Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha fatto infuriare il governo iraniano recitando una poesia nazionalista azera: il gesto è stato interpretato da Teheran come una minaccia all’integrità territoriale del Paese.
Il 10 dicembre 2020, durante la sua partecipazione alle celebrazioni per la vittoria dell’Azerbaigian sulla liberazione del Nagorno-Karabakh dall’Armenia, ha recitato, in turco, i versi del poema azero Aras: “Hanno prosciugato l’Aras e l’hanno riempito di pietre e bastoni | Ma non sarò separato da te. Ci hanno separati con la forza”.
Nel suo componimento Bahtiyar Vahapzade (1925–2009), considerato uno dei più importanti poeti azeri contemporanei, si dispera per la spartizione delle province azere tra l’Impero persiano e la Russia zarista all’inizio del XIX secolo. Le zone del Caucaso che oggi fanno parte dell’Azerbaigian, dell’Armenia e della Georgia appartenevano all’Impero Qajar ma, in seguito alle sconfitte con la Russia, le aree a nord del fiume Aras vennero cedute all’Impero degli Zar con l’umiliante Trattato del Golestan del 1813 e col Trattato di Turkmanchay del 1828. Le zone a sud del fiume rimasero sotto il controllo iraniano, ma il territorio perso è ancora percepito da molti come irrevocabilmente legato alla Persia.
Un terzo dell’intera popolazione di etnia azera vive in Azerbaigian e, sebbene sia in gran parte sciita, la maggior parte è laica e legata culturalmente alla Turchia. Gli altri due terzi sono concentrati nel nord dell’Iran e costituiscono un quarto dell’intera popolazione iraniana. La stessa Guida Suprema Ali Khamenei è nato da una famiglia azera. Va ricordato che nell’ottobre 2020 gli azeri iraniani hanno manifestato contro l’Armenia costringendo il regime iraniano, tradizionalmente sostenitore di Erevan, ad avvicinarsi a Baku.
L’affronto di Erdoğan agli iraniani, unito ai timori di un risveglio delle istanze separatiste, ha spinto i rappresentanti del regime a rilasciare dichiarazioni infuocate contro il leader turco, col sostegno dei social, che hanno auspicato per il “Sultano” un destino simile a quello di Mohamed Morsi e Saddam Hussein.
Il timore di conseguenze per l’integrità territoriale dell’Iran sono emerse particolarmente nelle reazioni del ministero degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, che in un tweet dell’11 dicembre 2020 ha espresso apprensione circa la possibile annessione di territori iraniani all’Azerbaigian:
Pres. Erdogan was not informed that what he ill-recited in Baku refers to the forcible separation of areas north of Aras from Iranian motherland
Didn't he realize that he was undermining the sovereignty of the Republic of Azerbaijan?
NO ONE can talk about OUR beloved Azerbaijan
— Javad Zarif (@JZarif) December 11, 2020
“Il presidente Erdoğan non era a conoscenza che i versi da lui recitati a Baku si riferiscono alla separazione forzata delle aree a nord dell’Aras dalla madrepatria iraniana, non si è reso conto di aver minato la sovranità della Repubblica dell’Azerbaigian? Nessuno può parlare del nostro amato Azerbaigian“.
Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha dichiarato l’11 dicembre 2020: “Abbiamo chiarito all’ambasciatore turco che il tempo delle rivendicazioni territoriali e dell’espansione degli imperi è finito. L’Iran non permetterà a nessuno di minare la sua integrità territoriale“.
Il parlamentare Mahmoud-Ahmadi Bighash il 13 dicembre ha affermato che il Caucaso meridionale è territorio iraniano, e ha aggiunto che il “dilettantismo” di Erdoğan nella regione sta offrendo il destro a Israele contro Teheran.
Il quotidiano Kayhan, portavoce del regime, ha invitato Erdoğan ad abbandonare la retorica anti-persiana, mentre i riformisti hanno chiesto di sfruttare tali dichiarazioni per rafforzare l’identità nazionale delle minoranze etniche cooperando con i Paesi della regione e creare un mercato comune all’insegna del paniranismo.
L’editoriale di Kayhan dell’11 dicembre 2020, intitolato Il tradimento dei musulmani turchi da parte di Erdoğan, rappresenta una critica senza precedenti della condotta del Presidente turco, accusandolo apertamente di voler imporre una egemonia turca nella turca e fomentare la propaganda sul “Turkestan” tra i popoli del Caucaso. Una politica, afferma l’editoriale, incompatibile con la visione rivoluzionaria islamista iraniana che crede nell’asse sciita. Stitgmatizzando con toni aspri la condotta del Gran Turco in Siria e Iraq – paesi che l’Iran vede come parte della propria sfera di influenza – e per i suoi tentativi di promuovere gli interessi di Ankara a scapito di Tehrean, l’editoriale accusa Erdoğan di tradire i valori islamici che gli hanno permesso di giungere al potere, privilegiando l’aspetto etnico su quello religioso.
