata […]» (La Tradizione e la genesi del tradizionalismo attuale. Relazione del I convegno Tradizionalista Italiano, Napoli, 26-27 maggio 1962; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 37).
Altro che colonnelli, Mordini ce l’ha con La Pira! L’orditore della “trappola tradizionalista” era il sindaco della sua città, non i golpisti che l’Autore non fece in tempo a vedere, ma sulle bravate dei quali crediamo non avrebbe nutrito un giudizio eccessivamente sfavorevole, considerando che la passione per la “sferza” lo indusse persino a recuperare il gergo gnostico per illustrare il proprio progetto politico:
«Se si deve operare la restaurazione di tutta l’umanità ordinata ai principi tradizionali, si deve necessariamente ammettere che gli ilici vi saranno ordinati per forza, gli psichici per il fascino dell’autorità, gli spirituali per l’amore. Forza, fascino e amore che operano in tanto per costrizione quanto per convinzione; poiché la forza convince veramente l’ilico… è il suo elemento! E mai come oggi il tipo ilico è stato tanto comune» (L’arco in cielo, “Il Ghibellino”, 1961, n. 7; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 95).
Guerra Santa
La guerra per Attilio Mordini è solo e soltanto santa; essa «è e rimane l’ultima garanzia di spiritualità» (TdC, p. 203n), dal momento che «nei tempi ultimi, quando l’apostasia e l’indifferenza del mondo sarà quasi generale, aumenteranno provvidenzialmente le guerre e i rumori di guerra» (TdC, p. 48).
Finché c’è guerra c’è speranza, come dice il titolo di un celebre film di Alberto Sordi. Tuttavia non viene mai chiarito definitivamente dall’Autore quali soggetti dovrebbero interpretare la recita apocalittica: se da una parte infatti c’è sempre la “Bestia rossa”, che «ha da essere battuta qui, su questa terra» (Tradizione e Rivelazione, Il Ghibellino, 1961, n. 6; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 63); dall’altra il soggetto autorizzato a utilizzare l’atomica viene rappresentato di volta in volta come un generico “Impero”, oppure incarnato storicamente in un’America che ha finalmente riscoperto i valori “britannici” (identificati in toto con quelli europei), antitetici al “bastardume” democratico:
«L’unica possibilità che si offre all’America di salvarsi dal marasma del moderno appiattimento democratico sta […] nella rivalutazione di quanto resta ancora, in loro, di britannico e, quindi, di europeo. E ciò riveste un’importanza addirittura capitale, se si pensa alla delicata missione che, oggi, gli Stati Uniti d’America sono chiamati a svolgere nel mondo» (TdC, p. 56).
In ogni caso, qualsiasi guerra non dovrà mai essere considerata politica ma, come detto, sempre santa:
«Non mancano, nemmeno oggi, le insidie di quanti pretenderebbero minimizzare la guerra santa per la difesa della fede a guerra meramente politica, col preciso scopo di trarre i cattolici dalla parte avversa!» (TdC, p. 121).
I cattolici devono invece convincersi che «il peggio non sarà affatto la guerra, non sarà la distruzione atomica, ma questo progresso, questa pseudociviltà trascinata all’indefinito» (TdC, p. 188). Da tale prospettiva Mordini giunge persino a “profetizzare” l’era post-atomica successiva alla Mutual Assured Destruction:
«Ci accingiamo a guardare le cose dall’eternità quando ci rifiutiamo di aderire a qualsiasi convivenza fondata sul terrore atomico. Il nostro senso d’eternità è sapore d’Apocalisse; è senso escatologico e tradizionale. E tradizionale significa oggi essere disposti a tutto, significa preferire mille volte la distruzione quasi totale dell’umanità piuttosto che tollerare l’ateismo e il laicismo del mondo moderno; solo che poche coppie del genere umano si salvino sulla terra. Saranno certo quelli gli uomini migliori, più belli e più forti; se non saranno comunisti, se dopo lo sfacelo si inginocchieranno a ringraziare Dio segnandosi di croce, se infine ricorderanno uno per uno i dodici articoli del Credo, non saranno soltanto dei sopravvissuti, ma addirittura dei veri viventi; la nuova civiltà potrà costruirsi tradizionale e cristiana, e per il nostro sacrificio avremo salvato il mondo» (Una Tradizione autentica per i tempi ultimi, “Carattere. Rivista di fatti e di idee”, gen.-feb. 1958, n. 1-2; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., pp. 70-71).
