In questi anni si stanno moltiplicando i video su Youtube riguardanti l’omicidio di Yara Gambirasio e la presunta colpevolezza o innocenza di Massimo Bossetti. Si deve in particolare segnalare l’opera meritevole di Andrea Lombardi, che ha dedicato numerosi video al caso (con interventi anche dell’avvocato della difesa) e ha riassunto le sue conclusioni in un documentario in due parti che ha ottenuto oltre un milione di visualizzazioni:
Lombardi affronta i principali “punti dolenti” del processo a Bossetti, soffermandosi sulla questione delle celle telefoniche, sul filmato del furgone montato ad arte per “esigenze di comunicazione” (una clamorosa ammissione della natura principalmente “mediatica” di tutta la faccenda), sulla fake news delle ricerche “latamente ped0p0rn0grafiche” presenti sul computer portatile dell’indagato e, naturalmente, sulla cosiddetta “prova regina”, il Dna presente sul corpo della vittima (una “traccia molto ricca” rilevata con dei kit scaduti, che comunque non può essere analizzata una seconda volta, e che -caso più unico che raro- presenta solo il Dna nucleare e non quello mitocondriale, il quale a certe condizioni dovrebbe degradare meno facilmente).
La conclusione dell’opinionista è piuttosto tranchant: ci sono talmente tante contraddizioni e distorsioni nel processo Bossetti che tutto il laborio mediatico posto in essere per convincere l’opinione pubblica della sua colpevolezza potrebbe essere paragonabile alla “propaganda di regime cinese”.
In effetti un’attestazione del cortocircuito mediatico-giudiziario da cui il nostro Paese sembra incapace di uscire è la demonizzazione che venne fatta dell’imputato il giorno dopo il suo arresto (con tanto di tweet dell’allora, innominabile, Ministro della Giustizia, nonché alcune riprese in stile pseudo-hollywoodiano di una inesistente “fuga del sospettato”), perpetrata dalle principali agenzie di comunicazione con le “dirette” sul profilo Facebook del Bossetti, il quale non aveva alcunché di compromettente se non un paio di meme (all’epoca il mainstream probabilmente non li definiva ancora tali) che al giorno d’oggi considereremmo come innocue espressioni di boomerpostaggio ma che allora vennero etichettate come “scivoloni nella volgarità e nel cattivo gusto”.
L’ombra della “Colonna Infame”, intesa in senso metaforico (e metastorico), è perennemente in agguato nelle aule dei tribunali italiani, quindi eventuali consigli sul rendersi “insospettabili” -almeno sui social (da che pulpito…)- lasciano il tempo che trovano, anche perché i boomer non smetteranno mai di postare qualsiasi cazzata con cui riescono a entrare in contatto.
Ad ogni modo, il caso Bossetti interpretato dalla prospettiva “innocentista” (che ha come pendant una posizione “colpevolista” basata su manipolazioni, errori e montature dichiarate) è suscettibile di rappresentare la cartina tornasole di tutto quello che non funziona nel Bel Paese, dalla spettacolarizzazione al plebeismo fino -altro punctum dolens trascurato- all’immortale Selbsthass italiota.