“La politica estera della Turchia durante i quasi due decenni di presidenza Erdoğan può essere descritta come ‘instabile’ e ‘fluttuante’ […]. Il suo rapporto con l’Iran fino a poco tempo fa era incredibili, con i due Stati impegnati a mantenere legami stabili e amichevoli. Ma le sue dichiarazioni durante una parata delle forze militari azere nei territori che circondano il fiume Aras, hanno irritato una delle poche nazioni amiche che gli erano rimaste. […] La Turchia ha perlopiù relazioni tese o instabili con i suoi vicini: Bulgaria, Grecia, Cipro, Siria, Iraq, Armenia, Azerbaigian e ora anche Iran. […] La Repubblica dell’Azerbaigian e l’Iran erano solite mantenere relazioni amichevoli con Ankara, principalmente grazie all’interesse iraniano per la presenza di un governo di orientamento islamico in quel Paese. Il partito AKP, guidato da Recep Tayyip Erdoğan, è infatti giunto al potere nel 2002 sulla spinta dei movimenti islamici, era e rimane una forza importante in Turchia e nella regione ed è stato eletto soprattutto grazie al suo orientamento filo-islamico. Negli ultimi vent’anni però il governo di Ankara ha infine scelto di porre l’enfasi sul nazionalismo pan-turco estremista ed Erdoğan ha adottato una sorta di ideologia anti-islamica, tradendo i musulmani turchi e gli ideali dell’Islam.
In particolare, durante il decennio in cui l’area mediorientale è stata segnata dai sanguinosi conflitti scoppiati in Siria, Iraq e Libano, Erdoğan ha adottato una linea atta a fomentare il caos. […] Si può quindi dire che nonostante i ruoli significativi nell’acuire la crisi siriana svolti da Stati Uniti, Unione Europea, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e altri, il ruolo della Turchia è stato unico sotto ogni aspetto. Oggi la Turchia è la causa principale del perpetuarsi della crisi in Siria e l’esercito turco è attualmente il maggior ostacolo all’opera di liberazione dell’esercito siriano nella regione di Idlib contro Jabhat Al-Nusra; con la sua azione sta al contempo offrendo la possibilità ai separatisti di conquistare parti della Siria settentrionale.
[…] I soldati turchi sono presenti anche in vaste aree dell’Iraq occidentale, nonostante le proteste ricorrenti da parte del governo e dell’esercito di quella nazione, con il pretesto di contrastare l’influenza del PKK. Il comportamento della Turchia nell’Iraq occidentale è così allarmante per gli iracheni che alcuni dei loro leader hanno affermato che le forze turche da alcune parti sono più numerose di quelle statunitensi – e tutto ciò è intollerabile.
‘Turkestan’ è la parola chiave della propaganda di Erdoğan rivolta alla nazione islamica turca e ai popoli a essa legati ad est e ad ovest del Mar Caspio. La questione fondamentale è tuttavia se questa area sia disposta ad accettare una egemonia erdoganiana.
Durante le recenti schermaglie tra Azerbaigian e Armenia, Erdoğan ha cercato di far avanzare la sua idea di Turkestan, sabotando gli equilibri di potere locali a favore della Turchia e contro il ruolo nell’area di Russia e Iran. Ma questa linea non è passata, e la guerra non è riuscita a far avanzare la Turchia verso il Mar Caspio. L’accordo tra Mosca, Erevan e Baku, firmato il 20 novembre, ha sostanzialmente lasciato Erdoğan fuori dai giochi. E le sue dichiarazioni recenti indicano che la Turchia sembra intenzionata a incolpare l’Iran per i propri fallimenti. Ma non solo Teheran a non volere la creazione di un impero separatista nella regione: il sogno di Erdoğan non si avvererà“.
L’editoriale del foglio filo-governativo evoca per il Presidente turco un destino simile a quello di Muhammad Morsi. Secondo il giornale, il rappresentante dei Fratelli Musulmani egiziani si sarebbe fidato dell’Occidente solo per essere rovesciato in un colpo di stato istigato dai suoi stesis falsi alleati. Kayhan afferma che, se non fosse stato per il sostegno dell’Iran, vero alleato della Turchia, Erdoğan avrebbe già fatto la stessa fine di Morsi.