Impero
Impero, per Mordini, è qualsiasi sistema politico in grado di rappresentare «il corpo mistico dell’Uomo Universale Cristo Gesù» (TdC, p. 93); tuttavia, dal momento che questo Uomo Universale è presente in ogni tradizione,
«l’ideale dell’Impero universale è il germe da cui si sviluppa già ogni impero pre-cristiano, ed è appunto perciò che Sant’Agostino poté dire che il cristianesimo è sempre esistito sin dal principio dell’umanità» (La Tradizione e la genesi del tradizionalismo attuale, cit., Napoli, 1962; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 28).
Questo pensiero, è vero, non dovrebbe inquietare: l’affermazione che Roma «era già universale, e quindi cattolica, prima ancora di essere cristiana» (Senso di Roma, “Pagine Libere”, agosto 1956) sembra abbastanza pacifica. Il problema è che Mordini è riuscito a considerare “Impero” anche la Germania nazista (non soltanto dal punto di vista teorico, come dimostra la sua biografia politica):
«Ponendosi ideologicamente contro il cristianesimo, e rievocando il misticismo dell’antico germanesimo, il nazismo si dette a riscoprire quegli elementi tradizionali delle civiltà precristiane che, per esser in sé veramente ordinate all’uomo naturale molto più e molto meglio di quanto non lo fossero le utopie russoniane, riflettevano già, malgrado ogni cristianesimo, il profilo di un’umanità naturaliter christiana» (TdC, p. 182).
Socialismo
La Bestia rossa è proprio la “bestia nera” (perdonate il gioco di parole) di Attilio Mordini. Contro il socialismo, qualsiasi mezzo è consentito: l’atomica, il genocidio, l’avvelenamento dei pozzi. Volendo essere “comprensivi”, potremmo considerare questo pensiero persino legittimo alla luce degli orrori sovietici. Tuttavia Mordini, nel momento in cui allarga la portata semantica dell’espressione “Occidente” («Ricostruire, per noi, […] significa ricostruire l’Impero d’Occidente per avventarci, appena possibile, contro il comunismo sovietico» [Una Tradizione autentica per i tempi ultimi, “Carattere. Rivista di fatti e di idee”, gen-feb. 1958, n. 1-2; ora in Il cattolico ghibellino, cit., p. 70]), compie la stessa operazione con la parola “socialismo” facendola combaciare, di volta in volta, con le aspirazioni di un La Pira, oppure con quei “neoguelfi” che lui identifica nei comunisti italiani. Sono numerose, quindi, le formazioni politiche suscettibili di propiziare la «fase pseudopositiva del falso ordine da cui emergerà l’anticristo per insediarsi come padrone di questo mondo contro il Re del mondo che è Cristo Gesù» (La Tradizione e la genesi del tradizionalismo attuale, cit., Napoli, 1962; ora in Il cattolico ghibellino, cit., p. 34).
Tecnica
Le riflessioni di Mordini sulla tecnica sono decisamente le più affascinanti. L’Autore tiene continuamente a precisare che egli, pur essendo tradizionalista, non è misoneista; al contrario, essendo convinto che «il materialismo è stato possibile soltanto dopo la materialità viva dell’Incarnazione» (TdC, pp. 22-23) e che «il progresso è, prima di tutto, un dono di Cristo» (TdC, p. 145) arriva a proclamare che «i prodotti e le invenzioni del nostro tempo sono in sé tutte sante, ivi compresa la bomba H! È l’uomo che ha da ritrovare se stesso nei fini ultimi e nell’amore» (TdC, p. 144).
L’atomica è santa sia perché rappresenta simbolicamente e materialmente quel “progresso di invenzione” che contraddistingue i popoli cristiani da quelli che si sviluppano solo grazie a un “progresso di imitazione”; sia, soprattutto, perché il fatto che l’umanità è finalmente giunta a costruire un’arma micidiale è in sé una cosa positiva. L’unico dilemma, per Mordini, è che allo sviluppo tecnologico occidentale non abbia corrisposto una teologia all’altezza della situazione:
«Senza la rivoluzione dei lumi […] si può dire che il progresso sarebbe avanzato più lentamente, di volta in volta soffermandosi alla compenetrazione delle nuove invenzioni, per ordinarle come simboli ai piani ideali dell’unità metafisica e trascendente. Ma il progresso avrebbe avuto luogo ugualmente, poiché nulla avrebbe impedito all’esame razionale dei simboli dell’arte per tradurla in scienza» (TdC, pp. 143-144).
L’Autore intende che senza l’illuminismo lo sviluppo sarebbe stato più lento solo per la necessità di coordinarsi al pensiero cattolico. Da qui ne consegue che se la tecnica fosse stata “ordinata ai simboli”, l’atomica avrebbe potuto essere usata contro gli infedeli senza alcun indugio. Purtroppo la storia è andata diversamente, ma ciò non significa che la guerra nucleare vada comunque evitata: «Il peggio non sarà affatto la guerra, non sarà la distruzione atomica, ma questo progresso, questa pseudociviltà trascinata all’indefinito» (TdC, p. 188).