“Se siamo convinti che il Medio Oriente sia stato attaccato dal ‘sionismo cristiano’ nelle due guerre mondiali, dobbiamo allora considerare anche le posizioni di Erdoğan degli ultimi anni come parte del piano del ‘sionismo cristiano’ ordito da Gran Bretagna, Stati Uniti e Israele. […] Le ambizioni, le affermazioni e le azioni di Erdoğan sono infatti contraddittorie tra loro: per esempio, mentre manifesta il desiderio -delirante- di far rivivere l’Impero Ottomano, al contempo esprime solidarietà ai Paesi della regione. Qualcuno crede che gli importi dell’integrità territoriale della Repubblica di Azerbaigian, ad esempio, quando egli stesso occupa parti dell’Iraq e della Siria, violando l’integrità territoriale dei suoi vicini?
Il destino di Mohamed Morsi, l’amico di Erdoğan morto in carcere, dovrebbe rappresentare una lezione. Morsi non è stato tanto fortunato quanto Erdoğan a sopravvivere a un colpo di stato. Egli aveva puntata tutto sul sostegno di americani e sauditi, favorendo il loro gioco sporco contro le nazioni della regione, per finire poi rovesciato in un golpe istigato dai suoi stessi falsi amici. La prima visita di stato di Morsi dopo aver assunto l’incarico come presidente dell’Egitto non a caso fu in Arabia Saudita […]. L’ascesa e caduta di Morsi dovrebbe rappresentare una lezione per Erdoğan. Lui stesso ha avuto una esperienza simile. Sebbene si sia fatto quasi uccidere per l’amministrazione Obama, è stato comunque pugnalato alle spalle da essa. se non fosse stato per il supporto tempestivo offerto dall’Iran, sarebbe stato fatto fuori nel golpe del 2016. In quella notte oscura è stata Teheran a garantire la stabilità e la sicurezza della Turchia e a proteggere la vita di Erdoğan.
[…] Seminare la discordia tra le nazioni è la classica politica dell’imperialismo britannico addottata sia dai sionisti che dagli americani. Nel secolo scorso, gli imperialisti occidentali hanno cercato di promuovere il pan-turchismo e il paniranismo in Iran e Turchia. […] Questa politica rovinosa è stata propagandata nella regione tra sciiti, sunniti, persiani, arabi, turchi e curdi, poiché l’unità, la cooperazione e la sinergia tra i popoli rappresentano una minaccia per l’imperialismo occidentale.
I nostri nemici (America, Israele e Gran Bretagna) non andranno da nessuna parte, ma se qualcuno intende sottomettersi a essi, non gli risparmieremo la nostra vendetta. Le nazioni della regione hanno sventato i piani dei nemici e li hanno umiliati. Non sono lezioni sufficienti per riportare Erdoğan alla realtà?“.
Sull’onda dello sdegno suscitato dalla mossa di Erdogan, Mohammad Kuchani, redattore capo del quotidiano Sazandegi, ha invitato sulla sua pagina Instagram a rilanciare l’alleanza politica di tutte le tribù etniche in Iran legate all’eredità persiana:
“In assenza di politici e intellettuali che difendano il nazionalismo iraniano, i cani turchi hanno assunto una nuova veste. Di fronte al laicismo e al militarismo dei kemalisti, ho sempre tratto ispirazione dalla politica di Recep Tayyip Erdoğan. Come iraniano, credo che l’unica risposta al neo-ottomanismo sia il ‘neo-safividismo’ (sic). Non sto sostenendo di riportare in auge il dominio dei Safavidi, ma una sua versione riformata, recuperando la sua eredità nell’eredità moderna, proprio come Erdoğan è passato dall’ottomanesimo al neo-ottomanesimo. La rinascita di questa idea, che unì l’Iran dopo mille anni di disintegrazione a causa dei turchi, ha tenuto assieme persiani, turchi, curdi, armeni, georgiani, gilaki, lur e arabi e ha fatto rivivere l’impero di Ciro e Dario.
[…] So che i pan-turchisti (ma non gli azeri e i turchi dell’Iran, che furono i pilastri di questo stato dall’era safavide fino alla rivoluzione costituzionale persiana del 1905-6) mi attaccheranno, ma non dovremmo noi iraniani, in particolare azeri e turchi in Iran, lanciare un hashtag e ricordare al presidente turco che la riva settentrionale del fiume Aras non è mai stata separata dalla cultura e dalla civiltà iraniana, anche se è ora uno stato indipendente grazie all’intervento russo? Come scrisse il poeta persiano del XII secolo Nizami Ganjavi, ‘Il mondo è un corpo e l’Iran ne è il cuore'”.
Secondo l’editoriale del 12 dicembre 2020 del Javan (quotidiano vicino ai pasdaran) le “numerose sortire militari” di Erdoğan, dal Corno d’Africa al Caucaso, mirano a creare uno “stato immaginario”, il “nuovo impero ottomano”. Anche Sadeq Maleki, sempre contiguo ai guardiani della rivoluzione, ha dichiarato al quotidiano riformista Shargh che il Presidente turco desidera dividere l’Iran e annettere l’Azerbaigian per formare il “Grande Turkistan”, aggiungendo che il “nuovo ottomanesimo” ha preso di mira il Caucaso: “Il vecchio ottomanesimo cercava di espandersi a Occidente, fino alle porte di Vienna; il neo-ottomanesimo di Erdoğan punta invece a Oriente“.