Tuttavia ancora non si comprende quale soggetto o ideologia il Mordini ritenesse avere in pugno il potere atomico (in alcuni passaggi sembra si riferisca agli ebrei) e soprattutto chi avrebbe potuto sganciarla in modo legittimo, in conformità alla Tradizione (forse Stati Uniti ed Europa uniti assieme nell’Impero?).
Tradizione
Il tratto più originale del “tradizionalista” Mordini è la sua riduzione della Tradizione a conseguenza del peccato originale: «Nel momento della condanna all’uscita dall’Eden, il Creatore consegna all’uomo il rimedio, la Tradizione» (La Tradizione e la genesi del tradizionalismo attuale, cit., Napoli, 1962; ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 25).
La Parola, come abbiamo visto, è il veicolo eletto per tramandare la Tradizione (un concetto ripreso nel volume postumo Verità del linguaggio, edito nel 1974 dall’editore Volpe). Questo è uno dei contributi veracemente cattolici del Mordini all’interpretazione del tradizionalismo, poiché se la Tradizione, in senso assoluto, è un “accidente”, ciò significa che fondare su di essa una qualsiasi ideologia immanentistica equivale a costruire castelli in aria.
Sfortunatamente il Mordini asseconda un po’ troppo questa intuizione, arrivando a ipotizzare una perfezione ulteriore nell’aldiquà:
«Se nell’Eden l’uomo non avesse ceduto alla tentazione e non avesse peccato, non vi sarebbe stata Tradizione nel suo aspetto di consegna di persona in persona. La natura e la soprannatura, l’umano e il divino, avrebbero costituito una nuova natura dell’uomo ormai provato dalla tentazione e vittorioso sul maligno. […] La sapienza sarebbe di per sé connaturata all’uomo, sì che non si darebbero né discenti né discepoli, o meglio, ciascun uomo, e tutta l’umanità al tempo stesso, sarebbe direttamente istruita dalla seconda persona della Trinità comunicante in eterno la Terza, vale a dire lo Spirito Santo, per tute le membra del suo corpo mistico» (ivi, p. 27).
L’ossessione “Imperiale” alla fine contagia anche la concezione apocalittica del Mordini, che si perde in un guazzabuglio davvero poco tradizionale:
«Se Cristo non fosse morto, la storia sarebbe finita con l’atto della Sua Incarnazione. […] L’Apocalisse ci parla appunto di questa seconda venuta del Salvatore nella Sua carne gloriosa per non più morire. Ce lo descrive a cavallo, regnante con verga di ferro sul mondo, e sulla sua coscia sta scritto Rex Regum et Dominus Dominantium. Allora anche il popolo ebraico, finalmente pago nel suo messianismo, si convertirà a Lui. Ecco dunque nell’Apocalisse di Giovanni, come del resto in tutta la Rivelazione Cristiana, il messianismo giudaico da un lato, e il grande ritorno cosmico della Tradizione ariana dall’altro, si incontrano […]» (Tradizione e Rivelazione, “Il Ghibellino”, 1961, n. 6, ora ne Il cattolico ghibellino, cit., p. 64).
quando si scrive o commenta l’opera di un autore quale attilio mordini si deve aver studiato e meditato le sue opere per almeno cinquantanni e sopratutto averle capite non producendo cosi un lavoro a dir poco fuorviante confondendo brani mordiniani a volte seperate dai puntini con considerazioni che sviano il lettore dal vero significato dei brani pubblicati
Non è che leggendole per cinquant’anni le parole cambiano di significato, a meno di non volerle fraintendere interpretandole con altri paradigmi. L’unica cosa che potrebbe contestarmi è di aver “estrapolato” le citazioni, se non avessi sempre specificato il contesto in cui vengono affermate. Vorrei essere smentito sul punto, non in base alla logica del “Mostro sacro” o dell’argumentum ab auctoritate. Anche perché poi si finisce appunto come il curatore C.F. Carli che ho citato, il quale si inventa un’avversione da parte di Mordini nei confronti dei regimi autoritari, in sostanza manipolando il suo reale pensiero (scritto nero su bianco) per “riabilitarne” la figura. La mia lettura di Mordini è giusta, semmai sono i suoi seguaci che cercano di “ammorbidirlo” perché sono incapaci di sostenerne il pensiero, tanto è vero che proprio lei crede che tutto quello che ho scritto sia un modo per “infangarne” la memoria, ammettendo indirettamente una sudditanza culturale nei confronti della modernità. Il suo invito alla “meditazione” dell’opera di Mordini alla fin fine mi sembra coincidere con un appello implicito a edulcorarne i contenuti.