Gli utenti iraniani di Twitter hanno mandato in tendenza l’hashtag #Erdoğan_Kapa_çeneni (“Erdoğan stai zitto”). L’attivista Jallal Milani ha pubblicato un’immagine del Presidente turco accostata a quelle di Hitler e Saddam impiccato, affermando che “La sopravvivenza di ogni re e presidente del Medio Oriente dipende dal suo coordinamento con la Repubblica islamica dell’Iran”.
The survival of every king and president in the Middle East depends on his coordination with the Islamic Republic of Iran.#Erdoğan_Kapa_ceneni #اردوغان_غلط_کرد pic.twitter.com/ymqRg3CrUb
— میلانی 🇱🇧🇮🇷 (لیمیت) (@milani135) December 11, 2020
Saeed Hajjarian, giornalista e riformista, bersaglio di un attentato nel 2000, ha scritto un articolo per il portale Mashghenow nel quale invita a “prendere sul serio la proposta di Erdoğan” di formare una coalizione regionale. Esaminando due tendenze attualmente esistenti nel mondo – globalismo e separatismo – ha sostenuto che l’Iran non dovrebbe seguire nessuna delle due, ma stringere un’unione commerciali con gli altri Paesi dell’area, inclusa la Turchia, che favorirebbe gli interessi nazionali dei suoi membri.
“In occasione della vittoria dell’esercito azero in Nagorno-Karabakh, Erdoğan ha visitato Baku, ha assistito a una parata militare e ha citato la poesia Aras, suscitando un putiferio in Iran e speculazioni sulle intenzioni del Presidente turco. In ogni caso, al di là del clamore per quei versi, la proposta di formare una coalizione regionale è stata completamente trascurata, nonostante, con alcune correzioni andrebbe considerata un suggerimento in buona fede.
L’Iran infatti non può puntare all’isolamento, in primo luogo perché la sua economia è basata sulle esportazioni di petrolio, e in secondo luogo perché, da una prospettiva di sviluppo, deve cooperare con diversi paesi stranieri in aree energetiche e nell’approvvigionamento di materie prime per colmare gli svantaggi tecnologici.
D’altra parte, Teheran non può abbracciare il globalismo, sia perché alcuni elementi dell’ordinamento giuridico internazionale non sono accettati nel nostro paese, sia perché l’industria e l’economia locale si troverebbero ad affrontare una crisi a causa dell’impatto del modello globalista su temi come l’abolizione dei dazi doganali, che provocherebbe un salasso di lavoratori qualificati. Inoltre, secondo la logica della globalizzazione, alcune richieste di cooperazione per la sicurezza non sarebbero comunque accettabili per la nostra nazione.
In questa situazione, l’Iran dovrebbe prima di tutto stipulare accordi regionali con Paesi simili. Si creerebbe gradualmente un blocco economico in grado di essere successivamente assimilato nel modello globalista. Se prestiamo attenzione, noteremo che trattati e organizzazioni come l’ASEAN, l’Unione Europea, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, il NAFTA e altri, nascono dal desiderio di formare un mercato comune.
In questi mercati comuni, i profitti e le perdite dei paesi vengono ‘decostruiti’ e si sviluppano gradualmente, contrariamente alla logica del globalismo, che predilige Paesi già forti e affermati. L’adesione a tali blocchi ovviamente non preclude la cooperazione indipendente con Paesi che non ne fanno parte. L’Iran, ad esempio, può aderire a un’alleanza economica regionale e allo stesso tempo agire in modo indipendente vendendo petrolio a Cina, India e Corea del Sud.
Il blocco può riunire paesi come Iran, Iraq, Turchia, Armenia, Afghanistan, Pakistan e Azerbaigian. Queste nazioni potrebbero formare un mercato comune, favorire la stabilità e lo sviluppo economico regolando i dazi doganali e altri parametri economici, e ognuno potrebbe cooperare in aree come l’assistenza sanitaria o l’energia al meglio delle proprie capacità, servendosi delle élite, della forza lavoro e della tecnologia a disposizione.
[…] Secondo la proposta di Erdoğan, potremmo beneficiare del modello dell’Unione Europea e adottarlo a livello locale, allentando le tensioni regionali e cooperando economicamente, superando le polarizzazioni e gli accordi meramente bilaterali”.
fonte: Anti-Turkey Statements In Iran – Part III: Erdoğan Is Undermining Iran’s Territorial Integrity (Memri, 11 gennaio 2021)